In Italia le norme contro il caporalato esistono eccome, eppure sono migliaia le aziende fuorilegge che si servono di lavoro nero, specialmente nell'agricoltura. Lo sfruttamento di lavoratori irregolari e sottopagati è un fenomeno difficile da estirpare, anche la classe politica ne è consapevole. In particolare, il nuovo ministro dell'agricoltura Teresa Bellanova ha fatto della lotta al caporalato la sua bandiera. Sono davvero troppi i braccianti che lavorano a meno di 5 euro all'ora svolgendo per tutto il giorno attività massacranti nei campi e non solo, costretti dalla disperazione e dall'impossibilità di trovare un lavoro migliore. Caporali, intermediari e datori di lavoro sono tutti complici di un sistema criminale che viene continuamente alimentato dalla povertà diffusa e dall'inefficacia dei provvedimenti adottati.
Abbiamo chiesto al professor Devi Sacchetto, docente di sociologia del lavoro all'università di Padova, il quale ha svolto sul campo più di una ricerca a riguardo, di spiegarci come funziona il caporalato in Italia e come mai è così difficile, da parte delle istituzioni, fronteggiare questa realtà.
Il fenomeno del caporalato e le modalità in cui vengono irregolarmente impiegati molti braccianti in Italia sono dinamiche talvolta paragonate a quelle della riduzione in schiavitù. Quanto possiamo accettare di questa similitudine?
“Nel caporalato ci possono essere forme che arrivano alla riduzione in schiavitù, o meglio, a ridurre di molto l'agilità e la mobilità di chi si trova in queste condizioni. Io però in realtà sono abbastanza contrario a questa associazione del caporalato alla schiavitù, perché tende ad annullare qualsiasi tipo di soggettività. Il caporalato, come hanno dimostrato gli studi svolti sul campo, piuttosto evidenzia varie dimensioni e varie gradazioni di questo lavoro. Nella maggior parte dei casi, i lavoratori possono per lo meno muoversi e decidere sotto quale padrone andare”.
Dov'è più diffuso il caporalato e quali sono i meccanismi tramite i quali un lavoratore si ritrova a svolgere questa vita senza tutele e senza diritti?
“Il caporalato esiste sia nel sud sia nel nord Italia e riguarda soprattutto i lavoratori migranti. Spesso, in questo caso, sono le reti etniche che strutturano questo sistema di reclutamento, in particolare nell'agricoltura, ma non solo. Vengono costituite spesso squadre di persone della stessa nazionalità, compreso magari colui che viene chiamato il “capo nero”, cioè il caporale, che svolge le stesse operazioni dei braccianti o comunque li coordina nel lavoro. È chiaro che uno degli elementi fondamentali è l'organizzazione di portare a lavoro questi braccianti e tenerli sotto controllo. Per cui si crea una dinamica per cui il bracciante non può andare a lavoro se non tramite il mezzo a pagamento messo a sua disposizione, e quando si trova nei campi è costretto ad acquistare l'acqua e il cibo solo dal caporale. Per quanto riguarda i lavoratori italiani, ce ne sono molti di meno, e in questo caso sono sia uomini che donne. Esistono reti di caporalato molto vecchie diffuse nel territorio, in particolare nell'Italia meridionale. Ci sono piccoli paesi nei quali vengono reclutate le persone disoccupate”.
“In Puglia, a Rignano Garganico, per esempio, sono venti anni che partono ogni mattina i furgoncini carichi di migranti che poi vanno a lavorare nelle campagne circostanti”, racconta il professor Sacchetto. “L'unica cosa che è stata fatta è stata distruggere il loro ghetto, che poi è stato ricostruito qualche centinaia di metri più in là. Non si capisce, spesso, che questi quartieri talvolta sono per i migranti dei posti dove risiedere a basso costo, uniti e isolati dal razzismo. Non dobbiamo continuare a pensare che quelli siano solo dei luoghi dai quali i migranti vogliano scappare. D'altra parte, i caporali impongono ai braccianti che devono risiedere lì, se vogliono lavorare”.
“ Il problema è che il caporale garantisce un'organizzazione del lavoro molto più efficiente di ogni agenzia o centro per l'impiego, perché riesce a portare blocchi di manodopera e gruppi di lavoratori che soddisfano appieno le esigenze del datore di lavoro prof. Devi Sacchetto
Perché di fatto questi meccanismi non vengono bloccati? Perché è così difficile estirpare queste dinamiche?
“C'è una legge contro il caporalato che è stata approvata qualche anno fa e che è particolarmente importante, ma come fare a bloccarlo davvero? Probabilmente, con una maggiore presenza di ispettori del lavoro e delle istituzioni, che vanno dal comune, ai carabinieri, alle guardie di finanza, si potrebbe sicuramente interrompere una parte di questo tipo di organizzazione. Si dovrebbe inoltre agire sui proprietari terrieri, favorendo l'emergere di alternative, aiutando cioè chi vuole organizzare questa produzione in maniera legale, e contemporaneamente essere più puntuali sui controlli”.