SCIENZA E RICERCA
Biodiversity mainstreaming in Italia. Il caso del settore agricolo
Le aree protette rappresentano lo strumento politico, normativo e gestionale fondamentale per arginare la drammatica perdita dell’integrità biologica del pianeta. La criticità del loro ruolo è stata riconosciuta dal piano strategico per la biodiversità per il periodo 2011-2020 della Convenzione ONU per la biodiversità (Convention on Biological Diversity, CBD), che impegni i Paesi firmatari a un’espansione delle aree protette entro il 2020 “ad almeno il 17% delle aree terrestri e delle acque interne e ad almeno il 10% delle aree marine e costiere, specialmente per le aree di particolare importanza per la biodiversità e i servizi eco-sistemici”. Il piano, approvato nel 2010 in occasione della X sessione della Conferenza delle Parti della CBD, prevede il raggiungimento di una serie di 20 obiettivi strategici, noti come Aichi Biodiversity Targets. Di questi, il Target 11 affronta direttamente il tema delle aree protette, ma evidentemente tutti i 20 Aichi Targets hanno implicazioni per l’istituzione e la gestione delle aree protette.
Negli ultimi decenni sono stati fatti progressi rilevanti nell'espansione della rete globale, continentale e nazionale delle aree protette, specialmente di quelle terrestri. Inoltre, nel processo di avvicinamento alla Conferenza delle Parti che si terrà a Pechino nel prossimo dicembre, chiamata a definire le strategie per la conservazione della biodiversità per il post-2020, le misure di conservazione su base territoriale (aree protette in primis) rimangono lo strumento base per la conservazione.
Tuttavia, anche nell’ipotesi più desiderabile di aumento dell’estensione e connettività delle aree terrestri e marine e di miglioramento della loro governance e gestione, l’approccio alla conservazione basato esclusivamente sulla protezione non sarà sufficiente a rallentare o invertire il declino della biodiversità, a scala globale, continentale e locale, e raggiungere i tre obiettivi principali della CBD.
Viceversa, occorre aumentare la conservazione della biodiversità al di fuori dei confini delle aree protette, poiché è in tali contesti che si trova gran parte della biodiversità ed è lì che agiscono le pressioni e le cause dirette del declino dell’integrità biologica.
Biodiversity mainstreaming
In questo senso l’integrazione della conservazione e dell'uso sostenibile della biodiversità nelle politiche settoriali (dall’agricoltura e selvicoltura alle attività estrattive, dal turismo all’energia, dai trasporti al settore manifatturiero) e intersettoriali - che nel gergo della CBD e delle principali istituzioni internazionali è individuato con il termine biodiversity mainstreaming - diventa fondamentale, a partire dal pieno riconoscimento del valore della biodiversità e dei servizi che la biodiversità fornisce a vantaggio di ogni settore produttivo e di conseguenza dalla comprensione dei principi e delle pratiche della conservazione della biodiversità nelle politiche e nelle pratiche che su di essa incidono. Specificatamente, quest’ambizioso obiettivo globale può essere raggiunto da ciascun Paese perseguendo gli obiettivi 2 e 17 di Aichi. Questi richiedono, rispettivamente, di integrare il valore della biodiversità nelle strategie di sviluppo e nei processi di pianificazione e di sviluppare strategie e piani d'azione nazionali per la biodiversità (NBSAP). Nel 2016, la CBD ha ribadito l'importanza dell'integrazione della biodiversità con la Dichiarazione di Cancun, adottata in occasione della XIII sessione della Conferenza delle Parti (COP) della CBD. Questa dichiarazione riconosce che la protezione della biodiversità debba coinvolgere una serie di settori governativi ed economici diversi, intensificando gli sforzi per integrare la biodiversità nelle politiche dei settori forestale, della pesca, del turismo e dell'agricoltura. Nel 2018, con la Dichiarazione di Sharm El-Sheikh, adottata in occasione della XIV sessione della COP, le nazioni firmatarie si sono impegnate a integrare la biodiversità anche nei settori dell'energia, delle infrastrutture, del manifatturiero e della trasformazione.
Un settore chiave per il biodiversity mainstreaming è quello dell’agricoltura. Ciò dipende dal fatto che la biodiversità e l’agricoltura sono fortemente correlate. La biodiversità è all'origine di tutte le specie coltivate e allevate e della varietà e razze al loro interno ed è il prerequisito dei servizi eco-sistemici essenziali per sostenere la produzione alimentare, l'alimentazione e il benessere umano. Se condotta in modo sostenibile, l'agricoltura può contribuire a erogare servizi eco-sistemici che includono, inter alia, il mantenimento della qualità dell'acqua, la ritenzione dell'umidità del suolo, il sequestro del carbonio e l'impollinazione. Tuttavia, come di recente hanno attestato il Global Biodiversity Outlook-4 e il Global Earth Outlook-6, l’agricoltura è una delle principali minacce globale per la biodiversità, compromettendo la sua stessa capacità di aumentare la produttività e contribuire alla sicurezza alimentare delle nazioni. Gli stessi documenti citati prima ritengono che sia possibile soddisfare le esigenze alimentari globali in modo sostenibile, se simmetricamente si sviluppano azioni significative indirizzate alla riduzione dello spreco alimentare e alla modifica delle diete alimentari.
L'organismo sussidiario di consulenza scientifica, tecnica e tecnologica (SBSTTA) della CBD, nel suo documento su biodiversità, sistemi alimentari e agricoltura, ha suggerito alcuni approcci per l'integrazione della biodiversità nel settore agricolo, tra cui: (a) l'intensificazione ecologica della produzione; (b) il mantenimento della biodiversità nei paesaggi di produzione; (c) il consumo sostenibile, la riduzione degli sprechi alimentari e delle diete sostenibili. Questi sono i tre domini che si rafforzano a vicenda e che sono fondamentali per ridefinire il sistema alimentare e l'agricoltura verso una maggiore produttività e sostenibilità. La FAO, dal canto suo, ha fornito le linee guida necessarie per l'attuazione dell'Aichi Target 7 per i sistemi alimentari e l'agricoltura e ha specificato una serie di strumenti necessari per integrare la biodiversità nel settore agricolo.
Tra questi figurano la promozione di schemi di certificazione volontaria per beni e servizi territoriali prodotti in modo sostenibile e di ogni forma di sistemi diversificati di agricoltura, proprio in quanto creano nicchie di mercato che possono aiutare le imprese ad espandere il loro business e aumentare il reddito, nel rispetto delle migliori pratiche di gestione.
Agricoltura biologica, principale strumento di mainstreaming
L’agricoltura biologica è un dei principali strumenti individuati dalla FAO per l’integrazione della biodiversità nel settore dell’agricoltura. L’agricoltura biologica, come è noto, è un sistema di produzione di alimenti e fibre che evita o in gran parte esclude l'uso di fertilizzanti e pesticidi di sintesi, i regolatori della crescita e gli additivi sintetici per mangimi (oltre che gli organismi geneticamente modificati). Nella misura del possibile, l’agricoltura biologica si basa sull'adozione delle rotazioni colturali, del sovescio di leguminose e di altre specie, del controllo biologico dei parassiti e dei patogeni e, in generale, di altre pratiche agronomiche sostenibili per mantenere la produttività del suolo, per fornire nutrienti vegetali e controllare insetti, erbe infestanti e altri parassiti. Inoltre l'agricoltura biologica prevede l'uso di residui colturali per migliorare i caratteri chimico-fisici del suolo, di concimi di origine animale e 'verdi', di scarti organici extra-aziendali, di rocce minerali da lavorazione meccanica.
Esiste una larga evidenza scientifica sugli effetti positivi per unità di superficie delle pratiche agricole biologiche rispetto a quelle dell’agricoltura convenzionale, non solo in termini di maggiore biodiversità a livello genetico, di specie e di paesaggio, ma anche di maggiore sostanza organica del suolo, di minori emissioni di ammoniaca e ossido di azoto e di minori consumi di acqua e energia. Inoltre, l’agricoltura biologica, nel rispetto dei suoi principi originari, genera maggiori benefici in termini di equità sociale ed economica.
L'agricoltura biologica oggi è strettamente legata a specifici processi di certificazione ed etichettatura e ad una serie di prescrizioni gestionali, regolate da norme internazionali e leggi nazionali. Nell’UE la produzione biologica è disciplinata dal regolamento CE n. 834/2007 e dal successivo regolamento d’esecuzione CE n. 889/2008. Esso è stato recentemente abrogato - e sostituito - dal Regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2018, pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del 14 giugno 2018: quest'ultimo regolamento, pur entrando in vigore tre giorni dopo la sua pubblicazione, si applica a decorrere dal 1° gennaio 2021.
Negli ultimi trent'anni, a causa (i) della crescente consapevolezza delle esternalità ambientali negative causate dall'agricoltura convenzionale, (ii) dell'aumento della domanda dei consumatori di prodotti biologici e (iii) dell'erogazione di misure di politica agricola comune (PAC) dell'UE a sostegno gli agricoltori biologici dal punto di vista finanziario (come equo ritorno per il rispetto della produzione biologica), il numero di produttori biologici e l'estensione delle aree coltivate biologicamente nell'UE sono aumentate considerevolmente. Nel 2018 il valore dei prodotti biologici ha raggiunto 19,7 miliardi di euro, con un tasso di crescita del 9% rispetto all'anno precedente. Durante l'ultimo decennio, il numero di produttori biologici e la superficie condotta secondo il metodo biologico sono cresciuti a ritmi elevati. Nel 2017 l'UE ha raggiunto i 12,6 milioni di ettari, che rappresentano il 18% della superficie biologica globale e il 7% della superficie agricola totale dell'UE.
La serie storica dei dati relativi alla estensione e al numero di operatori biologici in Italia ci dice che il settore biologico italiano mostra da sempre un particolare dinamismo, per livello di produzione, numero di operatori ed estensione della superficie (Tabella 1). Questi dati collocano l’Italia tra i primi Paesi UE per livelli di sviluppo del settore. A fine 2018, in Italia gli operatori erano pari a 79.046 (di cui l’88% produttori), in aumento del 4,0% rispetto al 2017. L’analisi della distribuzione a livello regionale degli operatori biologici conferma il primato della Calabria (11.030 unità), seguita da Sicilia (10.736 unità) e Puglia (9.275 unità). Nel 2018, si registrano incrementi a doppia cifra, rispetto all’anno precedente, in Campania (43%), Emilia-Romagna (20%), Lombardia (18%), Provincia Autonoma di Bolzano (15%), Friuli-Venezia Giulia (13%) e Abruzzo (11%). Rispetto alla superficie, nel 2018 erano coltivati col sistema biologico 1.958.045 ettari, registrando un aumento del 2,6% rispetto al 2017. Il tasso di biologico rispetto alla Superficie Agricola Utilizzata (SAU) ha raggiunto nel 2018 il 15,5%. Questo valore posiziona l’Italia di gran lunga al sopra della media UE, che nel 2017—in attesa di dati più aggiornati—si attestava al 7,0%. Inoltre, le aziende agricole biologiche (che rappresentano il 6,1% del totale) sono decisamente più grandi: in media 28,2 ettari, a fronte del dato nazionale di 11 ettari. L’elaborazione dei dati di superficie per aree geografiche mostra che, in Italia, sono biologici 5,6 ettari 100 ettari di SAU nel Nord-Ovest; 9,3 ettari nel Nord-Est; 20,1 ettari nel Centro e nel Sud e 19,2 ettari nelle Isole.
L’analisi della distribuzione regionale delle superfici biologiche indica che le estensioni maggiori si trovano in Sicilia (385.356 ha), Puglia (263.653 ha), Calabria (200.904 ha) ed Emilia-Romagna (155.331); in queste 4 Regioni è presente il 51% dell’intera superficie bio nazionale. Dal confronto con l’anno 2017 si osserva che le 4 regioni presentano una dinamica differente. In Sicilia e Calabria si verifica una diminuzione in ettari, rispettivamente del 10% e dell’1%; in Puglia un aumento del 4%, mentre in Emilia-Romagna l’incremento raggiunge il 15%.
L’evoluzione positiva del settore è confermata anche dai dati Ismea sul mercato del biologico. I consumi crescono da oltre 5 anni senza soluzione di continuità (+102% dal 2013 a oggi). Secondo le stime Ismea gli acquisti di prodotti bio sono aumentati di un ulteriore +1,5% nei primi mesi del 2019. Un risultato positivo soprattutto se valutato in relazione ai quantitativi di merce presenti sul mercato, che vede ormai vicino il traguardo dei 3 miliardi di euro di valore del comparto a fine 2019. Nel 2018 la spesa in Italia per i prodotti alimentari biologici ha sfiorato i 2,5 miliardi di euro, con un’incidenza del 3% sul valore del comparto agroalimentare.
Variazione del numero di aziende che adottano il sistema biologico in Italia e superficie agricola utilizzata (1990-2018)
Riquadro 1. L’Obiettivo 3 della strategia UE per la biodiversità per il periodo 2010-2020
A) Agricoltura — Entro il 2020 estendere al massimo le superfici agricole coltivate a prati, seminativi e colture permanenti che sono oggetto di misure inerenti alla biodiversità a titolo della PAC, in modo da garantire la conservazione della biodiversità e apportare un miglioramento misurabile (*), da un lato, allo stato di conservazione delle specie e degli habitat che dipendono dall’agricoltura o ne subiscono gli effetti e, dall’altro, all’erogazione dei servizi eco-sistemici rispetto allo scenario di riferimento per l’UE del 2010, contribuendo in tal modo a promuovere una gestione più sostenibile.
B) Foreste — Entro il 2020 istituire piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, in linea con la gestione sostenibile delle foreste, per tutte le foreste di proprietà pubblica e per le aziende forestali di dimensioni superiori a una determinata superficie** (che deve essere definita dagli Stati membri o dalle regioni e indicata nei programmi di sviluppo rurale) sovvenzionate a titolo della politica dell’UE di sviluppo rurale, in modo da apportare un miglioramento misurabile (*), da un lato, allo stato di conservazione delle specie e degli habitat che dipendono dalla silvicoltura o ne subiscono gli effetti e, dall’altro, all’erogazione dei relativi servizi eco-sistemici rispetto allo scenario di riferimento per l’UE del 2010.
(*) Per entrambi gli obiettivi il miglioramento va misurato rispetto agli obiettivi quantificati stabiliti, nell’obiettivo 1, per lo stato di conservazione delle specie e degli habitat di interesse unionale e, nell’obiettivo 2, per il ripristino degli ecosistemi degradati.
(**) Per le aziende forestali di superficie meno estesa, gli Stati membri possono prevedere altri incentivi per incoraggiare l’adozione di piani di gestione o di strumenti equivalenti che siano in linea con la gestione sostenibile delle foreste.
L’Italia, quindi, soprattutto grazie alle politiche dell'UE, riconosce il ruolo dell'agricoltura biologica per raggiungere gli obiettivi du conservazione della biodiversità e per generare benefici per la salute dei consumatori. Nell'ambito della PAC per il periodo 2014-2020 gli agricoltori biologici italiani e europei hanno potuto e potranno beneficiare di diverse misure di sostegno. Inoltre, le misure di sviluppo rurale hanno garantito ulteriori supporti alla crescita della produzione biologica, compresi gli investimenti per in sviluppare le pratiche di agricoltura biologica e gli aiuti per la commercializzazione e la promozione dei prodotti bio.
Nei prossimi anni, il miglioramento delle pratiche agricole e un maggiore utilizzo della tecnologia e della digitalizzazione potrebbero ridurre i costi di produzione, con effetti positivi sul reddito agricolo e sui prezzi al consumo.
L’UE ha compiuto finora molti sforzi per integrare la biodiversità nell’attuazione delle politiche del settore, ma - considerati i benefici apportati dalla biodiversità e dai servizi eco-sistemici in questo settore —-quanto fatto attualmente non è sufficiente. Il continuo declino dello status di conservazione delle specie e degli habitat di interasse agricolo indica che è necessario compiere maggiori sforzi per conservare e migliorare la biodiversità in queste aree. L'imminente riforma della PAC per il periodo 2021-2027, insieme al nuovo quadro finanziario pluriennale, potrà contribuire ad ampliare l'offerta di strumenti per aumentare le sinergie e rafforzare la coerenza tra gli obiettivi della tutela della biodiversità e quelli delle politiche agricole.
Oltre agli aiuti dell'UE, quasi tutti i paesi dell'UE hanno anche dimostrato la loro determinazione e disponibilità a sviluppare il settore biologico. Piani strategici nazionali o regionali supportano l’agricoltura biologica. Ad esempio, nel 2017 la Germania ha lanciato un programma per raggiungere una quota del 20% dell'area organica entro il 2030. Altri paesi hanno lanciato programmi simili per aumentare la superficie biologica. Per il 2020 si stende la conversione in legge sul biologico (ferma al Senato da più di sei mesi).
Per quanto riguarda il consumo, i piani nazionali di solito si rivolgono agli appalti pubblici di prodotti biologici, per il consumo in scuole pubbliche, scuole materne, ospedali e case residenziali. Ad esempio, a Copenaghen (Danimarca), il 90% dei pasti serviti in enti pubblici erano biologici, a solo un anno dal lancio di un programma per il biologico nel 2015. Allo stesso modo, in Svezia, l'obiettivo era raggiungere la quota del 60% di prodotti biologici nel consumo del settore pubblico entro il 2030. Alla fine del 2018, il consumo di una vasta gamma di prodotti ha già superato il 50%, tra cui caffè e tè, leguminose e semi, cereali, latticini, uova, pesce e altri frutti di mare). Strategie analoghe si trovano in numerosi paesi, tra cui l’Italia.
Precedenti analisi della quarta e quinta relazione nazionale, che presentano i progressi compiuti nell'attuazione degli obiettivi della Convenzione, hanno mostrato che gli ostacoli principali all'integrazione della biodiversità sono: i vantaggi economici a breve termine da parte del settore della produzione primaria, i processi decisionali frammentati e il deficit di comunicazione tra le parti interessate. Tale deficit è probabilmente dovuto alla mancanza di coinvolgimento dei vari portatori di interesse nel processo di sviluppo dell'NBSAP, poiché le stime preliminari dell'NBSAP post-2010 hanno mostrato che né il settore privato né i membri della società civile sono stati costantemente consultati.
*Firma l'articolo anche Lorenzo Ciccarese