CULTURA

Ascanio Celestini e la libertà della conoscenza

La preparazione dello spettacolo è stata travagliata, racconta Celestini alla fine dell'anteprima nazionale di Storie di persone, il lavoro prodotto da Fabbrica srl e appositamente scritto e creato per l'Ottocentenario dell'università di Padova. Dagli applausi di un teatro Verdi che ha visto il quasi tutto esaurito, si direbbe che il risultato sia valso lo sforzo e che ragionare sugli ideali e sui diversi approcci dei singoli protagonisti delle storie non sia per fortuna fuori moda.
Con Storie di persone Celestini racconta storie di libertà, prendendo spunto dal motto del nostro ateneo universa universis patavina libertas tratteggiando personaggi con anime differenti e sfaccettate, che declinano questo ideale a seconda dei loro diversi vissuti.

Il concetto di libertà a volte può sembrare intangibile, ma sa diventare anche dolorosamente concreto. Sulla carta in effetti è diverso essere le vittime dello sfruttamento della prostituzione o essere prigionieri della propria ignoranza, e non tutti sanno rendersi conto di essere chiusi in una gabbia. E siccome la consapevolezza è il primo passo per emergere dal gorgo della schiavitù, non tutte queste storie avranno un lieto fine: per spezzare le catene dobbiamo vederle, e l'ottenimento dell'indipendenza prevede uno sforzo attivo, che non tutti sono disposti a fare.

Abbiamo intervistato Ascanio Celestini per parlare dello spettacolo e più in generale del concetto di libertà, e siamo finiti a parlare di scelte e di fisarmoniche lasciate in un angolo senza rimpianto.

servizio di Anna Cortelazzo, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Celestini ci racconta che Storie di persone è il tassello di un mosaico che ha cominciato a costruire nel 2015: inserendosi perfettamente nella corrente del teatro di narrazione, ha messo in scena gli sprazzi di vita degli abitanti delle periferie, tra il parcheggio del centro commerciale e il magazzino dove si fa "logistica", una parola che per i conoscenti di uno dei protagonisti è tanto oscura quanto poco interessante, al punto che lui per semplificare si definirà "facchino".
I personaggi di queste storie, quelle rappresentate al Verdi ma anche quelle degli altri spettacoli passati, vanno a comporre una sorta di fotografia scattata dall'alto di una periferia apparentemente sonnolenta, ma che prende vita man mano che ci si avvicina, perché quello che appare insignificante nel quadro generale è invece avvincente per chi lo sta vivendo.

Ma è possibile per questi personaggi soddisfare quell'afflato di libertà che fa capolino tra una cena con gli amici e uno scatolone da spostare? Non sempre: per prima cosa è necessario rendersi conto di essere prigionieri. Non ci riesce un uomo che ripete a pappagallo un'intera enciclopedia di stereotipi sugli zingari, perché l'ignoranza è una padrona che si nutre delle frustrazioni dei suoi schiavi: se tuo figlio si ammala, magari la colpa è proprio del compagno di scuola che alle elementari se ne sta sempre fuori a fumare, e che poi torna alle baracche dei genitori che chissà quanti soldi hanno nascosto in giro, e chissà quali riti arcani gli hanno insegnato per far finire il compagno di scuola in sedia a rotelle, magari solo perché quest'ultimo non gli parlava, rendendo il padre così fiero. Certo, non bisogna dirlo forte perché altrimenti si passa per razzisti, ma, pensa questo personaggio, è innegabile che le cose stiano così. E da convinzioni del genere è difficile liberarsi.

E poi ci sono anche modi strani per trovare la libertà: si possono dimenticare i nomi delle tue compagne di prigionia, e immaginare un futuro dove sarai tu a sfruttarle, come i tuoi aguzzini stanno facendo con te. Si può trovare la libertà nella rinuncia alla difesa della conoscenza, come ha fatto Galileo quando si è trovato davanti all'Inquisizione, perché forse il mondo non era ancora pronto alla sua rivoluzione, in senso fisico e astratto (del resto, ricorda Celestini, la Chiesa ha ammesso che la sua posizione era stata ingiusta solo nel 1992).

Anche l'università può dare un contributo nella ricerca della libertà: Celestini racconta la sua esperienza di studente che, pur non avendo concluso il suo percorso di studi, ha trovato nei libri di testo qualcosa che continua a nutrire la sua arte. "Tutti gli esami che ho dato mi hanno portato a leggere libri che consulto ancora adesso. In questi ultimi mesi per esempio sto portando avanti un lavoro su Francesco D'Assisi, quindi parliamo del Basso Medioevo, e l'unico esame di storia medievale che ho dato e i libri su cui ho studiato si sono rivelati utili". Non è un caso se una delle storie portate in scena parla della curiosità, e che sia proprio una maestra a far aprire gli occhi al protagonista: il detto che la curiosità uccide il gatto è falso, e anzi potremmo dire che la curiosità libera il gatto, e aiuta i bambini a esercitare quel senso critico che in futuro li aiuterà a capire cos'è importante per loro e cosa no. Se tuo padre per lavoro sposta 50.000 scatoloni, a te viene naturale chiederti che cosa contengano, soprattutto quando sei piccolo. Certo, il padre non potrà aprirli, o almeno non fisicamente, perché perderebbe il lavoro. Ma importa davvero quello che i pacchi contengono in realtà? Forse no, forse l'importante è solo portare avanti la storia, aprire mondi invece che scatoloni, chiedersi quello che contengono i pacchi piuttosto che saperlo. E quando lo capisci le tue catene si sgretolano.

Lo spettacolo spinge a riflettere, anche se non mancano le incursioni ironiche e qualche accenno all'attualità, anche negli intermezzi musicali del cantautore Alessio Lega, accompagnato da tastiera, xilofono e fisarmonica suonati da Rocco Marchi e Gianluca Casadei. E proprio la fisarmonica diventa l'inconsapevole protagonista del messaggio chiave che Celestini vorrebbe che arrivasse agli spettatori: quando si parla di conoscenza bisogna fare delle scelte, perché ci sono dei limiti. "Noi - spiega - possiamo pensare che nel corso della storia l'uomo può conoscere tutto, ammesso che quel tutto sia quantificabile, però singolarmente non possiamo farlo e a un certo punto dobbiamo fare una selezione. Io per esempio quando ho cominciato a fare teatro e ad avere qualche soldo mi sono comprato una fisarmonica, perché volevo imparare a suonarla. Una notte però mi sono reso conto che non ci sarei mai riuscito, perché non avrei avuto abbastanza tempo da dedicarci: la fisarmonica non era una priorità. Mi rendo conto che ci sono notti peggiori, ma per me è stato pesante".

Se c'è una cosa che trasmette Storie di persone è che la libertà non è un valore assoluto e uguale per tutti, così come non lo sono la felicità e il successo. Per qualcuno la felicità è il potere, per altri la famiglia, per altri ancora lo studio, e potremmo proseguire. Per questo prima di intraprendere il nostro percorso dobbiamo chiederci dove vogliamo arrivare, cosa faremo e cosa non faremo mai. "Io, conclude Celestini - con la fisarmonica in questa vita non ce la posso fare!".

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