SCIENZA E RICERCA

Carlo Bernardini, una vita tra fisica e impegno civile e politico

Il 21 giugno scorso si è spento a Roma Carlo Bernardini, “uno scienziato che si sente fuori dal coro”, come lui stesso si definiva nella quarta di copertina di un suo libro del 2010 dal titolo "Incubi diurni. Essere scienziati e laici nonostante tutto"

Nato a Lecce il 22 aprile del 1930, Bernardini studia nella città pugliese fino alla maturità conseguita al liceo classico Palmieri. Si sposta quindi a Roma per iscriversi all’università “La Sapienza”, dove nel 1952 si laurea in fisica. Proprio la prima metà degli anni 1950 segna la rinascita della fisica in Italia, dopo il fascismo e la seconda guerra mondiale. Anni entusiasmanti per la fisica nel nostro Paese e nel mondo. In quegli anni viene fondato in Italia l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e, con un forte contributo italiano, il Conseil européen pour la recherche nucléaire (Cern) a Ginevra. Grazie ai suoi maestri, tra i quali Edoardo Amaldi, Enrico Persico, Giorgio Salvini e in seguito Bruno Touschek, Bernardini subito dopo la laurea ha l’occasione di fare ricerca nell’ambito della fisica teorica e sperimentale. Collaborerà infatti con Persico tenendo lezioni di fisica teorica a “La Sapienza”, e subito dopo affiancherà le ricerche ai neonati Laboratori di Frascati dell’Infn, lavorando con i giovani del gruppo di Giorgio Salvini (Gianfranco Corazza, Giorgio Ghigo, Mario Puglisi, Ruggero Querzoli, Bruno Touschek) che diedero vita nel 1961 ad AdA, il primo anello di accumulazione al mondo in cui venivano accelerati particelle (elettroni) e antiparticelle (positroni). AdA (cfr. http://w3.lnf.infn.it/ada-anello-di-accumulazione/) è di fatto il prototipo di moltissimi degli acceleratori attualmente in uso, compreso il Large Hadron Collider (LHC) di Ginevra. Con lo stesso gruppo Bernardini continuò a lavorare fino al 1969 contribuendo alla costruzione di Adone (cfr. http://w3.lnf.infn.it/adone/), naturale evoluzione di AdA, con il quale inizia lo studio sistematico delle collisioni elettrone-positrone a Frascati.

In seguito, tra il 1969 e il 1971, Bernardini si sposta a Napoli sulla cattedra di Fisica Generale dell’università Federico II, per poi essere chiamato di nuovo a “La Sapienza” sulla cattedra di Modelli e metodi matematici della fisica, cattedra che terrà fino al suo pensionamento. Con il definitivo ritorno a Roma, Bernardini affianca all’impegno per la ricerca e la didattica quello in ambito politico, nella politica universitaria (sarà infatti preside della facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali) e in quella parlamentare (sarà senatore nella VII legislatura, eletto come indipendente nelle liste del Partito Comunista).

Carlo era sempre stato personaggio di ampi interessi culturali, ma sicuramente l’esperienza politica lo porta a considerare sempre più centrale l’impegno dell’intellettuale nella società in rapido cambiamento. Inizia così a scrivere per varie testate giornalistiche su temi sociali e culturali, affrontando ovviamente in primis le questioni legate alla scienza e alla tecnica. Ed è ai primi anni 1980 che risale la mia collaborazione e amicizia con Carlo, che dal 1983 e fino al 2013 diventerà anche direttore della rivista Saperedelle edizioni Dedalo di Bari. Condividevo con lui molte delle battaglie fatte per far crescere la cultura scientifica nel nostro Paese. Un impegno che si sostanzia tra l’altro nel contributo dato da Carlo alla nascita dell’Unione Scienziati Per il Disarmo (USPID), finalizzata prima di tutto al disarmo atomico, ma anche (a)simmetricamente nella sua convinta campagna di informazione a favore della produzione e dell’uso civile dell’energia nucleare in Italia, che in quegli anni veniva portata avanti da molti scienziati, come Felice Ippolito ed Enrico Bellone, e che di fatto si concluse negativamente con l’esito del referendum del 1988.

Le conseguenze di quella scelta ormai lontana, e di fatto irreversibile, non sono a mio parere ancora state analizzate a fondo. Certo è che una parte dei problemi energetici, non solo in termini di approvvigionamento ma anche di impatto ambientale, che dobbiamo affrontare oggi sono gli esiti di quel referendum. Uno dei pochi referendum che ha sortito un risultato mai più messo in discussione.

Nei suoi scritti sui giornali e nei suoi molti libri l’intreccio tra sviluppo della scienza, da un lato, e società dall’atro viene presentato facendo spesso ricorso alla storia della scienza e alla riflessione filosofica sulla scienza. Con questa sensibilità Carlo ha continuato a impegnarsi con entusiasmo ed energia nell’ambito della crescita diffusa di cultura, sempre “fuori dal coro” e con una preoccupazione, crescente dalla fine degli anni 1990, che “l’Italia è ormai diventata un Paese in via di sottosviluppo”, come amava ripetere citando il suo amico Giuliano Toraldo di Francia. In questa chiave vanno lette anche le sue numerose prese di posizione critiche nei confronti delle continue riforme della scuola, dell’università e degli enti pubblici di ricerca, fatte in Italia in modo troppo spesso affrettato e con orizzonti eccessivamente ristretti. Tuttavia va rilevato che la sua azione non si esplicava mai solo nella denuncia scritta, ma si concretizzava sempre anche in azioni politiche. Non a caso fu proprio grazie all’autorevolezza e all’impegno di Carlo che nel 2000 un gruppo di persone, tra le quali Rino Falcone, Pietro Greco, Sergio Ferrari, Francesco Lenci, Roberto Battiston, Settimo Termini, Pietro Nastasi, me e molti altri, diedero vita all’Osservatorio sulla ricerca, che svolse per vari anni, con innegabile successo, un’azione di stimolo della comunità scientifica a riflettere e fare proposte alla classe dirigente per salvaguardare e migliorare le istituzioni di ricerca e formazione nel nostro Paese.

Nell’ultimo anno la sua energia si era andata esaurendo. Tante battaglie fatte con convinzione, ma purtroppo spesso perse, i molti amici che via via se ne erano andati, il sottosviluppo dell’Italia e prima di tutto della sua classe dirigente avevano finito per stancarlo. Per me e per chi l’ha conosciuto rimane però sempre un ineliminabile punto di riferimento, un maestro come se ne trovano sempre più raramente. Rimane viva in me, tra le tante sue lezioni, quella che metteva in rilievo, nel libro che citavo sopra, la stretta connessione esistente tra laicità e scienza: entrambe infatti sono innervate da una fiducia nella ragione e nel suo modo di procedere e costruirsi. E accanto a questo nesso, Carlo sottolineava a più riprese il legame tra laicità e scienza da un lato, e democrazia dall’altro. L’essenza di queste diverse forme in cui si esprime la ragione umana è quella che Carlo chiamava “l’etica del linguaggio”. L’uso proprio del linguaggio, il suo essere strumento per veicolare ragione e non mistificazione o menzogna, è elemento ineliminabile per ogni convivenza civile come per ogni ampliamento della conoscenza dei fenomeni naturali. Una lezione, come molte di quelle che ci ha lasciato, quanto mai attuale.

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