SOCIETÀ

Cacciari: "In Italia atenei al centro di una crisi di sistema"

Il sistema italiano è prossimo al collasso, sempre che non sia già accaduto. E con esso, a ricaduta, tutto il complesso che regge l’istruzione italiana, università comprese. Massimo Cacciari, filosofo, politico, professore accademico, laureatosi proprio all’università di Padova in filosofia con una tesi sulla Critica del giudizio di Immanuel Kant, ora docente all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, dipinge un quadro decisamente poco idilliaco del nostro Paese, senza risparmiare critiche pesanti anche ai concetti di identità, di cultura e di valori che si vorrebbero trasmettere all’interno dell’Unione Europea. Osservazioni frutto di quanto si può evincere dalle cronache degli ultimi anni: dalla nascita di movimenti anti-europeisti (Italia compresa), fino alla disgregazione dei partiti e a una crisi economica che sembra non far intravedere una fine, i mutamenti nella società, nei suoi abitanti e le loro scelte sono profondi. E a poco sembrano servire iniziative come l’anno europeo della Cultura, deciso dalla UE per riscoprire valori del passato e farli proprio nel futuro dell’Unione.

Professor Cacciari, in un’Europa così disgregata, spinta da azioni una tantum senza un reale percorso condiviso, quali sono le azioni che dovrebbero essere portate avanti per immaginare il futuro sociale e culturale dell’Europa?

L’Europa è lontana mille miglia da ogni discussione seria che la possa guidare verso un destino comune. Mancano, purtroppo, tutti i presupposti di politiche concrete e, allo stesso tempo, culturali. Senza una politica comune in campo economico, estero, fiscale e che affronti i problemi dei flussi migratori non è pensabile parlare di cultura, tantomeno di identità. A maggior ragione se ci sono paesi che decidono di attaccare militarmente altri stati sovrani all’esterno dell’Ue.

In questo momento storico parlare di comunità, di identità culturale, di percorso comune equivale a nascondersi dietro a una foglia di fico.

A suo parere, esiste un antidoto a quanto descrive?

Ci sarebbe. Come dicevo si tratterebbe di rifondare da zero le politiche comuni che ho appena descritto. Ma vedo questo obiettivo sempre più difficile da raggiungere. In questi anni non è stato fatto nulla e per questo si è giunti al fallimento attuale: in quasi tutti i Paesi sono sorte forti spinte anti-europeiste e le possibilità concrete di azioni politiche serie corrispondono a un’utopia, figuriamoci se entriamo nel campo culturale su vasta scala.

A proposito di cultura e di divulgazione del sapere e della conoscenza, quale ruolo devono avere e dovranno avere le università in Europa e in Italia?

Le università dovranno essere quello che sono attualmente: grandi centri di ricerca e di distribuzione del sapere. Più facile a dirsi per i grandi atenei europei, meno per quelli italiani.

Cosa intende?

L’Italia è in crisi verticale. Fatte salve alcune, poche, eccellenze, soprattutto nel campo privato, gli atenei pubblici si trovano al centro di una crisi dovuta a politiche scriteriate perpetrate negli anni che hanno svilito, svuotato, il ruolo delle università. Un ateneo non può vivere se non è pienamente autonomo. Possiamo produrre sapere se esiste autonomia, non se si è bloccati da regolamenti e leggi decise a livello ministeriale. L’offerta didattica deve derivare da scelte autonome, non ingessate da scelte imposte centralmente. Questo è un sistema che ci può paragonare ai sistemi universitari di era sovietico-bolscevica e non posso nemmeno ormai paragonare i nostri atenei a quelli cinesi che ci stanno superando di gran lunga in questi ultimi anni.

Purtroppo il dato è questo: a parte alcuni atenei, gli altri sono destinati a soccombere. Non conosco figli di famiglie benestanti che, ultimato il triennio, non si iscrivano all’estero o che addirittura non scelgano direttamente di iniziare e concludere il proprio ciclo di studi interamente fuori dall’Italia. Alla faccia del ’68, la nostra è diventata un’università di classe e nel pubblico, anche per colpa di professori che decidono di tenere la testa sotto la sabbia, invece di ribellarsi, questo è il quadro. Negarlo sarebbe equivalente a mentire, visto che questa è la verità effettuale.

Da quello che dice, le università italiane pagano un quadro di incertezza e di mal governo che arriva da lontano, corretto?

Mi sembra palese. A livello politico ci troviamo all’interno di una crisi di sistema che investe tutti i campi. L’Italia è ultima in Europa: assistiamo alla crisi e al fallimento dei partiti, dei sindacati, delle istituzioni, l’apparato burocratico e normativo fatica a uscire da una crisi iniziata alla fine degli anno Ottanta e che invece di esaurirsi è andata avanti trascinandoci all’interno di altre crisi senza la possibilità di vedere una via d’uscita. Oggi neppure gli appelli del presidente della Repubblica vengono più ascoltati. Se vivessimo ancora nell’età degli Stati sovrani, posso tranquillamente dire che saremmo sull’orlo di un colpo di stato, mentre ora, appunto, riusciamo solo a muoverci tra una crisi e un’altra.

In Europa la situazione è migliore, anche se all’orizzonte, posso confidare seriamente solo nelle azioni della coppia “carolingia” Macron-Merkel (che però sembrano allontanarsi proprio in questi giorni, a causa, di un tentativo d’intesa tra il presidente francese e Donald Trump. Anche se, di fatto, il presidente degli Stati Uniti ha respinto le “avance” del suo collega d’Oltralpe, ndr), non riesco a vedere altri scenari del tutto positivi.

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