SCIENZA E RICERCA

Ci sarà un accordo sul programma nucleare iraniano?

Il 29 novembre si riunirà a Vienna la Joint Commission of the Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) sotto la presidenza di Enrique Mora, direttore politico dell'European External Action Service, come annunciato la sera dello scorso 3 novembre dalla Commissione Europea (CE). Vi prenderanno parte rappresentanti di Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Iran. I partecipanti proseguiranno le discussioni sulla prospettiva di un possibile ritorno degli Stati Uniti al JCPOA e su come garantire la piena ed effettiva attuazione dell'accordo da tutte le parti.

La dichiarazione formale della CE segue un messaggio tweet del principale negoziatore iraniano Ali Bagheri-Kani, che ha appunto garantito la partecipazione dell'Iran: in a phone call with @enriquemora, we agreed to start the negotiations aiming at removal of unlawful & inhumane sanctions on 29 November in Vienna.

Si tratterà appunto della settima fase dei negoziati miranti a rivitalizzare l'accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano, messo in crisi nel 2018 dall'uscita degli USA voluta dal presidente Donald Trump. Come promesso in campagna elettorale dal nuovo presidente Joe Biden, gli USA hanno accolto la sollecitazione europea di intraprendere negoziati con la Commissione JCPOA. A partire dal 6 aprile 2021 si sono svolti incontri a Vienna, secondo un formato particolare, voluto dagli iracheni: la delegazione americana, guidata da Robert Malley, non partecipa direttamente ai lavori della Commissione (di cui non fa più parte), ma viene informata sui lavori e presenta le proprie posizioni tramite gli intermediari europei. La delegazione americana e la Commissione sono ospitate in due alberghi vicini. 

I lavori sono proceduti in gruppi di lavoro: uno sui passi che l'Iran deve compiere per ritornare a un pieno rispetto del JCPOA, un secondo sul processo di revoca delle sanzioni imposte dagli USA e, nei più recenti incontri, un terzo per affrontare i problemi di sequenziamento.

In realtà, alla conclusione della sesta fase di negoziati (domenica 20 giugno) l'intesa sembrava raggiungibile in tempi brevi (secondo sia i negoziatori europei che l'allora capo negoziatore iraniano, Abbas Araghchi, tutti i documenti sono pronti), ma l'elezione del nuovo presidente iraniano (18 giugno) e la costituzione del nuovo governo (3 agosto) hanno differito per cinque mesi la convocazione della Commissione, che avrà una differente delegazione iraniana, guidata appunto da Bagheri-Kani.

Il JCPOA

L'accordo, laboriosamente raggiunto nel luglio 2015 fra l’Iran e i "5 paesi+1"(i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ela Germania) e l'Unione Europea, intende disciplinare il programma nucleare iraniano e sospendere le sanzioni economiche imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e da vari paesi sull’Iran a causa della sua violazione del trattato di non-proliferazione (NPT) con lo sviluppo di impianti segreti per l'arricchimento dell’uranio e la produzione di plutonio.

Il 14 agosto 2002, un gruppo dissidente iraniano (il Consiglio nazionale della resistenza dell'Iran) denunciò l'esistenza di due siti nucleari clandestini in Iran: un impianto di arricchimento dell'uranio a Natanz (con una parte sotterranea) e unreattore nucleare ad acqua pesante ad Arak, particolarmente adatto alla generazione di plutonio. L'Iran come membro del NPT avrebbe dovuto informare la comunità internazionale e sottoporre gli impianti alle verifiche dell'Agenzia internazionale per l'energia atonica (IAEA).

L'esistenza di impianti clandestini ha immediatamente preoccupato la comunità internazionale, temendo l'esistenza di un preciso progetto nucleare militare. Sono immediatamente iniziate ispezioni della IAEA e iniziative diplomatiche di Francia, Germania e Regno Unito con l'Iran per risolvere le questioni relative al suo programma nucleare.

Nel corso degli anni, il programma nucleare dell'Iran, la sua cooperazione con la IAEA e i processi negoziali hanno avuto fasi alterne, risentendo del clima politico internazionale e dei problemi specifici dei conflitti medio-orientali, in particolare del continuo confronto fra Iran e Israele. Dal 2006 al 2013 il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha emesso 9 risoluzioni (n. 1696, 1737, 1747, 1803, 1835, 1929, 1984, 2049 e 2105) imponendo all'Iran sanzioni economiche (incluso il blocco delle esportazioni di petrolio e di crediti presso banche estere) ed embargo; ulteriori sanzioni sono state imposte in particolare dagli USA, con gravi effetti sull'economia e le condizioni di vita del paese.

Nel 2013, per iniziativa del presidente americano Barack Obama si svolsero incontri segreti bilaterali con funzionari iraniani, e il nuovo presidente iraniano Hassan Rouhani si impegnò in concreti negoziati con i 5 paesi+1, che portarono a un accordo provvisorio nel novembre 2013, evoluto nell'accordo quadro stipulato il 14 luglio 2015.

L’accordo JCPOA prevede da una parte l'eliminazione (o sospensione) delle sanzioni imposte per le attività nucleari (l'Iran è sottoposto a sanzioni anche per supporto al "terrorismo" e per violazioni dei diritti umani) e lo sblocco di circa 100 miliardi di dollari di proventi petroliferi, dall'altra impone all’Iran di ridurre in modo significativo le capacità dei suoi impianti di arricchimento (ridurre da 19138 a 6104 le centrifughe di Natanz; per 15 anni usare solo 5000 centrifughe di prima generazione IR-1 per un arricchimento limitato al 3,67%; cessare l'arricchimento nel nuovo impianto di Fordoweliminando 1008 centrifughe avanzate; limitare per 10 anni la ricerca e lo sviluppo di centrifughe di nuove generazioni); limitare la quantità di uranio arricchito per 15 anni (da 7154 kg a 300 kg di LEU al 3,67% come esafluoruro, ed eliminazione dei 196 kg di uranio al 20%); riprogettare il reattore di Arak per evitare la produzione di plutonio; non accumulare acqua pesante per 15 anni; accettare il Protocollo addizionale della IAEA e forme di verifica intrusiva su tutte le strutture nucleari.

Le misure imposte sul programma dovrebbero, secondo analisti occidentali, assicurare che l'Iran non possa produrre sufficienti esplosivi fissili per un'arma nucleare in un tempo inferiore a un anno, dando quindi alla comunità internazionale la possibilità di prendere eventualmente tempestivi provvedimenti.

Il 20 luglio 2015 il Consiglio di sicurezza dell'ONU recepì il JCPOA con la risoluzione 2231, che comprende anche limiti alle attività di ricerca e sviluppo iraniane di missili balistici per testate nucleari.

Israele e la destra americana hanno da subito osteggiato il JCPOA, e il 30 aprile 2018 il primo ministro Benjamin Netanyahu rese pubblico parte dell'archivio nucleare dell'Iran, trafugato dal Mossad, rivelante l'esistenza di un preciso piano militare (progetto AMAD). In seguito, l'intera collezione fu messa a disposizione della IAEA, degli USA e di altri governi interessati. Il primo maggio 2018 la IAEA riportò di aver trovato prove credibili che l'Iran avesse condotto esperimenti volti a progettare una bomba nucleare fino al 2003, e affermò di non aver trovato prove credibili di attività per armi nucleari in Iran dopo il 2009. L'Iran ha sempre negato l'esistenza di un suo progetto militare nucleare.

La campagna di massima pressione americana sull'Iran

L'8 maggio 2018 Trump, su richiesta di Israele, e nonostante le riserve da parte di suoi consiglieri e degli alleati europei, annunciò unilateralmente l'uscita dall'accordo, rilanciando le sanzioni economiche contro il paese mediorientale al fine di indurre il brutale regime iraniano a cessare la propria attività destabilizzante, ovvero a ritirarsi dalla Siria, dove guardie della rivoluzione islamica (IRGC) agiscono in appoggio del governo di Bashar al-Assad, oltre a cessare il supporto militare e logistico alla milizia sciita libanese Hezbollah e all'opposizione yemenita impegnata nella guerra civile dello Yemen; destabilizzante era per Trump anche lo sviluppo missilistico iraniano, ritenuto un pericolo primario da Israele.

Gli scopi della campagna di massima pressione non erano chiari: se portare a un accordo nucleare "migliore" attraverso nuovi negoziati, ovvero se ottenere un comportamento regionale iraniano meno ostile agli interessi americani;ma per alcuni osservatori l'obiettivo finale era provocare il crollo del regime della repubblica islamica.

Il meccanismo chiave per la nuova campagna di pressione sono state ancora una volta le sanzioni. Gli Stati Uniti non solo hanno ripristinato tutte le sanzioni revocate attraverso l'accordo nucleare, ma hanno anche aggiunto una serie di nuove sanzioni, inclusa la designazione dell'IRGC come sostenitore del terrorismo. Una caratteristica fondamentale della massima pressione era quella di punire qualsiasi attore globale, amico o nemico, che cercasse di investire o commerciare con l'Iran, anche a rischio di alienarsi i più vicini partner in Europa e in Asia, che invece sostennero il JCPOA e avevano già preventivato e parzialmente avviato programmi di investimenti sul mercato iraniano. A maggio 2019, l'amministrazione USA pose termine alla maggior parte delle deroghe per i paesi che stavano ancora importando petrolio iraniano, cercando di annullarne del tutto l'export; solo la Russia e la Cina hanno continuato ad acquistare greggio iraniano.

Per opporsi alle sanzioni secondarie statunitensi, che escludevano dal mercato americano qualunque banca, azienda o entità mondiale che continuasse a commerciare con l'Iran, la CE istituì un Istrument of Support of Trade Exchanges, ma non riuscì a dare garanzie al settore privato: il commercio Iran-EU passò dai 20 miliardi di euro annui dopo il JCPOA a soli 5 miliardi nel 2019 e 2020 e le riserve valutarie iraniane sono scese da 122 miliardi di dollari nel 2018 a 4 miliardi alla fine del 2020.

L'8 ottobre 2020, dopo che gli Stati Uniti non riuscirono ad imporre ulteriori sanzioni dell'ONU contro l'Iran, Trump sanzionò l'intero settore finanziario iraniano, escludendo l'Iran anche dal commercio di cibo e medicinali (risparmiati fino a quel punto dalle sanzioni statunitensi). Anche durante la transizione presidenziale del 2020, l'amministrazione Trump propose un'inondazione di nuove sanzioni contro l'Iran in un tentativo di rendere più difficile per l'amministrazione Biden ricongiungersi all'accordo.

Tuttavia, le politiche di massima pressione non hanno funzionato a raggiungere qualsiasi obiettivo della politicaarticolato nelle dichiarazioni dell'amministrazione Trump: l'Iran è riuscito a far fronte alle difficoltà economiche causate dalle sanzioni con la sua economia di resistenza; non ha accettato vincoli maggiori sul suo programma nucleare, anzi ha sviluppato programmi proibiti dall'accordo, non ha modificato la sua politica nella regione e le sanzioni hanno finito per indebolire politicamente i moderati iraniani (che guidati dal precedente presidente Hassan Rouhani, sono stati i principali sostenitori dell'accordo), a favore degli ultraconservatori.

Gli sviluppi del programma nucleare iraniano

In un primo tempo l'Iran continuò a rispettare i limiti imposti dal JCPOA, come certificato dalla IAEA nel febbraio 2019, ma di fronte all'incapacità dell'Unione Europea di far aggirare le sanzioni statunitensi, al crescere dell'impatto sull'economia delle sanzioni, a fronte di azioni ostili americane e israeliane, alle uccisioni del generale iraniano Qasem Soleimani (5 gennaio 2020) e di Mohsen Fakhrizadeh-Mahabadi, direttore del programma nucleare iraniano (27 novembre 2020), e ai sabotaggi di impianti (Natanz, luglio 2020 e Karaj, giugno 2021) l'Iran intraprese via via crescenti iniziative proibite dall'accordo, anche per precise deliberazioni parlamentari (in particolare del 2 dicembre 2020):aumento del tasso di arricchimento dell'uranio senza restrizioni in base alle proprie esigenze tecniche, sviluppo e impiego di centrifughe di prestazioni elevate, limitazione dei controlli della IAEA ed espulsione dei suoi ispettori dal paese.

Gli sviluppi attuali del programma nucleare iraniano sono documentati nel rapporto della IAEA del 17 novembre e riguardano tutti limiti imposti dall'accordo: mentre l'Iran continua a rispettare l'impegno sulla conversione del reattore di Arak, vi sono ampie violazioni per gli altri punti.

Attualmente la quantità di uranio arricchito ha raggiunto la massa di 2489,7 kg, 2313,4 kg in forma gassosa, 125,4 kg come ossido, 35,4 kg in elementi di combustibile e 15,5 kg in forma solida o liquida. In particolare sono stati prodotti 2,42 kg di uranio metallico, in parte arricchito al 20%. La scorta di uranio gassoso comprende 559,6 kg arricchito al 2%, 1622,3 kg al 5%, 113,8 kg al 20% e 17,7 kg al 60%, con significativi incrementi negli ultimi due mesi per i saggi più elevati.

L'Iran ha sviluppato, prodotto e posto in operazione più tipi di centrifughe avanzate: IR-2m, IR-4 e IR-6, in varie forme di cascate; le nuove centrifughe vengono prodotte nell'opificio TESA di Karaj, inaccessibile ai controlli IAEA. Il numero di centrifughe IR-1 a Natanz sta raggiungendo 6050, oltre a 6 cascate di IR-2m, 6 cascate IR-4 e una di IR-6, ciascuna con 164 centrifughe. Anche a Fordow sono riprese le attività di arricchimento con 1044 centrifughe IR-1 e si stanno installando due cascate di tipo IR-6.

L'Iran limita anche le attività ispettive della IAEA, sospendendo l'applicazione del protocollo addizionale delle salvaguardie; viene impedito l'accesso a Karaj, agli impianti di produzione di acqua pesante e a 4 siti, precedentemente non dichiarati, dove era stato individuato uranio di origine antropica (Turquz-Abad, Lavizan-Shian, Tehran e Marivan).

La AIEA riferisce inoltre che guardie di sicurezza hanno in più occasioni molestato fisicamente e tentato di intimidire gli ispettori (in particolare di sesso femminile) dell'agenzia all'ingresso negli impianti nucleari, violando i privilegi e le immunità previste.

In vista della riunione del Consiglio dei direttori della IAEA (24-26 novembre), il direttore generale Rafael Grossi il 23 novembre si è recato a colloqui con la leadership iraniana per cercare di ritrovare un accordo sulla cooperazione, in gran parte sospesa lo scorso febbraio, ma è rientrato senza essere riuscito a raggiungere un'intesa per consentire agli ispettori l'accesso a tutte le strutture del programma nucleare.

Con i recenti sviluppi del programma, l'Iran ha raggiunto un territorio precedentemente inesplorato, accumulando nuove importanti conoscenze, esperienze e pratiche, che in gran parte sono irreversibili, minacciando di minare lo scopo generale del JCPOA di rallentare la possibile produzione di uranio di qualità militare (WGU). I progressi irreversibili riguardano principalmente tre aree: produzione e funzionamento centrifughe di prestazioni avanzate, produzione di uranio altamente arricchito (HEU) e produzione di uranio metallico.

Le scorte di uranio arricchito vengono facilmente miscelate o spedite fuori dall'Iran, consentendo il ripristino dei limiti di uranio arricchito del JCPOA. Tuttavia, la nuova esperienza iraniana nella produzione di uranio arricchito al 60% ha permesso all'Iran di apprendere informazioni critiche sulla produzione di HEU nelle sue cascate. Questa quantità di HEU potrebbe essere ulteriormente arricchita al 90% in una cascata di centrifughe in poche settimane o addirittura giorni se si utilizzassero due cascate. Il passaggio a WGU è rapido, perché, in termini di lavoro separativo, la produzione di uranio arricchito al 60% rappresenta il 99% del lavoro necessario per produrre WGU. Va ricordato che anche uranio arricchito al 60% può essere utilizzato direttamente come esplosivo nucleare, sebbene con una maggiore massa critica.

La produzione di uranio metallico è significativa poiché è indispensabile per armi nucleari mentre mancano applicazioni civili credibili. Mentre l'uranio metallico può essere reso inutilizzabile o rimosso dall'Iran, le nuove conoscenze non possono essere cancellate.

L'atteggiamento israeliano

In continuità con il passato, anche il nuovo governo israeliano considera un pericolo esiziale l'eventuale acquisizione di armi nucleari da parte dell'Iran, e il primo ministro Naftali Bennett in un discorso all'università Reichman (23 novembre) ha denunciato i recenti progressi dell'Iran come un programma di armi nucleari allo stadio più avanzato e ha dichiarato che anche nel caso del ripristino del JCPOA, Israele non si riterrà vincolato dall'accordo, ma rimane pronta ad agire per proteggere i propri interessi.

Intanto, a metà ottobre Israele ha approvato un finanziamento di circa 5 miliardi di shekel (1,5 miliardi di dollari) per preparare le forze armate per un possibile attacco contro le strutture nucleari iraniane: fondi per vari tipi di aerei, droni per la raccolta di informazioni e armamenti specifici per un tale attacco, che dovrebbe colpire anche siti sotterranei pesantemente fortificati.

 Al momento le forze armate israeliane (IDF) non appaiono in grado di colpire gli impianti iraniani in modo analogo agli attacchi aerei che hanno distrutto il reattore irakeno Osirak il 7 giugno 1981 e il sospetto reattore siriano ad Al Kibar il 6 settembre 2007: tali obiettivi erano isolati, senza particolare protezione, entro il raggio di combattimento degli aerei; invece sono numerosi i centri iraniani da colpire, sotto la protezione di sistemi difensivi avanzati, e circa 2000 km lontani dalle basi israeliane, distanza ben superiore al raggio di combattimento sia degli F-35 (833 km) che degli F-15 (687 km) per cui si richiede un rifornimento in volo, non essendo credibile una disponibilità di paesi arabi a rifornire gli aerei attaccanti; attualmente Israele possiede solo vetusti aerei cisterna KC-130, del tutto inadeguati, e non ha ancora ricevuto gli otto nuovi KC-46 ordinati negli USA.

Va inoltre considerata la certa reazione missilistica iraniana contro le città israeliane e possibili attacchi degli Hezbollah dalle basi libanesi, per cui le IDF dovrebbero prepararsi per vaste operazioni su più fronti. Un attacco armato contro i centri iraniani, in assenza di aperte azioni militari iraniane, sarebbe un atto di guerra chiaramente illegale e condannato dall'ONU, assolutamente inaccettabile dai paesi europei, Russia e Cina e difficilmente difeso dagli stessi USA, con gravi conseguenze economiche e diplomatiche; anche il recente accordo Abraham fra Israele e alcuni paesi arabi potrebbe venir vanificato.

Probabilmente Israele continuerà a tentare di rallentare il programma iraniano con attacchi cibernetici e azioni di sabotaggio.

Prospettive per il nuovo negoziato

L'amministrazione americana si è impegnata in un'intensa attività diplomatica in vista del rinnovo dei colloqui, nel tentativo di cogliere quanto più consenso possibile con i partner negoziali, nonché con i paesi del Medio Oriente. Lo scorso ottobre, a margine del vertice del G20, il presidente Biden ha tenuto una speciale riunione con il cancelliere tedesco Angela Merkel, il primo ministro britannico Boris Johnson e il presidente francese Emmanuel Macron sul tema specifico; gli alleati hanno formalmente invitato l'Iran a riprendere i colloqui sull'accordo per prevenire una pericolosa escalation.

La questione iraniana è emersa anche nella conversazione tra Biden e il presidente cinese Xi Jinping e nei colloqui tra il capo negoziatore americano Rob Malley e i funzionari russi. Nel frattempo, Malley ha visitato Israele, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In Arabia Saudita, una straordinaria riunione ha avuto luogo il 18 novembre con rappresentanti di Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania, Stati del Golfo, Egitto e Giordania.

Anche l'Iran si è impegnato in sforzi diplomatici alla vigilia dei colloqui: il ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian e il capo della sua delegazione ai colloqui di Vienna hanno tenuto una serie di discussioni nei paesi europei. L'Iran sta cercando in particolare di garantire che Russia e Cina sosterranno le sue posizioni; in questo contesto, il presidente iraniano Sayyid Ebrahim Raisol-Sadati ha avuto colloqui con i suoi omologhi a Mosca e a Pechino. Anche Iran e Stati del Golfo dialogano ormai da diversi mesi.

La posizione dei pesi occidentali vede necessaria la ripresa dei negoziati al punto in cui erano giunti alla fine di giugno, per ripristinare i vincoli previsti dall'accordo, "sterilizzando" le acquisizioni tecnologiche iraniane sulla via della produzione di WGU.

Al G20 di Roma, il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov aveva affermato che la Russia sostiene pienamente l'idea di tornare all'accordo nucleare iraniano nella forma in cui è stato firmato, senza aggiunte o esenzioni: dovrebbe essere ripreso esclusivamente nella forma in cui è stato approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel 2015. Qualsiasi aggiunta ed esenzione è inaccettabile per la parte iraniana.

Non è ancora chiara la posizione della nuova leadership iraniana, sia per quanto riguarda lo svolgimento dei colloqui – se proseguiranno dal punto in cui si erano interrotti, o se l'Iran cercherà di riaprire questioni già discusse e concordate – sia per quanto riguarda la volontà dell'Iran di tornare a l'accordo. Sebbene gli iraniani abbiano dichiarato il loro interesse a tornare all'accordo, le indiscrezioni dei media indicano che l'Iran prevede di concentrare il prossimo round di colloqui sulla completa rimozione di tutte (oltre 1500) le sanzioni, comprese quelle non direttamente collegate alla questione nucleare – senza riguardare le questioni del programma nucleare. Inoltre, nelle conferenze stampa rilasciate in varie occasioni Amir-Abdollahian e Bagheri-Kani hanno anche richiesto che le sanzioni vengano rimosse prima che l'Iran sia tenuto a rinunciare ai suoi progressi nucleari, nonché un impegno dell'amministrazione americana che gli Stati Uniti non si ritireranno mai dall'accordo.

Questa richiesta pone seri problemi politici e istituzionali a Biden: infatti il Congresso ha esaminato il JCPOA ai sensi dell'Iran Nuclear Agreement Review Act, in base al quale l'accordo rappresenta un insieme non vincolante di impegni politici piuttosto che un accordo giuridicamente vincolante soggetto al parere e al consenso del Senato. E indipendentemente dal fatto che un nuovo accordo sia legalmente vincolante, secondo la costituzione degli Stati Uniti il ​​presidente manterrebbe l'autorità di ritirare gli USA senza l'approvazione del Congresso.

La complessità dei problemi da affrontare in uno stato di aperto confronto fra USA e Iran su quasi ogni questione, tenuto anche conto che sia il nuovo presidente che il capo-negoziatore iraniani a suo tempo furono fra i più decisi oppositori del JCPOA e dell'aperta ostilità delle lobby americane filo-israeliane a ogni accordo, gli osservatori internazionali sono fortemente scettici sulla possibilità che la prossima fase di colloqui possa portare in tempi ragionevoli a risultati positivi, soddisfacenti tutte le parti.

Con un mix di volontà politica, abilità diplomatiche e un po' di fortuna, possiamo sperare che il JCPOA possa sopravvivere in qualche forma e diventare una componente importante dei futuri necessari accordi regionali sulle armi di distruzione di massa e strumento per la realizzazione di un sistema globale di sicurezza per tutti i paesi del Medio oriente, oltre a costituire un viatico per i prossimi lavori della Conferenza di revisione del trattato di non-proliferazione.

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