SCIENZA E RICERCA

Clima ed estinzione di fine Triassico: nuovi scenari per ragionare sulle emissioni antropogeniche

Sulle principali estinzioni di massa avvenute nel passato della Terra le questioni irrisolte sono ancora molte ma è stato ormai accertato che periodi di intenso vulcanismo, anche di breve durata ma contraddistinti da fenomeni magmatici di portata eccezionale e ampie dimensioni, implicano sconvolgimenti di vasta portata in grado di mettere a rischio la sopravvivenza degli esseri viventi.

Uno degli eventi più catastrofici è quello che alla fine del Triassico, circa 201 milioni di anni fa, portò alla scomparsa di oltre la metà delle forme di vita terrestri e marine: da tempo gli scienziati ne indagano le cause e sono riusciti a comprendere che l’origine degli sconvolgimenti climatici e ambientali che impattarono in modo così violento sul pianeta va ricercata nell’intensa attività vulcanica che si verificò nella Central Atlantic Magmatic Province (CAMP) proprio in quel momento.

In un breve lasso di tempo, parliamo di qualche secolo e dunque un battito di ciglia su scala geologica, la grande provincia magmatica dell’Atlantico centrale, un’area che aveva un’estensione di 10 milioni di km, iniettò gigantesche quantità di CO2 in atmosfera e impattò in modo decisivo sulla biosfera provocando sia un significativo innalzamento delle temperature sia delle forti alterazioni del Ph degli oceani.

Abbiamo approfondito i risultati di questo filone di ricerca, che vede impegnata anche l'università di Padova, in diverse occasioni illustrando, insieme ad alcuni degli autori, come sia stato possibile dimostrare che l'inizio dell'evento di estinzione di massa è coinciso con una delle più intense attività magmatiche della storia recente della Terra e come si sia poi arrivati a comprenderne gli effetti climatici collegati alle emissioni di gas serra provocate dal vulcanismo. 

Ma c'è di più: gli sterminati flussi lavici prodotti dalla CAMP possono sembrare un fenomeno naturale lontano ed è certamente così. Tuttavia un confronto tra la quantità di carbonio che essi liberarono in atmosfera e quella prodotta dalle attività umane apre nuovi scenari per l’interpretazione degli attuali cambiamenti climatici e ambientali.

Uno studio pubblicato su Nature Communications nel 2020 e intitolato Deep CO2 in the end-Triassic Central Atlantic Magmatic Province aveva già sottolineato come la quantità di CO2 emessa dalle eruzioni vulcaniche di fine Triassico fosse paragonabile allo scenario delle emissioni antropogeniche previste dall’Intergovernmental Panel on Climate Change dell'Onu per il 21° secolo. 

Adesso questa linea di ricerca ha compiuto un ulteriore passo avanti arrivando a mettere a punto un nuovo modello paleoclimatico che mostra il potenziale impatto delle emissioni di CO2 a scala antropogenica derivanti dall’attività vulcanica eccezionale che ha sconvolto il clima e l’ambiente di fine Triassico, scatenando un catastrofico evento di estinzione di massa.

I risultati dello studio Anthropogenic-scale CO2 degassing from the Central Atlantic Magmatic Province as a driver of the end-Triassic mass extinction sono appena stati pubblicati sull'ultimo numero della rivista Global and Planetary Change e, come spiega a Il Bo Live il primo autore del lavoro Manfredo Capriolo, che dopo aver conseguito il dottorato al dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova è adesso ricercatore al Centre for Earth Evolution and Dynamics dell'università di Olso, sebbene il paragone necessiti di essere contestualizzato, "la forte somiglianza tra gli eventi ricostruiti attraverso il nostro modelling paleoclimatico alla fine del Triassico e le emissioni delle attività antropogeniche moderne è sicuramente allarmante". 

 

"Il progetto su cui sto lavorando - introduce Manfredo Capriolo - si chiama MAPLES e si basa sullo studio dell’interazione tra magma e sedimenti al fine di ricostruire quale tipo di volatili vengono prodotti e in che modo vengono rilasciati in atmosfera, arrivando quindi a comprendere quale è il ruolo di questo degassing sui cambiamenti climatici e in generale sull’atmosfera e sulla biosfera".

Durante la storia recente della Terra i periodi in cui il vulcanismo delle grandi province magmatiche si è accentuato hanno mostrato una contemporaneità con i principali eventi di estinzioni di massa che si sono verificati negli ultimi 500 milioni di anni e per questo motivo lo studio delle Large Igneous Province acquisisce una particolare importanza. 

"Il legame tra questi due fenomeni viene ricercato nel degassamento di differenti specie del carbonio e dello zolfo, ma anche mercurio e altri composti che hanno un’elevata tossicità e un grande impatto a livello sul clima, sull’ambiente e sulla biosfera", chiarisce il ricercatore del CEED.

Lo studio pubblicato nei giorni scorsi su Global and Planetary Change è frutto di una collaborazione internazionale che per l'università di Padova ha coinvolto anche il professor Andrea Marzoli, del dipartimento Territorio e sistemi agroforestali. Oltre al CEED dell'università di Oslo hanno inoltre partecipato allo studio gli atenei di Leeds e di Wuhan.

Manfredo Capriolo ha iniziato a lavorare su questa linea di ricerca durante il periodo di dottorato al dipartimento di Geoscienze e i risultati ottenuti hanno permesso di comprendere meglio quali specie del carbonio erano state rilasciate in atmosfera durante il periodo di intenso vulcanismo della CAMP, individuando così una possibile spiegazione per la contemporaneità con l'evento di estinzione di massa di 201 milioni di anni fa.

"L’ultimo studio pubblicato - spiega Capriolo - fa parte di una serie di articoli realizzati durante la mia tesi di dottorato: il primo era focalizzato sulla CO2 degassata dalla CAMP, il secondo era basato sullo studio del metano degassato dalla stessa grande provincia magmatica, mentre quest’ultimo è sul modelling paleoclimatico della CAMP in termini di degassing di CO2 ed evidenzia un parallelismo con le attività antropogeniche e il conseguente rilascio di gas serra".

 


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"in particolare - entra nel dettaglio il ricercatore - ci siamo soffermati sulla prima fase che, oltre ad essere pulsata, è anche la più voluminosa ed è sincrona con il primo picco di estinzione di massa di fine Triassico. Il nostro modelling evidenzia come la quantità di CO2 degassata e il tempo di degassamento di un singolo pulso della CAMP durante la sua prima fase di attività sia simile alle emissioni di CO2 antropogeniche che si sono registrate dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi.

"Abbiamo testato diversi scenari provando differenti variabili come il numero di pulsi, la durata di ciascun pulso e la quantità di CO2 degassata. Abbiamo inoltre testato una differente baseline per il livello di concentrazione di CO2 nell’atmosfera e una differente firma isotopica del carbonio degassato".

Le emissioni derivanti da questa attività vulcanica, intensa e pulsata, hanno impattato in modo decisivo sulla biosfera provocando sia il riscaldamento delle temperature sia l'abbassamento del pH degli oceani. "Il nostro modello evidenzia come la prima fase della CAMP alla fine del Triassico abbia potuto produrre un incremento della CO2 atmosferica che provoca riscaldamento globale e acidificazione degli oceani. L’incremento di temperatura media può raggiungere i 5 gradi mentre l’acidificazione degli oceani, che consiste in una diminuzione del Ph, può arrivare a 0.2 unità logaritmiche".

Capriolo si sofferma poi sul filo conduttore che tiene insieme la linea di ricerca da lui guidata. "Quest’ultimo articolo si ricollega ai precedenti due lavori non soltanto per il fatto che si focalizza sullo studio della CAMP ma anche perché si basa sulla CO2 degassata che nel primo lavoro viene investigata attraverso lo studio delle melt inclusions. Queste sono piccole imperfezioni dei cristalli che preservano piccole quantità della CO2 e degli altri volatili che erano stati degassati 201 milioni di anni fa durante l’attività della CAMP. Similmente il secondo lavoro su basa di nuovo sullo studio di altre piccole imperfezioni nei cristalli, questa volte le fluid inclusions, che preservano quantità di volatili. In particolare noi abbiamo investigato la presenza di metano, che è presente insieme all’acqua, al sale e altri precipitati salini. Studiare questi composti del carbonio all’interno di queste microstrutture è importante perché permette di comprendere più nel dettaglio qual è il meccanismo che porta al degassing di specie del carbonio durante l’attività magmatica e di conseguenza capire le quantità e l’impatto che questo fenomeno ha avuto sulla biosfera".

Il pulso vulcanico studiato dagli autori è stato breve: in passato si riteneva che fosse durato più a lungo ma oggi le informazioni ottenute dalla magnetostatigrafia e da altri dati precedentemente pubblicati in letteratura portano a ritenere che questa attività si sia prolungata per circa 400 anni. Una durata simile a quella delle attuali emissioni antropogeniche, dall'inizio della rivoluzione industriale in poi.

"Il messaggio di questo articolo è che in predenza eventi su scala antropogenica non venivano considerati nel passato della Terra. Molto probabilmente possono essersi verificati ma in virtù della loro brevissima durata, un battito di ciglia per la storia della Terra, sono spesso nascosti all’interno dei record sedimentari e geologici in generale".

"Il paragone e la forte somiglianza tra gli eventi ricostruiti attraverso il nostro modelling paleoclimatico alla fine del Triassico e le emissioni delle attività antropogeniche moderne è sicuramente allarmante. Naturalmente alla fine del Triassico il mondo era molto diverso da quello attuale, gli ecosistemi erano differenti così come il livello di CO2 nell’atmosfera. Non si può quindi fare un paragone prendendo semplicemente i risultati e senza contestualizzarli.

Tuttavia la similitudine è certamente allarmante e se pensiamo alle conseguenze che questo tipo di fenomeni hanno implicato alla fine del Triassico possiamo ben comprendere come sia fondamentale tenere in considerazione il nostro futuro e quindi prevenire il più possibile emissioni di CO2", conclude Manfredo Capriolo.

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