
Non esistono prontuari che ci spieghino le cose del mondo, purtroppo. Però esistono i romanzi, che per definizione non danno risposte ma mostrano la complessità di quello che ci circonda o che ci abita l’anima, facendocela esperire come se la vivessimo.
Prendiamo per esempio ciò che succede a Jean, la protagonista di Come arcipelaghi di Caterina Perali (NEO Edizioni): nella sua vita di quarantenne senza troppe preoccupazioni irrompe Chiara, la sua vicina di casa, decisa ad avere un figlio a tutti i costi anche se non ha un compagno con cui farlo; le due legano e l’orizzonte della prima inevitabilmente si sposta, così come la seconda ha all’improvviso un’interlocutrice con cui condividere un percorso tutt’altro che semplice.
Perali, in questo suo terzo romanzo che chiude un’ideale trilogia di romanzi ambientati in condomini di ringhiera, squarcia un velo sul tema, per fortuna ormai non più tabù, della procreazione medicalmente assistita e ci porta a interrogarci non solo sul senso e sulle possibilità concesse a un desiderio (quello della maternità) su cui oggi si discute, ma più in generale ci conduce ai confini del desiderio, a chiederci cosa ci rende ciò che siamo.
“Le relazioni dovrebbero essere punti d’incontro nell’universo dell’altro. Siamo arcipelaghi non isole, per questo la mia Rubrica di Sostegno Generico [che la protagonista tiene periodicamente sui social] funziona: è un approdo per profughi dell’anima, uno scalo per un altrove lontano, una possibilità di relazione tra tante solitudini connesse”.
E allora questa storia diventa un caleidoscopio più ampio, che racconta come sia difficile intercettare l’altro e condividere un sogno, che forse non è davvero mai condiviso, che forse è qualcosa di così indicibile da non poter essere categorizzato e messo a sistema.
“Non sono un’egoista. Ho avuto tante storie, tanti uomini. Ma non posso più perdere tempo coltivando delusioni, ho un’urgenza, questa. Qualsiasi donna al primo figlio non sa a cosa va incontro. Perché io lo dovrei sapere più delle altre? E chi si separa dopo sei mesi dalla nascita perché non va più d’accordo o perché ha un’amante o perché lui è violento? Non voglio farmi il primo che capita […]”.
Viene in mente il celebre finale di Harry ti presento Sally: “Quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile”. Non può essere lo stesso quando desideri un figlio?
“Non sono molte le coppie per cui provo una sana invidia” si legge. “Di sicuro per tutte quelle che superano i centotrent’anni in due, a prescindere dalla durata della relazione e dalla suddivisione degli anni singolarmente […] Invidio anche quelle che non litigano in pubblico e le coppie che si addormentano tenendosi per mano […]”
Certo che avere un figlio ha a che fare con la coppia, ma leggendo Come arcipelaghi si comprende quanto ormai, però, il re sia nudo. Non lo dice un bambino: è sotto gli occhi di tutti questa nostra difficoltà relazionale. E allora che fare?
“Il legame di discendenza ha intrinsecamente qualcosa di misterioso e insondabile”.
Abbiamo intervistato l’autrice (in calce), ma prima ancora Valentina Pizzol, avvocata esperta in diritti LGBTQI (che tanto somiglia a un personaggio del libro). Ecco cosa ci ha detto.
Qual è lo stato dell’arte della PMA oggi in Italia?
La PMA è disciplinata dalla L. 40/2004 che attualmente permette l'accesso a tale tecnica solo a coppie di sesso diverso, escludendo quindi le donne single e le coppie dello stesso sesso.
La Corte costituzionale è stata di recente interpellata proprio su queste due preclusioni in quanto potrebbero risultare in contrasto con alcune norme della nostra Costituzione. Se così fosse la Corte potrebbe estendere l’accesso alla PMA anche a queste due categorie e sarebbe un passo importante per i diritti civili.
Quando la legge riconosce un diritto come tale? La genitorialità, per esempio, è un già considerata un diritto o c’è un dibattito in merito? Immagino che siano coinvolti esperti a vario titolo: antropologi, sociologi, medici, psicologi… cosa dicono? Come si pone il legislatore, invece?
Oggi si fa fatica a parlare di un vero e proprio diritto alla genitorialità, in quanto è più facile parlare del contrario, ossia del diritto del figlio ad avere un genitore.
Credo tuttavia che nel momento stesso in cui il nostro legislatore prevede che, in caso di inferitilità/sterilità, la coppia abbia il diritto di accedere alla PMA, stia, di fatto, riconoscendo un diritto alla genitorialità. Questa affermazione è tanto più vera se si pensa che quella stessa coppia potrebbe addirittura, sempre per legge, accedere alla PMA eterologa, avendo quindi un figlio che biologicamente non condivide al 100% il patrimonio genetico con i suoi genitori.
Che ci siano bambini che biologicamente non c'entrino nulla con la famiglia che gli accoglie, non ci turba. Quello che ci dà fastidio è che a crescerli siano famiglie monoparentali o, ancor più, coppie dello stesso sesso.
Una paura che nasce da un retaggio culturale secondo cui solo una famiglia composta da un uomo e da una donna è il luogo più idoneo per accogliere un nuovo nato. Si tratta all'evidenza di un falso mito in quanto in psicologia esiste moltissima letteratura che afferma come non ci siano differenze sul punto: il benessere dei bambini nati e cresciuti in contesti omogenitoriali è lo stesso di quelli nati e cresciuti in una famiglia eterosessuale.
Sei un’avvocata esperta in diritti LGBTQI: quali sono gli ostacoli legali che incontrano le persone LGBTQI nel nostro Paese e perché? E se è vero che, come si legge in un dialogo del libro Come arcipelaghi di Caterina Perali, “il diritto deve seguire la società”, il fatto che il diritto stia ancora “indietro” significa che anche la società è ancora lontana dal riconoscere le forme in cui si dispiega l’animo umano e la sua libertà?
Le persone LGBTQI sono fortemente discriminate nel nostro paese. è sufficiente pensare all'istituto delle unioni civili introdotto nel 2016 esclusivamente per le coppie omosessuali : una specie di matrimonio ma con meno diritti (ad esempio non consente di accedere all'adozione).
Il diritto serve alla società per vivere senza che regni il caos.
Se è pacifico che in Italia ci sono moltissime famiglie omogenitoriali (è sufficiente che una coppia di donne vada all'estero e si sottoponga ad un trattamento di PMA per avere un figlio) occorre chiedersi che senso abbia comportarsi negando la loro esistenza e lasciando privi di tutela i bambini che sono nati da un progetto genitoriale coltivato da due donne.
Se, di fatto, ci sono delle famigile composte da due genitori dello stesso sesso è giusto che il legislatore ne prenda atto e le disciplini, soprattutto nell'interesse dei minori.
Normare queste famiglie significa anche favorire l'accoglienza nella nostra società di realtà diverse da quella del “MulinoBianco” e prevenire in tal modo l’odio nei confronti delle persone LGBTQI.
Queste invece le nostre domande alla scrittrice, Caterina Perali, che è entrata nelle viscere di una storia particolare: quella che ha messo sulla pagina.
“Sperma era una parola che non sentivo da tempo. Sicuramente in campo medico o pornografico era più frequente che nella mia vita, ma se dal secondo piano non avessero urlato “mi basta il suo sperma!” avrei pensato fosse caduta in disuso, come musicassetta o ramanzina”. Fai iniziare così il tuo romanzo: con il botto. Un romanzo ironico e profondo che declina i tanti aspetti contraddittori della contemporaneità. Da dove nasce questa storia? cosa cercavi? cosa hai trovato scrivendo e che cosa ti auguri che trovino i lettori?
Questa storia nasce da un lavoro di sottrazione che ho cercato di fare sul tema della maternità. Dopo essere diventata madre mi era rimasta una sofferenza addosso con cui dovevo fare i conti. Sentivo che ne dovevo scrivere per attraversarla. Ci dovevo mettere il dito dentro. Per mesi ho pensato a come avvicinarmi alla tematica senza cadere nel patetico o nella lacrima ormonale.
Ma non volevo neanche diventasse un saggio. Non sapevo cosa volevo che fosse, finché non mi sono liberata dal pregiudizio che io per prima avevo rispetto alla maternità.
Sono riuscita a scrivere l’incipit solo quando ho fatto pace con me stessa. Così ho deciso che questo libro sarebbe diventato il terzo capitolo della Trilogia della casa di ringhiera, e che non avrebbe parlato solo di maternità, ma di rapporti, di relazioni, di nuove tipologie di famiglie. Il tema della PMA è arrivato in modo naturale. La percentuale di coppie che si avvalgono del trattamento è in crescita costante, sebbene rimanga una tematica ancora piuttosto segreta.
Quello che ho cercato di fare è stato abbattere un po' di pregiudizi sul tema. Iniziare con la parola sperma mi ha aiutata.
La voce è la chiave di un romanzo. Trovata quella è trovato (quasi) tutto. La voce di Come arcipelaghi è quella di una donna che riesce a guardare la vita con leggerezza ma anche con disincanto e che viene attraversata da quello che succede a lei e intorno a lei. Siamo ancora capaci di fare così? Di farci scuotere dal dubbio e di consolarci parlando di ciglia finte o altre frivolezze? Oppure adesso prevalgono le ciglia finte, per restare nella metafora?
Bella domanda. Sì, la voce è la chiave di un romanzo. La voce di questo libro fatica a trovare pace. Anche chi crede di non essere troppo condizionato dalla società, in qualche modo ne resta condizionato. Le ciglia finte non bastano più per consolarci, perché è tutto così veloce e fragile, per dare sollievo senza una forte consapevolezza della propria identità. Per volare bisogna saperlo fare. Citando Calvino, la “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Se restano i macigni le ciglia finte non bastano più.
Il romanzo gira intorno a una PMA: amarsi (nel senso di amare la persona che si ha accanto ma anche di amare sé stessi) significa mettere al mondo dei figli? Credo che questa sia una delle domande cardine attorno a cui girano i pensieri delle protagoniste…
Esatto. Amarsi significa mettere al mondo dei figli? Mettere al mondo dei figli significa amarsi? Il concetto di ruolo e il dualismo che ne consegue mi interessava come maschera dell’Occidente: madre/non madre, coppia/single, concepimento naturale/concepimento medicalmente assistito, eterosessuale/omosessuale. Penso che la libertà, la felicità e il diritto dovrebbe essere in un altrove rispetto a una logica binaria.
Che differenza c’è tra il vivere le esperienze (come fa Chiara) e il vederle fare agli altri (quello che succede a Jean)? Il romanziere spesso si trova in entrambi i panni, volutamente, ed è maestro di immedesimazione. Lo stesso invece non avviene nella vita quotidiana in cui spesso ci troviamo ad applicare al prossimo regole esistenziali che abbiamo costruito per noi stessi. In questo senso il romanzo ha anche una sua forma di “utilità”? Ci “insegna” a guardare e a capire? Così fa anche Come arcipelaghi?
Come arcipelaghi non so se insegna, al limite spero possa almeno interrogare, dare qualche dritta, far riflettere, ma soprattutto mescolare un po’ le carte.
“ Il legame di discendenza ha intrinsecamente qualcosa di misterioso e insondabile Caterina Perali