CULTURA

Archimede, lo scienziato oltre il mito

Il suo mito è vivo ancora oggi, a oltre due millenni di distanza. Gli autori di Walt Disney, solo per fare un esempio, non hanno trovato nome migliore che il suo per rappresentare il più geniale degli inventori a fumetti. Noi stessi ci richiamiamo a lui e gridiamo Eureka! quando un’idea folgorante ci rende finalmente tutto chiaro. E anche molti scienziati, pur senza prove decisive, pensano che sia stato lui lui l’autore del meccanismo di Antikythera, considerato il primo computer meccanico al mondo realizzato nel III secolo a.C. e capace di calcolare il moto dei pianeti e delle stelle nei cieli. 

Stiamo parlando, è ovvio, di Archimede di Siracusa. Che deve essere considerato – al di là di ogni mito – il più grande matematico e il più grande fisico teorico del mondo antico e uno dei più grandi di ogni tempo.

Eppure di questa figura straordinaria (ma, come vedremo, non isolata) non esiste una biografia fondata sui fatti noti, piuttosto che sulla leggenda. Non una scritta per il grande pubblico, almeno. Ma dovremmo dire non esisteva, perché Lucio Russo ha appena pubblicato con l’editore Carocci un libro – Archimede. Un grande scienziato antico, 2019, p. 183, euro 18,00 – che finalmente copre questa lacuna. 

Lucio Russo è un grande esperto della scienza ellenistica, di cui ci ha fornito una chiave di lettura pressoché unica. Perché, secondo il fisico, matematico, filologo e storico la scienza è nata una e una sola volta, in epoca ellenistica. E la nostra scienza moderna ne è una discendente, anche sul piano strettamente epistemologico.

L’Archimede di cui ci parla in questo suo nuovo libro è, dunque, uno dei fondatori di quella particolare attività umana che chiamiamo scienza. Lucio Russo ci offre un ventaglio molto chiaro dell’attività scientifica di Archimede, sia come fisico (dall’idrostatica elementare alla meccanica, all’ottica e all’astronomia) sia come matematico (segnaliamo solo i metodi infinitesimali inaugurati dal siracusano che lo hanno portata a elaborare una teoria dell’integrazione, che in Europa sarà rivitalizzato solo molto tempo dopo, sul finire del Seicento, da Newton e Leibniz). Lucio Russo ci parla anche di Archimede come tecnologo, o meglio teorico e pratico della tecnologia fondata su basi scientifiche grazie alla quale ha realizzato macchine davvero innovative, come quelle per sollevare pesi, la coclea (macchina per sollevare l’acqua), agli orologi, anch’essi fondati sull’acqua. 

Quella di Lucio Russo è una biografia ammirata (e come non potrebbe esserlo!), ma non un’apologia. Ci parla anche di qualcuno dei rari errori commessi dal siracusano. Uno è di omissione, a proposito di astronomia. Archimede aderisce alla visione eliocentrica di Aristarco e alla sua conseguenza, l’enorme dimensione dell’universo e l’enorme distanza dalla Terra delle stelle fisse. Ma commette, appunto, un errore di omissione: non ricorda due concetti fondamentali del sistema di Aristarco: il moto diurno della Terra e le orbite degli altri pianeti intorno al Sole. Ma chissà se questo peccato è un errore di omissione di Archimede o solo la mancanza di un’informazione completa sul suo pensiero.

Già, perché come ricorda Lucio Russo, purtroppo di Archimede non sono giunte fino a noi tutte le opere. Noi ne conosciamo solo una parte. Il libro di Russo ci convince però che questa parte che di Archimede conosciamo è sufficiente per fare di lui, come abbiamo detto, uno dei più grandi fisici e uno dei più grandi matematici di ogni tempo. 

I grandi scienziati vissuti in epoca ellenistica, soprattutto nella sua età d’oro, sono moltissimi. Ma il grande pubblico ne conosce soprattutto due: Euclide, grande geometra, e Archimede, grande appunto sia in matematica che in fisica (teorica e applicata). Ma uno dei meriti principali di questo nuovo libro e, più in generale, dell’approccio alla storia della scienza di Lucio Russo è riconoscere e dimostrare che non esistono geni assoluti che vivono in un deserto cognitivo. Archimede come Euclide hanno potuto esprimere le loro potenzialità creative perché hanno operato al posto giusto nel momento giusto. Sono stati espressione (e che espressione!) di una comunità. Della prima comunità scientifica della storia.

Archimede è certamente nato e vissuto a Siracusa. La data in cui è venuto alla luce normalmente proposta – il 287 a.C. – non è certa. Molto più affidabile è la data della morte – il 212 a.C. – perché coincide con la conquista di Siracusa da parte dell’esercito di Roma. Molte fonti sostengono che Archimede fu ucciso da un soldato romano, ma sulle modalità dell’evento ci sono diverse versioni. 

Certo è, anche, che Archimede aveva partecipato alla difesa della sua città. E quella sua partecipazione è entrata nel mito. Si è parlato persino di improbabili specchi ustori con cui il grande scienziato avrebbe incendiato le navi romane. Un mito ormai sfatato. Quello che Lucio Russo propone di ulteriore è, come abbiamo detto, considerare Archimede non come un genio assoluto e isolato anche nell’ambito dell’ingegneria militare, ma come esponente di una cultura tecnologica molto avanzata che i romani non possedevano. L’esercito vincitore è colpito da quella sofisticata tecnologia e la attribuisce a un singolo uomo, mentre è, per l’appunto, frutto di una cultura estesa.

Estesa alla città e all’intero mondo ellenistico. Siracusa ha avuto un ruolo di primaria importanza nella storia del mondo greco. In una certa fase è stata la massima potenza marinara, capace di sconfiggere anche gli Ateniesi. E ancora nel III secolo è città molto ricca e potente, anche grazie al lungo regno di Gerone II: un sovrano con cui Archimede ha stretti rapporti e di cui forse è parente. Certo lo scienziato appartiene alla classe colta della città: probabilmente il padre era un astronomo. Il che rende evidente che a Siracusa le scienze non erano affatto estranee. 

Ma Lucio Russo ci ricorda che, nel mondo ellenistico, c’era una città che superava ogni altra in fatto di scienza. Questa città era Alessandria d’Egitto, dove con ogni probabilità Archimede ha studiato per un certo periodo, non sappiamo quanto lungo. Sappiamo però che era in stretto contatto con la comunità scientifica alessandrina. Già, perché Alessandria è la città in cui l’idea stessa di comunità scientifica si realizza. La sua famosa Biblioteca, col suo altrettanto famoso Museo, è un vero e proprio centro di ricerca avanzata, che raccoglie in grande quantità anche scienziati che vengono da ogni parte dell’ex impero di Alessandro Magno. Euclide, per esempio, è un egiziano nato presumibilmente nel delta del Nilo. Eratostene, che ha diretto la Biblioteca e con cui Archimede si rapporta, è di Cirene, in Libia. Ipparco, che appartiene alla generazione successiva e che si ricorderà delle opere astronomiche di Archimede, viene da Nicea, in Asia Minore (l’attuale Turchia). 

Alessandra d’Egitto è la capitale della scienza ellenistica al tempo di Archimede e lo resterà per almeno settecento anni. Ma non è l’unica città dove si fa scienza. L’attività di ricerca e di produzione di nuova conoscenza appartiene a tutto il mondo ellenistico (come dimenticare Pergamo, per esempio?) ed è frutto di una serie di cofattori culturali, sociali ed economici che mancheranno totalmente nell’impero romano, che, come ha ricordato Lucio Russo in un libro seminale: La rivoluzione dimenticata. Roma, appunto, si dimentica della straordinaria fioritura scientifica che si è realizzata nel mondo ellenistico. 

Di questa fioritura Archimede è uno dei fiori. Certo tra i più brillanti, ma non l’unico. Il che non ne sminuisce il valore. Anzi, lo esalta. Perché è facile che un fiore si distingue se nasce nel deserto. Molto più difficile è distinguersi in uno sterminato campo di fiori. Archimede lo ha fatto.

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