SCIENZA E RICERCA
Le domande irrisolte dell’evoluzione. Come funzionano le estinzioni di massa?
Gli anfibi sono tra le forme di vita più colpiti dalla crisi estintiva in corso, la sesta. Foto: Sonika Agarwal/Unsplash
Centinaia di milioni di anni fa, la Terra era popolata da strani esseri dalle forme curiose: organismi a raggiera simili a meduse, corpi dalla simmetria bilaterale o rotazionale, insoliti animali a forma di foglia, forse abitatori stanziali dei fondali marini. Insomma, un’intera fauna, diffusa su tutto il pianeta, completamente diversa dagli organismi a noi noti. Si tratta della cosiddetta fauna di Ediacara, i cui resti fossili risalgono a un periodo compreso fra i 635 e i 541 milioni di anni fa, ben prima della famosa “esplosione del Cambriano”, da cui sembra si sia originata la vita nella sua conformazione attuale.
Dall’inizio del Cambriano in poi non vi è più traccia, nella documentazione fossile, della fauna di Ediacara: che fine possa aver fatto quella molteplicità di forme di vita è ancora oggi, in parte, un mistero. I resti fossili suggeriscono che la fauna di Ediacara sia scomparsa in maniera pressoché completa e sostituita dalla del tutto differente fauna del Cambriano. Senza dubbio un evento estintivo: uno dei tanti che hanno scandito la storia della vita sulla Terra.
Da quando, quasi quattro miliardi di anni or sono, i primi esseri viventi hanno fatto la loro timida comparsa sul pianeta blu, la storia della vita non si è più arrestata. Eppure, essa non è mai rimasta uguale a sé stessa: si è modificata, si è evoluta, ha esplorato possibilità. Ma ha anche subìto brusche interruzioni: sono cinque le grandi estinzioni di massa – le Big Five, le hanno soprannominate i paleontologi – che hanno portato la vita sull’orlo dell’oblio, e che hanno plasmato il suo percorso evolutivo, scandendo i periodi geologici.
Ma cosa si intende per estinzione di massa? Dopotutto, le specie attualmente esistenti non sono che l’uno per cento di tutte quelle mai esistite: il 99% delle forme di vita evolutesi sul nostro pianeta è ormai estinto. L’estinzione è, infatti, parte della vita – è l’altra faccia della medaglia dell’evoluzione biologica.
Le estinzioni di massa, tuttavia, sono qualcosa di diverso dall’estinzione di sfondo (l’insieme delle forme di vita che si estinguono, costantemente e fisiologicamente, a un tasso compreso tra una e dieci specie ogni milione di anni): la loro peculiarità non è quantificabile solo in termini di estensione, intensità e rapidità, ma si tratta di una differenza sostanziale, qualitativa, che fa dell’estinzione di massa un momento topico, che segna un prima e un dopo nella storia della vita, modificandone radicalmente la traiettoria evolutiva.
L’intervista completa a Michael Benton e Massimo Bernardi. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Elisa Speronello
Le estinzioni di massa, creatrici di diversità
«Tra le estinzioni di sfondo e le estinzioni di massa vi sono numerosi livelli intermedi», spiega Michael Benton, paleontologo e professore di Paleontologia dei vertebrati all’università di Bristol. «La nostra specie, Homo sapiens, è stata responsabile, nel corso della sua permanenza sulla terra, dell’estinzione di diverse specie: si pensi alla repentina scomparsa dei grandi mammiferi nelle Americhe, avvenuta proprio in concomitanza con la colonizzazione di quelle terre da parte degli umani, o delle tante estinzioni di specie endemiche su isole remote.
Ci sono, intorno alle estinzioni di massa, ancora molte questioni irrisolte, domande a cui la scienza non ha trovato risposta. Abbiamo individuato, ad esempio, cinque grandi estinzioni di massa, ma per le conoscenze che abbiamo oggi potrebbero essersene verificate altrettante. Tuttavia, quel che è più importante sottolineare è che conoscere il passato remoto della nostra storia biologica non è un esercizio di erudizione, poiché ci offre preziosi strumenti per comprendere e affrontare con maggiore consapevolezza la crisi attuale – la Sesta estinzione di massa».
Le estinzioni di massa, infatti, hanno ricoperto un ruolo centrale nel modellare la vita. «Già Darwin aveva compreso l’importanza dell’estinzione nella storia dell’evoluzione biologica», sottolinea Massimo Bernardi, paleobiologo e Conservatore per la paleontologia al MUSE, il Museo della Scienza di Trento. «Un’estinzione di massa è una gigantesca perturbazione degli equilibri biologici ed ecologici che, però, non ha soltanto effetti negativi, come la drastica riduzione della biodiversità e la disarticolazione degli ecosistemi. Gli eventi di estinzione di massa rappresentano l’irruzione di un ineliminabile elemento di casualità nella regolarità delle leggi biologiche, casualità che costituisce, dal punto di vista macroevolutivo, una vera e propria ricchezza, in quanto apre nuove possibilità di esplorazione, nuovi percorsi per lo sviluppo della vita.
Pensiamo, ad esempio, ai grandi eventi anossici o ai cambiamenti climatici di portata epocale che si sono succeduti nella storia della Terra: per gli organismi che si erano adattati, in milioni di anni di evoluzione, alle condizioni di vita precedenti sono stati devastanti; per altri organismi, invece, hanno costituito un’opportunità, portando la vita su una strada diversa».
Una parentesi nella continuità dell’evoluzione
Michael Benton ha studiato a lungo il fenomeno delle estinzioni, ed è convinto che, durante un’estinzione di massa, le normali leggi evolutive siano sospese. «Riprendendo una metafora sviluppata da David Raup, uno dei primi paleontologi ad occuparsi di questo argomento, un’estinzione di massa può essere paragonata a un campo minato. Immaginate una trincea, durante la Prima guerra mondiale, e un gruppo di cento soldati che si prepara a una sortita: di questi cento, una metà è nutrita, addestrata e ben armata, mentre l’altra metà è debole e incapace di usare le armi. Ma una volta usciti dalla trincea e avventuratisi nel campo minato, le mine li uccideranno tutti, indifferentemente.
Se, nel nostro esempio, avesse agito la selezione naturale, avrebbero dovuto sopravvivere solo i più forti e ben equipaggiati, mentre i più deboli sarebbero periti. Ma questo non accade nel corso di un’estinzione di massa, poiché i fattori che determinano la sopravvivenza non corrispondono a quelli che agiscono nel corso dei normali tempi evolutivi. Le estinzioni di massa vengono innescate da eventi inusuali e imprevedibili, a cui nessuna forma di vita è preparata.
Molti si chiedono perché a catastrofi come una grande eruzione vulcanica, un cambiamento climatico o l’impatto di un meteorite sopravvivano alcune specie piuttosto che altre. Perché, ad esempio, alla fine del Cretaceo i piccoli mammiferi hanno avuto la meglio sui dinosauri? Possiamo individuare alcune caratteristiche che hanno garantito, nella situazione contingente, un vantaggio adattativo ad alcune specie; tuttavia, credo sia necessario ammettere che nella maggior parte di questi eventi la sopravvivenza sia quasi esclusivamente una questione di fortuna».
Foto: Tanya Grypachevskaya/Unsplash
Homo sapiens, un agente geologico di cambiamento
Studiare le estinzioni di massa non è un hobby da paleontologi: capire come la vita reagisce alle catastrofi, qual è il suo grado di resilienza, è essenziale anche per il presente – forse più di quanto immaginiamo. «Come per molti altri argomenti, anche per quanto riguarda i tempi di recupero degli ecosistemi dopo un evento catastrofico i dati più recenti stanno modificando le nostre precedenti conoscenze», spiega Bernardi. È probabile che, dopo ognuno dei grandi eventi estintivi, la vita abbia avuto bisogno di diversi milioni di anni per tornare a livelli di complessità simili a quelli precedenti la catastrofe; tuttavia, grazie anche a nuove tecnologie che consentono di datare i reperti fossili in maniera più accurata, sempre più evidenze suggeriscono che alcuni gruppi e specie si siano ripresi più velocemente di altri, e che non tutti gli ecosistemi, su scala globale, siano stati colpiti alla stessa maniera».
«Nonostante sia stata dedicata molta attenzione, negli ultimi decenni, all’estinzione della fine del Cretaceo (causata con ogni probabilità dall’impatto con un asteroide, cioè un agente esterno al pianeta), sappiamo che nella gran parte dei casi a dare inizio all’estinzione sono stati fenomeni terrestri come grandi eruzioni vulcaniche», prosegue Benton. Ed eruzioni di così ampie dimensioni, che coinvolgono intere regioni se non tutto il pianeta, innescano processi in grado di mettere a dura prova la sopravvivenza degli esseri viventi. «Si tratta, in particolar modo, del riscaldamento del clima dovuto ad anomale emissioni di gas serra in atmosfera e dell’acidificazione dei mari: due fenomeni che non ci suonano nuovi, poiché sono in atto oggi. La differenza è che, oggi, ad aver innescato questi processi su scala planetaria sono le attività di una sola specie, la nostra».
Tali alterazioni delle normali condizioni ecologiche – alterazioni che, per di più, si stanno verificando ad una eccezionale rapidità – stanno mettendo in serio pericolo la sopravvivenza di numerosissime specie. Stiamo assistendo all’inizio della sesta estinzione di massa: la prima causata non da imponenti fenomeni geologici, ma da una giovane specie africana, molto invasiva e incredibilmente abile nell’adattarsi.
«La paleontologia – afferma ancora lo studioso inglese – è una scienza storica: non può prevedere ciò che accadrà in futuro, ma, attraverso la comprensione dei meccanismi che si sono verificati in passato, può aiutare a comprendere il presente e a prepararsi a quel che potrebbe accadere. Oggi, grazie alla tecnologia, siamo in grado di sviluppare modelli molto validi che, in base ai dati del passato, possono effettuare proiezioni molto attendibili: la previsione del futuro, dunque, sembra un po’ meno incerta».
Dallo studio del passato possiamo trarre con relativa certezza almeno una conclusione: la vita, in un modo o nell’altro, supererà anche questa crisi. «La maggiore incognita – commenta Bernardi – è sotto quale forma la vita sopravvivrà. Le grandi estinzioni sono, come sosteneva Georges Cuvier, vere e proprie rivoluzioni, poiché trasformano completamente lo status quo, e dopo di esse nulla è più come prima. Vista la nostra ubiquità è improbabile, ad esempio, che noi umani ci estingueremo; quel che ad oggi non sappiamo è quale parte dell’attuale diversità della vita sopravvivrà con noi, e in quale mondo ci troveremo tra qualche centinaio di anni. Non stiamo assistendo alla fine del mondo, ma a una transizione di portata epocale: concentriamoci dunque su come affrontare nel migliore dei modi questa contingenza».
«Certo, che Homo sapiens sopravvivrà è pressoché certo – insieme ad altre specie opportuniste, come i ratti e gli scarafaggi», aggiunge sarcastico Benton. «Siamo probabilmente i mammiferi che hanno avuto il maggior successo evolutivo nella storia del pianeta: abbiamo colonizzato tutte le terre emerse, ci siamo adattati a ogni clima e ad ogni ambiente. Tuttavia, nel dominare la Terra stiamo uccidendo molte specie, spesso non altrettanto capaci di adattarsi. La sesta estinzione è già in atto: a causa nostra, la variegata diversità biologica del pianeta si sta rapidamente riducendo». È su questo, forse, che in quanto specie sapiens dovremmo riflettere; è per fermare tutto questo che dobbiamo impegnarci.