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Spesso la medicina è un’occupazione tra le altre, ma alcuni vi sono chiamati da una vera e propria vocazione. Lo vediamo in questi giorni difficili, in cui tantissimi medici, infermieri e altre figure del settore sanitario mettono volontariamente a rischio la propria salute, e a volte la propria vita, per provare a salvare quelle altrui. Curare fu una vocazione anche per Carlo Urbani, medico marchigiano, divenuto famoso per la dedizione mostrata nel contrastare l’epidemia di SARS, scoppiata nel Sud-est asiatico nell’inverno del 2003.
Urbani, specializzato nello studio delle malattie infettive, era divenuto, all’età di 42 anni (nel 1998), presidente italiano di Medici senza frontiere. Dal 2000 si era trasferito in Asia, con la famiglia, per mettere le proprie conoscenze al servizio dei più poveri: come egli stesso racconta in alcuni scritti, infatti, nei paesi dell’estremo Oriente, afflitti da una profonda indigenza, si moriva – allora come oggi – delle infezioni più banali, spesso a causa della mancanza di condizioni igieniche basilari o per l’insufficienza dei servizi sanitari.
Nel 2003, quando scoppiò l’epidemia di SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome), Urbani si trovava ad Hanoi, in Vietnam, in qualità di consulente dell’OMS, ed operava in un ospedale locale. La situazione era divenuta rapidamente critica: si riscontrava un numero sempre più alto di casi di polmonite atipica, ma non si riusciva ad individuarne la causa scatenante.
Urbani si mise strenuamente al lavoro per risolvere questa crisi: mentre tra la popolazione e tra gli stessi medici cresceva la paura del contagio – come per l’odierno SARS-CoV-2, che infatti appartiene alla stessa famiglia del virus SARS, la trasmissione avveniva principalmente per contatto –, egli analizzò con particolare accuratezza i sintomi che i malati presentavano, giungendo infine all’intuizione che la malattia fosse causata da un virus fino ad allora sconosciuto. Gli studi compiuti nei mesi successivi dimostrarono che era di origine zoonotica e che probabilmente aveva compiuto il cosiddetto “salto di specie” in Cina, nella provincia di Guangdong. Proprio da qui, infatti, nel novembre 2002 il contagio aveva iniziato a diffondersi: il governo cinese, tuttavia, non aveva condiviso la notizia con la comunità internazionale, causando un fatale ritardo nell’avvio delle ricerche per isolare e debellare il virus, che era infatti presto dilagata in tutti i paesi vicini.
Il testo di una lettera di Carlo Urbani - video dell'AICU (Associazione Italiana Carlo Urbani)
Fu proprio Urbani a destare l’attenzione della comunità internazionale su ciò che stava avvenendo: egli, infatti, avvisò tempestivamente l’OMS della minaccia potenzialmente globale e mise a punto le prime misure anti-pandemia, la cui adozione fece sì che il Vietnam fosse il primo paese a debellare il virus e che solo pochi operatori sanitari perdessero la vita.
Ma tra questi vi era, tragicamente, lo stesso Urbani: resosi conto di aver contratto l’infezione, probabilmente a causa dei prolungati contatti con i pazienti, si spostò subito a Bangkok con la famiglia; ma la sua salute era ormai compromessa, e il medico si spense il 29 marzo 2003, a 46 anni.
Le intuizioni di Carlo Urbani sono tutt’oggi importanti, e, in questi mesi di emergenza sanitaria, acquisiscono un peso ancora maggiore. Le indicazioni fornite dal medico sulle modalità di contenimento del contagio – tra cui la misura della quarantena – sono alla base del protocollo dell’OMS contro le pandemie.
Urbani è stato un esemplare scienziato, medico devoto alla propria missione di combattere la povertà. Ma è stato anche – ed è, forse, la sua più importante eredità – un uomo fedele ai propri valori di generosità e altruismo: negli ultimi giorni di vita, decise di donare i propri tessuti polmonari per aiutare i colleghi a proseguire nelle ricerche. Il suo consapevole (e per questo ancor più straordinario) sacrificio ha salvato moltissime vite.