SCIENZA E RICERCA

È arrivata la pioggia ma la siccità record in Italia mette a dura prova l'agricoltura

Dopo 111 giorni la pioggia è tornata a bagnare il Nord Italia ma difficilmente basterà a risolvere i problemi causati da uno dei più lunghi periodi senza precipitazioni che siano mai stati registrati negli ultimi decenni. I fiumi sono in secca e i campi sono aridi: prima dell'arrivo delle piogge preparare i terreni per le semine è stato impossibile e le incognite per i prossimi mesi sono molte visto che la stagione irrigua è sempre più anticipata e il fabbisogno di acqua cresce.

Lo stato del fiume Po rende bene l’idea dell’emergenza: diversamente da altre annate, come il 2003, adesso la crisi idrica non è più estiva o tardo primaverile ma ha avuto inizio già durante l'inverno quando le falde e i terreni dovrebbero rifornirsi proprio per far fronte alla stagione più secca. Nell’area del Grande Fiume la siccità ha fatto addirittura riemergere i resti dell'antico villaggio medievale di Borgo Franco, in provincia di Alessandria, che era finito sott’acqua nel 1800, mentre nel reggiano sono riaffiorati i relitti di un'imbarcazione affondata durante la seconda guerra mondiale. Ma è l'unico aspetto suggestivo di una situazione che di positivo non ha nulla: basta dare uno sguardo alle immagini dei campi intorno al Po, dove l’aridità del terreno impedisce agli agricoltori le semine di cereali, per capire che l’assenza di acqua avrà pesanti ripercussioni anche a livello economico in un’area che da sola (considerando l’intero bacino idrografico) rappresenta il 40% del Pil nazionale, come ricorda un recente rapporto dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po.

La stessa Adbpo - l’ente incaricato di tutelare l’esistenza del più grande fiume italiano che scorre per 652 chilometri toccando sette Regioni e oltre tremila comuni italiani - poco prima dell'arrivo della pioggia aveva spiegato che tutte le stazioni di registrazione risultavano al di sotto della soglia di emergenza e avevano raggiunto i livelli più bassi dal 1972. A tutto ciò si unisce anche la scarsità di neve sull'arco alpino con una riduzione che nei punti più critici è arrivata al -80% rispetto alle medie, con tutte le ovvie ricadute in termini di possibilità di riempimento dei bacini idrici e fluviali.

Solo nell’ultimo mese il deficit di pioggia sull’intero distretto è risultato superiore ai 100 millimetri in meno (pari a -92%) e non sorprende che a soffrire siano  anche i grandi laghi e gli invasi artificiali visto che, ricorda sempre Adpbo, l'inverno 2021-2022, è stato uno dei più caldi e secchi di sempre, con un deficit medio di precipitazioni che ha toccato –65%.

In altre parole è caduta appena un terzo dell'acqua che ci si poteva attendere, con una carenza che nel mese di febbraio è risultata particolarmente accentuata. Febbraio è stato inoltre caratterizzato da temperature decisamente elevate che hanno superato di oltre 2°C le medie del periodo, soprattutto in alcune aree del Nord tra cui la pianura veneta. 

Una delle regioni più colpite dalla siccità è stata il Piemonte. L'ultimo bollettino dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, pubblicato il 22 marzo in occasione della Giornata mondiale dell'acqua, definiva la stagione invernale 2021-22 "tra le più anomale mai osservate negli ultimi 65 anni" e sottolineava che "l'incremento delle temperature e l'aumento della frequenza di periodi di non pioggia stanno determinando sempre più spesso episodi di siccità con conseguenti impatti sulla disponibilità di risorsa idrica e risvolti negativi sull'attività produttiva in campo agricolo e sull'ambiente". Impatti che, prosegue sempre Arpa Piemonte, "stanno iniziando ad interessare anche il settore idropotabile". 

Ci si affida dunque alla pioggia di questi giorni ma quanto accaduto durante l'inverno apre molte riflessioni sulle conseguenze dei cambiamenti climatici e su cosa potrà accadere all'Italia che, data la sua posizione nel Mediterraneo, è un hotspot delle trasformazioni in atto e dunque rischia di pagare un prezzo molto alto davanti a fenomeni metereologici più catastrofici e più intensi, con precipitazioni brevi e violente, e prolungati periodi siccitosi. La disponibilità di acqua continuerà quindi a calare e sulla risorsa, come vedremo meglio in seguito, incide anche una gestione non sempre ottimale che porta a perdite e sprechi.

Uno dei settori che dipende maggiormente dall'andamento del clima è senza dubbio l'agricoltura. Una fabbrica a cielo aperto, come viene a volte definita. Quest'anno le semine primaverili di mais, soia, riso e girasole sono iniziate in ritardo e tra mille difficoltà perché i terreni erano troppo secchi e non era possibile effettuare le lavorazioni necessarie. Tutto questo accade poi in un momento particolarmente delicato in cui, per fronteggiare la crisi alimentare legata alla guerra in Ucraina, l'Unione europea ha dato il via libera alla coltivazione di 200 mila ettari in Italia per la produzione di mais e grano in modo da ridurre la dipendenza dall'estero (complessivamente sull'intero territorio dell'Ue gli ettari di terreno in più, precedentemente a riposo e ora autorizzati alla coltivazione, saranno circa quattro milioni). 

Il conto che la siccità presenta all'agricoltura italiana è, secondo Coldiretti, pari a un miliardo di euro e questo la rende ormai la calamità più rilevante per le coltivazioni del nostro Paese, con danni che superano quelli delle ondate di gelo, delle tempeste di vento o delle grandinate. Anche il sesto rapporto dell'IPCC, pubblicato il 28 febbraio, va in questa direzione: il fact sheet dedicato all’Europa ha individuato quattro rischi fondamentali legati all'impatto dei cambiamenti climatici sul Vecchio Continente e tra questi c'è lo stress sulle coltivazioni agricole dovuto a calore e siccità che porterà a significative perdite di produzione nel corso dell'intero secolo. L'irrigazione, spiega il rapporto, è un'opzione efficace di adattamento per l’agricoltura ma la capacità di metterla in atto sarà limitata in modo crescente dalla disponibilità di acqua. 

La situazione dell'Italia, come accennato prima, è ancora più delicata perché la regione Mediterranea è una zona in cui gli effetti del cambiamento climatico si faranno sentire in modo ancora più critico e veloce. "In questa area geografica, influenzata dal clima arido del Nord Africa e da quello temperato e piovoso dell'Europa centrale, è previsto un riscaldamento che supera del 20% l'incremento medio globale e una riduzione delle precipitazioni in contrasto con l'aumento generale del ciclo idrologico nelle zone temperate comprese tra i 30° N e 46° N di latitudine", si legge in un recente rapporto del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC).

Restando sull'attualità l'ultimo bollettino dell'Autorità di bacino distrettuale del fiume Po ha fatto sapere che "le precipitazioni previste potrebbero non essere in grado di compensare anche solo una parte del deficit idrico in un periodo epocale di siccità che ha impoverito falde sotterranee e riserve" e per il futuro non è escluso che si debba ricorrere a misure di razionamento dell'acqua.

Guardando avanti ci si domanda cosa dovrà fare il comparto agricolo per non soccombere davanti alle conseguenze dei cambiamenti climatici e di questo tema abbiamo parlato con Mauro Mandrioli, professore del dipartimento di Scienze della vita all'università di Modena e Reggio Emilia.

"Il problema vero è che la situazione che abbiamo vissuto questo inverno non è qualcosa di eccezionale ma a partire dal 2016 è diventata davvero ricorrente. Questo purtroppo ci porta ad parlare di una nuova normalità, un’espressione forse un po’ abusata ma molto reale", ha spiegato il professor Mandrioli a Il Bo Live aggiungendo che per affrontare questo scenario le soluzioni tecnologiche non mancano, sia a livello di maggiore efficienza nell'uso della risorsa idrica, sia sul versante dello sviluppo di varietà più resistenti alla siccità, ma occorre "avere ben chiari gli obiettivi" e ricordare che "non esiste un unico modello di agricoltura, ma tante agricolture diverse". 

L'intervista completa a Mauro Mandrioli sulle conseguenze della siccità per l'agricoltura italiana e sulle possibili soluzioni per limitare i danni. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Non siamo abituati a pensare all’Italia e in generale all’Europa come un’area geografica a rischio siccità - introduce Mauro Mandrioli - ma se guardiamo i dati dobbiamo aspettarci di avere sempre più inverni come quello appena trascorso, con pochissime precipitazioni e pochissima neve, e soprattutto estati con temperature veramente molto torride.

L'area del Mediterraneo si troverà ad essere particolarmente colpita dalle conseguenze del riscaldamento globale e, come detto, diventerà più calda e siccitosa. Secondo la già citata ricerca del Mit durante la stagione invernale il calo delle precipitazioni potrà arrivare al 40% e gli autori sottolineano che questo andrà a limitare la capacità della regione di sviluppare e coltivare cibo.

Piogge concentrate in eventi estremi

Se si guarda alle precipitazioni su scala annuale il calo può non apparire così evidente. Il grande problema è però che le piogge si concentrano in episodi brevi, capaci di provocare gravi danni più che di riempire le falde (compromesse anche dalla risalita del cuneo salino).

In un'intervista al Corriere Massimo Gargano, direttore generale dell’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi), ha ricordato che "in Italia cade la stessa quantità di acqua di 30 anni fa: circa 300-350 miliardi di metri cubi all’anno" ma "episodi estremi che avvenivano ogni 20-30 anni, se non di più, ora capitano ogni 3-5 anni". 

Anche Mandrioli si sofferma sugli eventi estremi citando l'European Severe Weather Database che mostra un "trend di aumento clamorosamente preoccupante" e ragionando sulle conseguenze per le coltivazioni il docente osserva che "ci sono dei periodi in cui l’acqua nel terreno è troppa perché piove moltissimo in poco tempo e quindi c’è un problema di ipossia. Questo pone anche un problema di varietà coltivate perché devono essere in grado di tollerare la siccità ma anche di sopravvivere quando i terreni sono letteralmente sommersi".

Le coltivazioni più a rischio siccità 

Tra le coltivazioni più dipendenti dalla disponibilità di acqua ci sono mais, soia e girasole che si dovrebbero seminare proprio in questo periodo. 

"Anche se spesso non ci piace ragionare su questo aspetto non dobbiamo dimenticare che gli agricoltori devono fare i conti con le spese e le aspettative di resa: è chiaro che in annate come queste in cui il trend potrebbe essere di carenza di acqua tutto l’anno seminare queste coltivazioni che sono molto idroesigenti potrebbe essere un investimento azzardato", osserva Mauro Mandrioli. 

"E in un anno come questo in cui causa anche la guerra in Ucraina noi stiamo chiedendo ai nostri agricoltori di aumentare le superfici coltivate proprio per poter dipendere meno dalle importazioni si chiede loro di esporsi tanto dal punto di vista economico", continua il docente del dipartimento di Scienze della vita dell'università di Modena e Reggio Emilia.

Gli agricoltori sanno bene quanto la produttività (quindi anche la redditività e in un'ultima analisi la sostenibilità economica della propria azienda) dipenda dall'andamento stagionale e quello che ci si attende dal clima può orientare in modo decisivo le scelte, in termini di varietà su cui puntare, piani di concimazione o strategie di difesa da insetti o parassiti. 

E se c'è chi fa notare che nelle latitudini settentrionali potrebbero aprirsi spazi di coltivazione inediti dove prima era troppo freddo, il rovescio della medaglia è che si rischia di dover ridisegnare l'agricoltura (e il paesaggio) di ogni Paese. Frutti tropicali che arrivavano da continenti lontani in Sicilia e altre regioni del sud potrebbero diventare a chilometro zero e le coltivazioni mediterranee saranno costrette a spostarsi verso nord.

Più efficienza nell'uso dell'acqua 

Per reagire ai cambiamenti climatici e al loro impatto sull'agricoltura bisogna agire su più fronti, cominciando dalle soluzioni che consentono di risparmiare l'acqua e di accumulare le riserve quando piove.

"Così facendo, in una stagione con una normale disponibilità della risorsa idrica, l’agricoltura diventerà più sostenibile. In una stagione dove l’acqua è carente risparmiare questa risorsa diventa fondamentale. E’ possibile farlo in due modi: la prima è cambiare quello che noi coltiviamo, eliminando le coltivazioni che consumano troppa acqua. Questo però vorrebbe dire cambiare completamente il paesaggio e modificare la vocazione delle aziende agricole. L’alternativa è realizzare nuovi invasi, bacini idrici in cui l’acqua quando è disponibile possa essere conservata. Ci sono regioni in cui gli ultimi invasi risalgono a 30 o 40 anni fa e in questo lasso di tempo la disponibilità di acqua è enormemente cambiata. In questo ci può venire in aiuto il Pnrr perché stanzia quasi un miliardo di euro proprio per la gestione dell’acqua", spiega Mandrioli.

Oggi, ricordava sempre Massimo Gargano nell'intervista al Corriere, riusciamo a raccogliere solo l'11% dell'acqua piovana. Un vero spreco, vista anche la carenza di precipitazioni a cui dobbiamo abituarci. E' quindi il momento giusto per un cambio di passo.

"L’aspetto interessante è che alcune Regioni, come Emilia-Romagna e Veneto che sono strategiche per le pruduzioni agroalimentari italiane, hanno l’idea di non realizzare grandi invasi artificiali come si faceva in passato ma di fare una rete di piccoli invasi che vadano anche a sfruttare spazi con una normale vocazione per la conservazione dell’acqua, come piccoli stagni o laghetti. Il primo intervento è proprio trattenere il più possibile l’acqua piovana", continua Mandrioli.

Poi dobbiamo adottare tutte quelle soluzioni che ci permettono di ottimizzare l’utilizzo dell’acqua e qui ci viene in aiuto la tecnologia. "Esistono già delle app specializzate in questo. Un bellissimo esempio è Irriframe: una volta che l'agricoltore ha specificato il tipo di coltivazione e di suolo e dove è localizzata la sua azienda questa app compie un’operazione molto complessa perché prende la tipologia di suolo, la disponibilità di acqua in falda e le previsioni meteo, identifica il fabbisogno idrico e comunica all’agricoltore quando, dove e quanto è necessario irrigare. Oppure si possono usare dei sensori che ci permettono di sapere quanta acqua è presente nel suolo. Serve anche aggiornare il modo in cui irrighiamo a favore di sistemi, come quello a goccia, che consentono di risparmaire il consumo di acqua. Abbiamo tante tecnologie su cui contare, speriamo che il PNRR possa essere un’occasione concreta".

Editing genomico per sviluppare nuove varietà

Per evitare di dover sottoporre ad un trasloco le coltivazioni tipiche dei diversi territori e di ridisegnare la geografia dell'agricoltura italiana e mondiale un'altra possibile risposta può essere lo sviluppo di varietà in grado di tollerare meglio la siccità o di richiedere meno acqua.

Riuscirà CRISPR a far cambiare sguardo sull’agricoltura? Con questo titolo un approfondimento di Nature Italy pubblicato la scorsa estate si domandava se il sistema di editing genetico CRISPR/Cas e altri strumenti innovativi potessero contribuire a rimettere in gioco, in ambito normativo e nel dibattito pubblico, delle tecnologie sulle quali continua a pesare l'accostamento con "i vecchi Ogm". 

"A differenza di alcune tecniche di modificazione genetica sviluppate nel secolo scorso, non prevedono necessariamente il trasferimento di materiale genetico da un organismo a un altro. Ma a causa del lungo periodo di incertezza sul loro status normativo, le sperimentazioni in campo su piante modificate con le nuove tecniche genomiche sono ancora scarse in tutta Europa", ricorda Nature Italy.

"In America Latina sono già state portate in campo le prime varietà di mais ottenute con le metodiche di editing del genoma. Si tratta di mais che è stato geneticamente migliorato proprio per resistere maggiormente agli stress idrici. All’interno dell’Ue è ancora in discussione quello che sarà lo spazio per le nuove metodiche di miglioramento genetico. Una risposta era attesa l’estate scorsa ma nei fatti è stato tutto rimandato alla prossima estate. E’ un passo molto importante perché dobbiamo decidere se queste nuove metodiche di selezione assistita in laboratorio saranno equiparate agli Ogm degli anni ’90 oppure no. Qualora si decidesse di non sostenere queste tecnologie ci troveremmo nell’impossibilità di creare nuove varietà in modo veloce e forse ci esporremmo ancora di più al fatto di doverle comprare. Quindi il paradosso è che non solo le dovremmo importare ma compreremo anche le nuove varietà", spiega Mauro Mandrioli.

"Quando si parla di queste nuove metodiche sento spesso dire che è un modo nuovo per fare i soliti Ogm. In realtà non è vero perché le metodiche che oggi utilizziamo in laboratorio si basano sulla tecnologia CRISPR che ci permette di fare delle modifiche genetiche mirate, in modo veloce, economico e preciso. Uno strumento con caratteristiche simili non lo abbiamo mai avuto e non lo avevano i genetisti negli anni ’80 quando hanno iniziato a costruire le varietà che poi abbiamo definito Ogm. In più oggi l’idea non è tanto di fare una trasngenesi, cioè di prendere dei peni e spostarle tra viventi, quanto di fare una cisgenesi, vale a dire spostare sì dei geni in laboratorio, ma tra specie o varietà che sarebbero naturalmente interfertili. Oppure di andare a fare singole correzioni nel Dna, replicando delle mutazioni che potrebbero avvenire anche in natura. Quello che cerchiamo di fare è semplicemente ripetere in laboratorio, quindi in tempi brevi, quello che potrebbe avvenire anche in campo però su tempi molto lunghi. Quindi non più geni di batteri messi nelle piante, ma geni di un melo messi in un altre varietà di melo o geni di pomodoro messi in un’altra varietà di pomodoro replicando quello che potrebbe avvenire spontaneamente in natura", continua l'esperto.

Quale agricoltura per sfamare (nel 2050) 9 miliardi di persone?

Oggi coltiviamo la metà della terra abitabile: come potremo dar da mangiare alle generazioni future senza distruggere l'ambiente in cui viviamo? A questa domanda Mauro Mandrioli ha provato a rispondere nel libro Nove miliardi a tavola. Droni, big data e genomica per l'agricoltura 4.0, pubblicato nel 2020 da Zanichelli.  

"Poco fa abbiamo raggiunto gli 8 miliardi di persone sulla Terra. Il trend di crescita è impressionante e non ha dei precedenti nella nostra storia. L’idea è considerare che non esiste un’unica agricoltura ma ci sono tante agricoltura diverse. Il risultato da raggiungere è la sostenibilità, questo vuol dire chiedere agli agricoltori di usare meno risorse ma dall’altro lato dobbiamo essere anche noi, come singoli individui, a ridurre i nostri consumi e a valutare le nostre scelte alimentari. Sappiamo, ad esempio, che la carne ha indubbiamente un impatto ambientale molto superiore rispetto ai legumi. E soprattutto dobbiamo ridurre gli sprechi. Non dimentichiamo che quasi il 30% di quello che viene prodotto finisce nella spazzatura prima di essere consumato". 

E per concludere Mandrioli torna sulla complessità dell'agricoltura e su come sia fuorviante cercare di farla aderire ad un unico modello che vada bene ovunque. "Se prendiamo la strategia del Green Deal europeo si dice che per raggiungere la sostenibilità dobbiamo aumentare le coltivazioni biologiche. Il biologico è una delle agricolture che possiamo usare per aumentare la sotenibilità del comparto ma non potremo mai produrre tutto con questo metodo perché sappiamo che non ci darà mai le stesse rese dell’agricoltura convenzionale. Laddove riusciamo a produrre in biologico con delle rese accettabili l’agricoltura biologica sarà la nostra soluzione ma in moltissimi altri casi questo risultato sarà ottenuto in altri modi, ad esempio con nuove varietà o con soluzioni tecnologiche verso un’agricoltura sempre più di precisione".

"Dobbiamo mettere in campo tante soluzioni avendo però chiaro che ci deve essere un contributo da parte di tutti, dal politico che mette a disposizione risorse e normative al cittadino che pone attenzione al modo in cui consuma. E poi premiare gli agricoltori che sono sostenibili nel mondo in cui producono".

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