La politica è per definizione un ambito mutevole, evolve e cambia volto a seconda dei momenti storici. Il nostro presente sembra essere caratterizzato da un fenomeno che sfugge ai confini di un’unica definizione, ma che allo stesso tempo descrive efficacemente diverse realtà politiche: il populismo. Jan-Werner Müller, nel suo celebre saggio What is populism?, lo definisce come un fenomeno fondato sull’idea di anti-establishment. Sottolinea la natura moralistica dei movimenti populisti, che si elevano a portatori di un’etica nuova, combattendo l’illegittimità delle élite al potere e schierandosi dalla parte del popolo. Considerando però che, di fatto, l’esistenza di un unico popolo ideologicamente omogeneo costituisce una prospettiva alquanto utopistica, viene a mancare un fondamento stabile per questo tipo di politica.
A cent’anni dalla fondazione della Repubblica di Weimar c’è chi ha proposto l’esistenza di assonanze tra la situazione odierna e quel populismo che dilagò nella Germania degli anni Venti e Trenta. Facciamo un rapido excursus sulla storia di questa repubblica. Proclamata nel novembre 1918, ma formalizzata ufficialmente nel febbraio 1919, la Weimarer Republik rappresentò un modello di democrazia parlamentare estremamente all’avanguardia nell’Europa del tempo. Divenne punto di riferimento per le attività intellettuali e culturali dell’epoca, che si nutrivano di quello spirito di grande libertà impostosi in contrasto alla chiusura dell’età guglielmina. La grande debolezza di questo tentativo democratico è da individuare nell’estrema frammentazione politica, che creò molta instabilità nei governi e che contribuì alla crisi economica.
Tra i primi a proporre una lettura comparata dell’avvicendarsi politico odierno e di quello dell’epoca di Weimar è stato Harold James, professore di storia dell’Università di Princeton, e autore dell’articolo Ten Weimar Lessons. James sostiene che, oggi come allora, la recessione economica e la sfiducia nei partiti hanno creato il terreno ideale per la crescita di demagogie populiste, che rafforzano l’idea per cui non può esserci una classe politica peggiore di quella al potere. Fu proprio quella l’onda che i nazisti cavalcarono per imporsi: chi governava non era legittimato a farlo, poiché non era davvero schierato dalla parte del ceto medio e del popolo. Al contrario il nazismo guadagnò sempre più consenso proprio mostrandosi come il vero paladino degli interessi popolari.
Un articolo pubblicato sul Financial Times nel 2018 e firmato da Wolfgang Münchau (Italy illustrates the way to liberal democracy’s demise), propone una rilettura di quanto proposto da James restringendo la prospettiva sulla situazione dell’Italia. Münchau propone un’interessante analisi che riguarda un’ipotetica uscita dell’Italia dall’eurozona e sottolinea il fatto che il potere della legge costituzionale non dev’essere sovrastimato, poiché non è detto che questa possa sempre proteggerci da possibili atti illegali intrapresi dal governo. Il fulcro di tutto sta nel riuscire a conciliare una crescita economica, che sia diffusa, e il mantenimento di una coerente democrazia liberale. Obiettivo decisamente non semplice, ma necessario.
“ Herein lies the main lesson of the Weimar Republic. If liberal democracy fails to deliver economic prosperity for a sufficiently large portion of the population over long periods, it ends — along with the financial and economic institutions it has created Wolfgang Münchau
Le proposte di parallelismi tra il giorno d’oggi e la repubblica di Weimar qui presentate non vogliono essere portatrici di allarmismi, ma piuttosto di consapevolezza. La democrazia è uno dei nostri fondamenti, ma non per questo immune all’erosione: è necessario prendersene cura costantemente.