Ci sono due grandi piani per osservare la Cina oggi. Uno è più immediato e scintillante, ma anche più semplice: è quello di superficie, quello delle grandi architetture, delle grandi tecnologie, della maestosa produttività, dell’economia inarrestabile, della potenza mondiale, della gigantesca nazione che marcia all’unisono. L’altro piano è invece più complesso da svelare, più nascosto, più profondo: ed è quello che riguarda la stragrande maggioranza della popolazione (che sfiora complessivamente il miliardo e mezzo di persone). E qui parliamo soprattutto di povertà, di diritti calpestati, di libertà negate, di punizioni anacronistiche, di un’assuefazione di pensiero che negli ultimi anni sta diventando indispensabile, di cieca obbedienza, di connivenza. E’ un piano, questo, molto meno visibile: il Partito Comunista Cinese, che tutto controlla, spesso con feroce puntiglio, ama mostrare soltanto il suo lato migliore. Ma che in alcune circostanze (come nell’esplosione del Coronavirus e dell’allarme colpevolmente ritardato) emerge in tutta la sua drammaticità. Prova ne sono le immagini di questi giorni: le città deserte, le quarantene collettive, il fragilissimo baluardo delle mascherine. Perché soltanto così si riesce a incrinare la rigida tenuta delle paratie del sistema: con un’emergenza globale, una pandemia, qualcosa che obblighi il mondo intero a puntare lo sguardo laddove di norma (per pigrizia, per inerzia, per calcolo) si preferisce non guardare. Altrimenti, per uscire dall’immagine patinata della narrazione del regime, bisogna affidarsi ai pochi coraggiosi che riescono di tanto in tanto a far filtrare qualche notizia, qualche filo di luce: i blogger, gli attivisti, qualche studente spericolato, qualche giornalista.
“ La Cina può essere analizzata sua due piani distinti
Dalla parata alle città deserte
Soltanto quattro mesi fa la musica in Cina era tutt’altra. L’1 ottobre 2019, a Pechino, in piazza Tienanmen, si sono svolti i festeggiamenti per il settantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Una parata militare di questa portata non s’era mai vista in 70 anni: organizzata fin nei minimi dettagli, divieto di sorvolo dello spazio aereo perfino per gli aquiloni, addirittura per i piccioni. Una sfilata perfetta e interminabile per 15mila soldati, scandita dal ritmo di canzoni patriottiche, accompagnata dagli immancabili carri armati e dalle armi più innovative che fanno parte dello sterminato arsenale cinese, dai droni spia di ultima generazione ai missili balistici intercontinentali. Per mostrare al mondo intero un assaggio della forza della Grande Potenza. E del suo leader, Xi Jinping, il più potente dai tempi del fondatore Mao Zedong (ad alcuni più noto come Tse-tung), che addirittura punta a superarne il culto della personalità. Oggi di quel recentissimo fasto, di quell’atmosfera di orgoglio festoso, è rimasto nulla: da Pechino, da Shanghai, da Wuhan, da ogni megalopoli e da ogni villaggio dell’impero arrivano immagini di paura e disperazione. Strade deserte, città deserte, ospedali affollati. Niente sorrisi, niente soldati, niente missili. Solo mascherine in primo piano. E qualche laconico comunicato. L’ultimo giovedì scorso: «La Cina ha rimosso dalla sua carica Jiang Chaoliang, il segretario del Partito comunista cinese dell'Hebei, la provincia che è l’epicentro dell'epidemia del nuovo coronavirus, che ha causato 1.355 morti e quasi 60.000 contagi. Jiang, ha riferito l’agenzia ufficiale Xinhua, sarà sostituito dal sindaco di Shanghai, Ying Yong». Nulla di più facile: individuare dei colpevoli, punirli pubblicamente e allontanarli, chissà dove, chissà come. Di loro, è certo, non avremo mai più notizie. Ha fatto scalpore la storia del medico di Wuhan, Li Wenliang, il giovane oculista che alla fine di dicembre, in una chat di studenti di medicina, aveva dato la notizia della presenza di un virus potenzialmente letale. Il medico è stato subito interrogato dalla polizia (che per delazione o per intercettazione ha saputo in tempo reale cosa stava chattando), accusato di aver diffuso notizie false, di aver provocato il panico nella popolazione e infine costretto a firmare una dichiarazione in cui ammetteva di essersi comportato in modo «illegale». Perché i sudditi devono tacere. Il medico è morto i primi di febbraio.
“ Non sarà certo un virus a frenare le mire espansive della terza nazione più grande del mondo per espansione territoriale
Lo scontro tra i Giganti e il caso Huawei 5G
Ma non sarà certo un virus a frenare le mire espansive della terza nazione più grande del mondo per espansione territoriale. La Cina è tornata a essere un gigante sullo scacchiere internazionale, soprattutto nell’ultimo decennio. Una nazione che non soltanto punta a far crescere le prospettive commerciali del Paese, ma che si è dimostrata capace di stabilizzare (spesso con un ruolo di guida) le relazioni economiche, commerciali, strategiche (e a volte politiche) con diversi stati, a diverse latitudini: gran parte dell’Africa, il Sud del Sudamerica, il Nord Europa, la Russia, il Medio Oriente. Invece con gli Stati Uniti lo scontro è totale: commerciale, militare, sulla tecnologia, sulla connettività, ad esempio il caso Huawey 5G, che gli Usa stanno tentando di arginare in ogni modo (fino all’accusa di poche ore fa del procuratore federale di Brooklin, New York, di “furto di segreti commerciali”). Anche se di tanto in tanto qualche buona notizia arriva: come la firma del mese scorso che ha messo (temporaneamente?) fine alla guerra commerciale sui dazi. «Allo stato attuale la Cina rappresenta un pericolo per gli Usa sul fronte della tecnologia legata alla intelligenza artificiale, al 5G e ai semiconduttori», sostiene Giuseppe Gagliano, studioso di intelligence economica e geopolitica. Scrive China Files, un collettivo di giornalisti, sinologi ed esperti di comunicazione specializzati in affari asiatici: «Altro che 5G. La vera guerra tra Cina e Stati Uniti vede in gioco la leadership nello sviluppo della tecnologia quantistica, un settore che potrebbe rivoluzionare l’elaborazione delle informazioni, conferendo ai paesi più avanzati in materia grandi vantaggi economici e militari. Si parla di reti di comunicazione resistenti ad attacchi hacker e sensori in grado di vedere attraverso lo smog o dietro gli angoli». Sembra fantascienza, ma probabilmente non lo è: «Farsi fotografare mentre si fa il segno della vittoria può essere molto rischioso. Il gesto con indice e medio alzati a formare una V mette le impronte digitali dei soggetti immortalati alla mercé dei criminali. Le foto scattate a una distanza inferiore a 1,5 metri dalla fotocamera potrebbero potenzialmente rivelare il 100% delle informazioni sulle impronte digitali».
Riduzione dei livelli di povertà
Per tornare a cos’è oggi la Cina, può essere interessante il punto di vista dell’analista Diego Angelo Bertozzi, autore del saggio “La nuova via della seta”: «La Cina di Xi Jinping vuol mostrare all’opinione pubblica mondiale la realizzazione concreta del messaggio lanciato da Mao nell’ottobre del 1949: “la Cina si è levata in piedi”. Oggi investe decine di miliardi di dollari nel mondo per promuovere lo sviluppo infrastrutturale integrato dell’Eurasia. E l’avanzamento dell’Impero Celeste segue l’innalzamento dell’asticella degli obiettivi interni: entro il 2021, centenario del Partito, è prevista la completa eradicazione della povertà rurale; per il 2035 il conseguimento di un livello adeguato di ricchezza per tutta la popolazione e la modernizzazione dell’apparato militare; per il 2049, centenario della Repubblica Popolare, la Cina punta a strutturarsi come “moderno e prospero Paese socialista” e a completare l’unificazione territoriale con il ritorno di Taiwan alla madrepatria». L’obiettivo del governo cinese è preciso: ridurre i livelli di povertà e di disuguaglianza. Scrive ancora Bertozzi: «Appartiene ormai al passato l’immagine di un Paese che fonda la propria crescita economica sul basso costo del lavoro per facilitare le delocalizzazioni e sull’imitazione dei prodotti. La stessa presenza di imprese e multinazionali straniere ha ormai cambiato prospettiva servendo sempre più il mercato interno, con un’imprenditorialità locale impegnata in produzioni di alta qualità tecnologica. La classe media cinese è in piena espansione. Xi Jinping ha fatto della lotta alla povertà e agli squilibri sociali una delle proprie bandiere, sull’onda di una politica di sviluppo che negli ultimi trent’anni ha tolto dalla povertà 500 milioni di cinesi: oggi si stima che circa 100 milioni di cinesi abbiano una pensione sui 120 milioni di abitanti con oltre 65 anni. Un percorso che lascia ben sperare, anche se la Cina è ancora in posizione arretrata rispetto all’Occidente».
Le ombre scure: Taiwan, Hong Kong, Xinjiang
Dunque diverse luci, intese come prospettive di crescita, di miglioramento, ma anche innumerevoli ombre. A partire dai tentativi di annessione di Taiwan, che Pechino continua a considerare una provincia sottoposta alla sua sovranità che prima o poi dovrà accettare di essere riaccorpata al gigante asiatico. Oppure le clamorose proteste a Hong Kong, che in queste ore s’intrecciano con gli effetti del coronavirus. Senza dimenticare l’occupazione in Tibet e le detenzioni di massa nello Xinjiang, con la sistematica violazione dei diritti umani (qui un approfondimento del New York Times). Xi Jinping non ha usato giri di parole parlando dei separatisti, in una recente visita in Nepal: «Faremo a pezzi i sostenitori del separatismo in Cina», ha detto. E a riportare la frase è stata una nota del ministero degli Esteri cinese. Nepal che peraltro ha rifiutato, pochi mesi fa, di firmare un trattato che avrebbe previsto il “rimpatrio” (in Cina) di circa 20mila profughi tibetani che proprio in Nepal si sono rifugiati.
Distruggere le religioni
Ma è sul fronte interno che filtrano le notizie, rigorosamente non ufficiali (perché è inutile girarci attorno: qui la stampa è libera di scrivere soltanto quello che il Partito permette di pubblicare), che maggiormente offrono uno spaccato di cos’è oggi la Repubblica Popolare Cinese, al di là dei numeri, dei proclami e delle parate. Uno dei siti più attivi in tal senso è Bitter Winter, un periodico online (attivo dal 2018) centrato sui temi della libertà religiosa e dei diritti umani in Cina. E’ pubblicato quotidianamente in cinque lingue dal Censur, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, che ha sede a Torino, e ospita testimonianze e interventi, spesso non firmati o con pseudonimi per proteggere gli autori, di studiosi, giornalisti e attivisti per i diritti umani.
E’ qui che si trovano notizie delle persecuzioni contro cattolici e protestanti, cronache minuziose che raccontano quanto stia diventando rigoroso e ossessivo il controllo delle religioni. «Da quando il presidente Xi Jinping è in carica i suoi ritratti e le sue citazioni hanno iniziato a diffondersi nei luoghi di culto e anche nelle case dei credenti, portando il suo culto della personalità a livelli senza precedenti. I credenti vengono minacciati di revoca dei sussidi per la riduzione della povertà e di altri aiuti governativi se non sostituiscono i simboli religiosi con i ritratti di Xi Jinping o Mao Zedong».
Le storie di nonno Xi e l’app per accumulare punti
Che, al pari del suo predecessore, ha imposto la diffusione di un nuovo “Libretto rosso”: «Per dimostrare lealtà al presidente e al PCC, giovani e anziani di ogni ceto sociale devono memorizzare e ricopiare i discorsi del presidente. Imparare a memoria i discorsi del presidente è diventata una parte essenziale dell’istruzione scolastica. Nella provincia sudorientale del Fujian gli studenti delle scuole superiori hanno recentemente ricevuto dal loro insegnante la lista delle “100 citazioni d’oro di Xi Jinping” ed è stato chiesto loro di memorizzarle.
Uno studente ha ironicamente commentato: “Se nei nostri componimenti inseriamo citazioni tratte dai discorsi dello zio Xi gli insegnanti non ci danno voti bassi”. Per diventare fedeli eredi del socialismo, gli studenti hanno l’obbligo di studiare libri come “Il linguaggio di Ping alla portata del popolo”, “Le storie di nonno Xi”, “Dizionario del linguaggio di Ping”. Un culto della personalità che non conosce freni. In un altro articolo titolato “Come Xi Jinping divenne dio”, si legge: «Le persone in tutta la Cina sono state costrette a essere dipendenti da un’app mobile.
Da quando, in gennaio, il PCC ha lanciato l’app per cellulari e tablet “Xi Study Strong Nation”, tutti i membri del Partito, i dipendenti pubblici e gli insegnanti sono costretti a scaricarla per studiare i pensieri e l’opera del presidente Xi. Si accumulano punti leggendone gli articoli, guardandone i video, ascoltandone i discorsi e rispondendo alle domande». Il PCC l’ha definito “uno strumento divertente”. Una nuova forma di maoismo digitale, e l’incipit dell’articolo (questa volta firmato, e di firma autorevole: Massimo Introvigne, sociologo delle religioni, fondatore e direttore del Censur), sembra il titolo di un film grottesco: «Il presidente Mao è tornato, e questa volta possiede uno smartphone».