Michele Antonioni premiato con il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia
Si può parlare, oggi, di una corrente letteraria sul clima? Telmo Pievani, riferendosi a due libri recenti, ha avanzato su queste pagine l’ipotesi. E viene da chiedersi se a questo argomento e le sue diramazioni si sia accostato, o si stia accostando, anche il cinema. Molti documentari sono stati girati, ed è facile prevedere che in tempi brevi una corrente ci sarà anche per i film, prendendo le mosse dal cambiamento che stiamo vivendo. In questo senso, se non altro, la fantascienza è stato uno dei filoni più praticati.
Ma volendo andare indietro c’è un precedente autorevole, di antica data, di un autore che poi prenderà altre strade. Nel 1940 Michelangelo Antonioni pubblica il suo primo progetto per il cinema (Terra verde) che sta a mezzo tra la finzione realista, la favola e, appunto, la fantascienza. Prendendo lo spunto da un racconto di Guido Piovene, immagina una trasformazione radicale provocata dal clima in un paese nordico (“un lembo di Groenlandia”) in un’epoca non definita. Solo che il cambiamento va nell’altra direzione rispetto a quello che stiamo vivendo, è la “discesa inesorabile del ghiaccio verso il mare” che “riduce la terra a un striscia sempre più stretta e provoca la distruzione di città e campagne”.
Sullo sfondo di questa “atmosfera da fine del mondo” gli abitanti sono costretti ad emigrare prendendo la via del mare “verso i paesi del sole”. Sono i primi profughi climatici del cinema italiano. Antonioni non portò mai a conclusione il progetto, ebbe modo però di riprendere in seguito, sempre in racconti mai arrivati al cinema, il tema dell’”uomo in lotta contro le forze elementari”. Due ipotesi di lavoro arrivarono quasi alla realizzazione, ma alla fine i produttori si ritirarono .
Il legame con l’ambiente rimase una costante del cinema antonioniano. I film realizzati in seguito seguirono però vie diverse. Qualche traccia di questo percorso c’è già in Terra verde, il rivolgimento climatico è affidato infatti prevalentemente al colore; nel racconto di Piovene – scrive il futuro regista - “c’è un che di prezioso per gli occhi”. Nel progetto per film c’è qualcosa di più, un ritratto di una giovane donna (“espressione tipica del femminino”), che sembra anticipare i tanti personaggi posteriori in cui la donna appare come il filtro del cambiamento nei rapporti interpersonali.
Grandi sconvolgimenti e sottili trapassi.