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Se avessi potuto incontrare il Papa, cosa gli avresti chiesto?
Javier Cercas, il romanziere, autore celeberrimo di Anatomia di un istante o di Soldati di Salamina, l’ha potuto fare. L’ha incontrato e quella domanda gliel’ha posta.
Era stato contattato dalla Libreria Editrice Vaticana, la Lev, perché nel 2023 seguisse Bergoglio nel suo viaggio in Mongolia e ci scrivesse un libro a riguardo. Immenso è stato lo stupore dello scrittore.
“Sono ateo. Sono anticlericale. Sono un laicista militante, un razionalista ostinato, un empio rigoroso. Però eccomi qua, in volo verso la Mongolia con l’anziano vicario di Cristo sulla terra, pronto a interrogarlo sulla resurrezione della carne e la vita eterna. Perciò mi sono imbarcato su questo aereo: per chiedere a papa Francesco se mia madre vedrà mio padre al di là della morte, e per portare a mia madre la sua risposta. Ecco un folle senza Dio che insegue il folle di Dio fino alla fine del mondo”.
Soprattutto non dobbiamo dimenticare che Cercas è un narratore.
Questo fa del suo libro, appena uscito per Guanda, Il folle di Dio alla fine del mondo appunto, un unicum nel vasto panorama della letteratura di e su papa Francesco, fatta di biografie, autobiografie, disamine teologiche e politiche sul suo mandato, encicliche e molto altro.
Per quanto capacissimo di sparire dalla pagina, un narratore ha sempre bisogno di far muovere gli ingranaggi della sua creatività: mai potrebbe ridursi a fedele cronista. Cercas racconta nel libro che, alla proposta fattagli dal responsabile della Lev, Lorenzo Fazzini, avrebbe risposto (in realtà non se lo ricorda – gli è stato rammentato): “Ma siete impazziti o che?”. “Non è una proposta che faremmo a chiunque” lo ha confortato l’altro. “Che io sappia sarebbe la prima volta che qualcuno scrive un libro così. […] La prima volta che il Vaticano apre le porte a uno scrittore. […] Mi creda: ci siamo informati su di lei”.
Sembra l’inizio di un romanzo di spionaggio. E Cercas in effetti non rinuncia alla suspense, in tutta l’opera. Come non rinuncia a un impianto di tipo narrativo.
Christopher Vogler, uno degli story analyst più famosi al mondo, che ha lungamente lavorato alla Disney, ci farebbe osservare che potremmo applicare a questo libro lo schema del “viaggio dell’eroe”, un modello universale che rintraccia le sue origini nella struttura del mito e che vede l’eroe affrontare la sua missione ogni volta attraversando le stesse identiche fasi. Un’opera creativa ben congegnata si dice rispetti questo schema di storytelling: dalla pubblicità a una sceneggiatura, passando per i romanzi financo ai podcast. Le fasi del viaggio dell’eroe sono 12, e in effetti, in questo libro di Cercas, ci sono tutte.
1. Il mondo ordinario (prima che tutto cominci): ossia la vita dello scrittore prima di ricevere una telefonata nientemeno che dalla Santa Sede.
2. La chiamata all’avventura: che nella fattispecie consiste nell’incontrare il Papa, seguirlo in Mongolia e scrivere un libro.
3. Il rifiuto della chiamata: Cercas tituba, sembra che non voglia. Non è convinto sia cosa per lui, e si confronta con gli amici, con i colleghi. “Se fossi Bach” scrive nel libro “accetterei immediatamente. Pensavo: se mi scorresse nelle vene una sola goccia del sangue di Bach, se la mia carne contenesse un solo atomo della carne geniale di Bach, sentirei che Dio mi sta chiamando”. Invece lui è ateo. Cosa può poter dire sul Papa? Sul suo viaggio?
4. L’incontro con il mentore: che in questo caso è lo stesso Fazzini e che gli fa da controcanto in tutta l’opera. A ben guardare, infatti, Cercas incontrerà il Papa solo due volte, la prima testimoniata da una fotografia che ha fatto il giro dei giornali e la seconda a tu per tu sull’aereo che li stava portando in Mongolia. Chi invece è il riferimento costante della voce narrante è proprio colui che gli ha “fatto la chiamata”: quell’uomo che lo ha messo “fuori dalla zona di comfort”, come direbbe uno psicologo.
5. Il superamento della prima soglia: per l’autore è consistito nell’introdursi nel mondo vaticano e decidere quale potesse essere il senso del suo lavoro. “La letteratura” scrive “è uno strumento di conoscenza: serve a comprendere. Comprendere tutto significa perdonare tutto, recita un detto francese. Falso. Comprendere non significa giustificare”. Cercas ha superato la soglia della sua titubanza quando ha escogitato quella domanda, che si riservava di fare al Papa, sulla vita dopo la morte. E che non è affatto poca cosa.
Chi ha fede, secondo la dottrina, non può che credere in quello che la dottrina insegna: “Se Cristo non è risorto” scrive Paolo di Tarso ai cristiani di Corinto – ci dice Cercas – “vana allora è la nostra predicazione, vana anche la vostra fede”. Ma Cercas, a differenza della madre alla quale vuole portare la risposta del Papa, non è credente: “Una confessione obbligatoria: sono uno scrittore perché ho perso la fede. L’ho persa nell’adolescenza, ma soltanto poco tempo fa mi sono reso conto di avere compensato quella perdita con la letteratura, o almeno solo poco tempo fa sono stato in grado di confessarlo”.
6. Prove, alleati, nemici: lo scrittore nel suo viaggio attraverso il mondo vaticano e le sue regole, strutture, consuetudini, credenze e dinamiche incontra moltissime persone vicine al papa e alla sua missione. Dal giornalista gesuita Antonio Spadaro, ai cardinali, ai missionari, ai semplici lavoratori, alle guardie svizzere (“quando arriva il dipendente della casa editrice, gli domando se le guardie svizzere sono effettivamente svizzere. Certo, risponde”) per non parlare dei cattolici che hanno scelto di essere tali in Mongolia, quel luogo “alla fine del mondo” dove Bergoglio si reca per incontrare il prossimo.
7. L’avvicinamento alla caverna più profonda: ossia la preparazione all’incontro con Bergoglio, che però avviene inaspettatamente perché papa Francesco si rende disponibile a parlare in privato con Cercas alla prima sua richiesta dopo pochi minuti che l’ha pronunciata, su quell’aereo che li sta portando in un mondo che abbraccia una visione altra.
8. La prova centrale: è quell’incontro. Cercas, convintamente non credente, ci racconta un dialogo avuto con la moglie poco prima di partire: “Stai attento mi ha detto lei. A cosa? le ho chiesto. Come se non ti conoscessi, ha risposto. Tu pensi di incastrare il Papa con la storia della resurrezione della carne e della vita eterna, ma forse sarà lui a incastrare te. Sapendo o sospettando cosa volesse dire, le ho domandato cosa voleva dire. Che magari mi torni trasformato in un soldato di Francesco, mi ha risposto. Abbiamo riso entrambi, ma lei più di me”. Ecco quale può essere la prova dell’eroe dunque: ascoltare e comprendere la risposta di Bergoglio. Quasi per schernirsi da una possibile rivelazione.
9. La ricompensa: che consiste proprio in quello stesso viaggio in Mongolia, fatto, a questo punto, con la risposta in tasca e la possibilità – grande per un narratore – di penetrare un doppio mondo: quello asiatico in sé e di poterlo “leggere” con gli occhi di chi pratica una religione all’apparenza distante.
10. La via del ritorno (al mondo ordinario): è il rientro vero e proprio in Italia e all’attività di scrittura, una volta compiuta “la missione” e portata alla madre la risposta per lei. Ma non tutto è davvero terminato perché c’è sempre un colpo di coda, un’ultima prova che l’eroe deve superare.
11. La resurrezione: la madre muore di lì a poco e questo getta lo scrittore in un comprensibile sconforto. Ma qualcosa è cambiato: l’eroe è risorto e guarda al mondo con occhi nuovi. Sentito Fazzini al telefono gli dice quasi per celia di chiedere al Papa di pregare per lei. Ed ecco che infine arriva…
12. Il ritorno con l’elixir: è una telefonata. Da un numero sconosciuto. È il Papa, per confortarlo del suo cordoglio: ha pregato per la madre, lo abbraccia.
Le 12 fasi ci sono in effetti tutte. Da questa analisi narratologica, il libro si tiene.
Cosa appare evidente però, a questo punto? Che l’eroe del viaggio non è papa Bergoglio, per quanto se ne riscostruisca dettagliatamente la vita, il pensiero, la storia attraverso anche i molteplici incontri con chi gli vive accanto, ma Cercas stesso. Che, forse, in questo senso, pecca di hybris. Certo, del Papa e della religione si parla eccome, ma proprio nello shift del punto di vista e della voce si evidenzia il suo talento da narratore, che sa trasformare la vita in storie e portarle vicino a chi legge, a volte, come in questo caso, per il tramite della propria persona.
D’altro canto, Cercas lo dichiara persino: “Seduto tra colleghi di tutto il mondo, con la musica di Bach che mi risuonava ancora nelle orecchie, sotto gli affreschi stupefacenti di Michelangelo, ho deciso che, se scrivevo il libro sul Papa, ero costretto a scrivere un libro diverso, il più stravagante possibile, un misto di cronaca e saggio e biografia e autobiografia, un esperimento eccentrico, un guazzabuglio, se possibile un banchetto con molte portate, una follia solidale con la demenza del folle di Dio, un esperimento allegro e fuori di testa, un miscuglio di generi nel cui cuore scintillassero, come pezzi ardenti di lava in un cratere attivo, la resurrezione della carne e la vita eterna”.
In ultimo, lo so che ve lo state chiedendo. Cosa abbia risposto il Papa sulla resurrezione. Se la signora Cercas avrebbe incontrato il signor Cercas una volta morta. “Senza alcun dubbio” ha detto Bergoglio.
“ Sono uno scrittore perché ho perso la fede Javier Cercas