SCIENZA E RICERCA

Arte o natura, quale delle due è più efficace nell'indurre il senso del sublime?

È paura, sgomento, ma anche meraviglia e intensa gioia quella strana sensazione di percepire l'infinito e di intuire, finalmente, la perfetta connessione di tutte le cose e scoprire noi stessi, per quanto minuscoli, come parte del tutto. Stiamo parlando del senso del sublime, un'emozione difficile anche solo da descrivere a parole, che è stata oggetto di riflessione per secoli da parte di filosofi, artisti e scienziati.

Alcuni ricercatori hanno unito le loro competenze in filosofia, psicologia, neuroscienze e matematica per indagare il senso del sublime da un punto di vista scientifico. Hanno chiesto a 50 persone di immergersi in due paesaggi ricostruiti con le tecniche di fotografia 360: il primo era il famosissimo quadro Notte stellata di Van Gogh, il secondo era una foto di una veduta di Saint-Rémy-de-Provence. Si trattava quindi dello stesso panorama rappresentato nel dipinto, ma nella sua versione “reale”.

Il primo autore dello studio è Alice Chirico, assegnista di ricerca all'università Cattolica di Milano, che si occupa da anni di studiare le emozioni complesse. “Mi sono occupata, in particolare dell'awe, ovvero l'emozione di “profonda meraviglia” che oggi viene considerata l'erede del sublime nella sua versione contemporanea”, spiega a Il Bo Live. “Eppure, insieme al mio gruppo di studio mi sono resa conto che questa era più un'assunzione teorica che un dato di fatto. Per studiare le emozioni in diverse culture da quelle in cui sono state nominate per la prima volta (l'awe fa parte della cultura anglosassone, ad esempio) bisogna stabilire una linea di collegamento tra due mondi”. Il sublime e l'awe sono al centro degli interessi della dottoressa Chirico. Alcuni anni fa ha partecipato anche a uno studio che aveva lo scopo di indagare le somiglianza tra awe e sublime mettendo a confronto diverse teorie filosofiche, di psicologia e neuroscienze. È inoltre coautrice, insieme al professor Andrea Giaggioli, del primo libro italiano su profonda meraviglia e sublime: La profonda meraviglia, la psicologia dei momenti di eternità (San Paolo Edizioni, 2021).

“Faccio parte di un team di scienziati provenienti da ambiti disciplinari diversi” racconta la dottoressa Chirico. “Ci siamo sfidati a vicenda a pescare dalla tradizione filosofica delle questioni fondamentali che riguardassero il sublime e poi a cercare di dare loro una risposta utilizzando i mezzi della scienza contemporanea, trasformandole in delle vere e proprie research questions, cioè domande di ricerca analizzabili e testabili usando un paradigma di tipo sperimentatale. La domanda che ha guidato uno dei nostri ultimi studi, in particolare, era la seguente: tra arte e natura, quale mezzo è più efficace per indurre il senso del sublime?

Si tratta di una questione tutt'altro che banale, che per essere risolta necessita prima di tutto di una definizione di sublime indagabile da un punto di vista scientifico.

“Abbiamo usato una definizione molto semplice, che è quella fornita dalla psicologia, che concettualizza il sublime come un'emozione”, spiega la dottoressa Chirico. “Questo ci ha permesso di avvalerci di una serie di metodologie, tecniche e strumenti di misurazione molto radicati nella tradizione dello studio delle emozioni. In psicologia, il sublime è considerato un'emozione mista, poiché, secondo la definizione di Edmund Burke, prevede una compresenza di emozioni positive e negative, e complessa, perché ha delle sottocomponenti emotive la cui interazione sembra essere responsabile dell'esperienza sublime. In questo modo siamo riusciti a circoscrivere l'oggetto della nostra ricerca e ad uscire dall'ambiguità della filosofia, in cui il sublime viene considerato sia come esperienza, sia come stimolo, sia come riposta a uno stimolo, creando quindi una certa confusione riguardo alla sua natura.

A quel punto, la domanda poteva essere riformulata in questo modo: è più intenso il sublime eccitato da un format artistico o naturalistico dello stesso contenuto? Abbiamo perciò immerso i partecipanti alla ricerca in due scenari diversi ricostruiti in 360, che avevano lo stesso contenuto, ovvero la Notte stellata di Van Gogh. Questa veniva mostrata nella versione artistica – mettendo lo spettatore dentro il quadro – e poi in una versione naturalistica – usando una foto scattata a quello stesso paesaggio di Saint-Rémy-de-Provence.

Abbiamo quindi chiesto ai partecipanti, che essendo italiani sapevano cosa fosse il sublime per retaggio delle scuole superiori, quanto sentissero questa esperienza di sublime in mezzo a tante altre esperienze emotive. Oltre al sublime, abbiamo testato quindi anche altre emozioni di base potenzialmente indotte da quegli stimoli. Sorprendentemente, abbiamo scoperto che lo scenario artistico e quello naturalistico avevano un'efficacia molto simile nel condurre un'esperienza generale di sublime.

Non ci siamo fermati però a considerare solo la “quantità di sublime” ma anche le sue sfumature. Attingendo nuovamente alla filosofia, abbiamo identificato diverse dimensioni che si mescolano nell'esperienza del sublime: la rarità dell'esperienza, l'autotrascendenza, la complessità concettuale che si vive in risposta all'esperienza, la percezione di un pericolo esistenziale o di una sicurezza esistenziale, la percezione della vastità fisica e psicologica e infine il bisogno di condividere queste esperienze con gli altri. Misurando quindi le diverse sfumature che caratterizzano il senso del sublime, abbiamo scoperto che effettivamente esistono delle differenze in cui l'arte e la natura stimolano questa emozione”.

In particolare, le differenze tra le reazioni emotive suscitate dai due scenari riguardano soprattutto la percezione del pericolo o della sicurezza esistenziale. L'arte sembra essere in grado di rassicurare maggiormente le persone rispetto alla natura.

“Certo, l'immaginazione è una capacità che va sviluppata, essa soltanto ci consente di creare una natura più esaltante e più consolatrice di quella che un semplice sguardo alla realtà ci concede di scorgere. Un cielo stellato, per esempio, ecco – è una cosa che vorrei provare a fare”.

Lettera di Van Gogh a Émile Bernard, 1888.

“La percezione del pericolo era significativamente inferiore nel paesaggio artistico rispetto a quello naturale. In questo secondo caso veniva anche veicolato un senso di vastità inferiore. La sicurezza esistenziale, che è la controparte del pericolo esistenziale, era sempre superiore nel caso dell'arte rispetto alla natura.

Nel fare queste valutazioni abbiamo tenuto conto del fatto che tutti i partecipanti conoscevano il quadro, pur talvolta senza ricordane il titolo. Abbiamo poi considerato alcune variabili potenzialmente intervenienti, come ad esempio le preferenze artistiche, la conoscenza dell'arte e la predisposizione verso il bello e le emozioni positive. Ebbene, abbiamo notato che queste variabili non hanno effetti nel determinare le differenze delle reazioni emotive che abbiamo registrato”.

Un altro aspetto interessante riguarda la scelta di servirsi della fotografia 360 per rendere l'esperienza più verosimile possibile per i partecipanti e catturare quindi una loro reazione autentica. Viene da chiedersi, allora, che differenza può fare, in termini di accuratezza e affidabilità dei risultati, l'uso di tecnologie immersive in esperimenti che mirano a registrare le emozioni o i comportamenti delle persone rispetto, ad esempio, alla somministrazione di questionari con domande del tipo: “come ti sentiresti se ti trovassi in questo paesaggio?” “Quali emozioni ti provoca la vista de La notte stellata?”

“Questa è una domanda che ci siamo posti di recente anche riguardo all'awe”, afferma la dottoressa Chirico. “Un'area scoperta nello studio della profonda meraviglia riguarda proprio l'influenza che può avere l'aspettativa di provare questa emozione in una specifica circostanza, ad esempio davanti a un panorama di montagna, sull'intensità dell'emozione che effettivamente viviamo trovandoci davvero in quella situazione. Chiedere ai partecipanti di immaginare uno scenario è diverso dal condurli dentro quello scenario utilizzando la realtà virtuale. Sono due forme di induzione emotiva differenti. Nel secondo caso, infatti, l'immaginazione viene eliminata.

Non disponiamo al momento di dati provenienti dalla letteratura scientifica che possano fornici degli indizi. La mia opinione è che servirsi dell'immaginazione del partecipante e usare la realtà virtuale permettono di indagare due costrutti diversi: da un lato, infatti, si studia l'aspettativa, che è poco analizzata in modo sistematico sia in psicologia che nelle neuroscienze, ma più conosciuta da chi si occupa di economia e statistica. Dall'altro lato, invece, si vuole registrare un'emozione vissuta in risposta a uno stimolo specifico in un determinato momento. Sicuramente la realtà virtuale è utile per studiare delle esperienze particolarmente complesse, come il senso del sublime, perché ci permette di catturarle e osservarle da vicino, quasi come se fossero degli animali rari”.

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