CULTURA

Come sta la letteratura italiana?

Ogni giorno in Italia si vendono circa 190 libri, per un totale di circa 70.000 titoli all’anno, di cui solo 6.000 raggiungono le librerie e hanno una vera e propria “vita”. Questa informazione non va mai persa di vista quando si ragiona sullo stato dell’arte (e di salute) della letteratura italiana contemporanea. Ed è utile tenere a mente anche il fatto che i lettori forti (che leggono più di un libro al mese) sono il 6% della popolazione, e che – inoltre – non ha senso alcuno fare paragoni con l’Italia di trenta-quaranta-cinquanta anni fa perché, a quei tempi, il libro aveva molti meno concorrenti (niente serie tv, niente social, youtube o simili: insomma in treno non restava che leggere).

Detto questo è facile comprendere come possa essere difficile per un editore (specie se non ibrida in nessun modo) “tirare a campare”, e lo si può pure perdonare se talvolta insegue il mercato anziché esclusivamente le logiche letterarie.

È bella la storia di Paolo Barbaro, ingegnere, che a Tolmezzo seguiva la costruzione di una diga dell’Enel (come quella del Vajont, per intenderci) e la sera, solo soletto, nella camera di una pensione montana, batteva a macchina il suo primo romanzo, quindi lo imbustava indirizzandolo a “Spett. Einaudi Editore” (senza indicazione della via: “Il postino lo saprà di certo”), per venire poi letto da Calvino e pubblicato dal celeberrimo editore: il suo romanzo era infatti stato valutato come buono. Correva il 1966.

Ora immaginiamo l’editore, oggi. Di dattiloscritti ne riceve a scatoloni, perché pare che chiunque abbia un libro nel cassetto, deve impiegare delle risorse per leggerli (o almeno farsi un’idea) e soprattutto deve chiedersi, visto che i competitor sono tantissimi: ha senso investire proprio in questo libro? Sarà cioè questo un libro capace di farsi notare tra le migliaia di titoli che gli saranno concorrenti? Venderà? E non c’è nulla di male, in questo ultimo interrogativo, anzi: in ultima analisi i libri sono, in ogni caso, merci.

Un titolo potrebbe "farcela" per diverse ragioni:

1. È davvero ben fatto e al contempo accessibile per forma e contenuti a un pubblico ampio (per esempio Cromorama di Riccardo Falcinelli, Le otto montagne di Paolo Cognetti)

2. È di un personaggio la cui “fama” garantisce l’esistenza di una fetta di interessati (un attore, un influencer, uno youtuber ecc.)

3. Cavalca temi e modi che sono diventati un trend oppure sono familiari (per esempio raccolte di post che già sono girati sui social)

4. È un “esordio fortunato” (come non ricordare La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano?): gli esordienti hanno un fascino tutto loro, difficile da prevedere ma dirompente, per questo molti editori ci scommettono.

Come scovare titoli di questo tipo? Per ragioni di economia (di tempo, di danaro ecc.), molto spesso gli editori si fidano della sensibilità di figure terze in grado di “scremare” per loro gli invii e dialogano esclusivamente con questi (sui siti delle case editrici nella sezione manoscritti non è così raro trovare l’indicazione di non mandare i propri testi): sono gli agenti letterari e le loro agenzie, che pertanto diventano elementi chiave della filiera. Sta a loro in prima battuta capire cosa è buono e cosa no, cosa “può andare” e cosa no. Gli agenti rappresentano gli scrittori e quindi sono fortemente motivati, tanto quanto l’editore, a far sì che il pubblico “apprezzi”.

Ecco che quindi l’aspirante scrittore, ma anche lo scrittore affermato in realtà, possa sentirsi dire cose del tipo: “funziona, ma è necessario scaldare i personaggi”. Oppure: “Bisogna introdurre più episodi comici”. O ancora: “Non può morire un bambino. Gli italiani non comprerebbero mai un libro in cui muore un bambino”. La stessa scena, a dire il vero, può verificarsi anche più tardi, in casa editrice, quando l’autore rivede il testo con il proprio editor; e ad alcune presentazioni, se il romanziere è in vena di confidenze, capita di ascoltare recriminazioni del tipo: “Ho dovuto anticipare l’episodio xy perché era necessario metterlo sulla bandella. Mi hanno detto che questo avrebbe aiutato il lancio del libro”.

Ecco. Quando si sente dire che la letteratura italiana è ombelicale, che è fatta di schemi, che si ripete, è necessario tenere a mente questi processi. Senza dimenticare il bisogno che l’editore ha di indovinare (almeno) un titolo. Per un romanzo di Elena Ferrante, di Saviano, di Maurizio De Giovanni ci sono tantissimi libri, pure di valore, che non rendono quanto necessario. Ecco perché, forse, in qualche misura nella letteratura italiana si percepisce una certa tendenza ad andare a priori verso “categorie” che hanno più probabilità di piacere. Ma il povero editore non è da demonizzare: dare al lettore quello che al lettore comune piace (fermo restando che ci sono lettori e lettori, è chiaro) è una strategia di vendita. Basta essere sicuri che a questa si affianchi, ancora, la ricerca letteraria.

intervista a Giulia Caminito, scrittrice ed editor

E, invero, accade. Sono parecchi casi in cui il circolo è virtuoso: il libro è buono, l’autore ha una voce, l’editore ha la forza economica per distribuirlo bene e garantirgli la dovuta visibilità, magari poi il romanzo vince anche qualche premio importante… E il successo è fatto. Ci sono anche molti i casi in cui l’editore investe semplicemente perché crede nel valore di quello che ha per le mani, senza volere che il libro piaccia a ogni costo. Rischia. La presenza sul mercato delle barzellette dei calciatori non ha nulla a che vedere con la distribuzione de l vagabondi di Olga Tokarczuk (fresca di premio Nobel): sono proprio prodotti diversi, con target diversi. Ma possono coesistere, senza che nessuno si senta offeso.

Il libro vincitore del Premio Campiello di quest’anno, Madrigale senza suono di Andrea Tarabbia (Bollati Borighieri), è un romanzo che per moltissimi aspetti si distanzia da quella “famiglia” di romanzi italiani cui si faceva riferimento sopra – è ambientato nel Cinque-Seicento, ha come protagonista un personaggio un po’ grottesco, gira intorno a un tema cólto (la vita di Gesualdo da Venosa, il madrigalista), è scritto con estrema maestria e leggerlo richiede (un po’ di) impegno – ma, dopo la vittoria, è entrato nelle parti alte della classifica. Il che vuol dire che, adesso, vende.

Viene da chiedersi quindi quanto il pubblico vada “educato” e quanto invece inseguito. E qui si aprirebbe una parentesi sulle abitudini di intrattenimento del grande pubblico: il libro è in concorrenza, in qualche misura, con tanti altri tipi di narrazioni. E quando va bene è una serie tv ben fatta.

Viene da chiedersi se basterebbe, e come sarebbe possibile, fermare il continuo nascere e morire di libri (parte della responsabilità di questo fenomeno è da rintracciare nel meccanismo per il quale l’editore si fa finanziare un titolo e per saldare tutti i costi, se non ha venduto come sperava, è costretto a chiedere un nuovo finanziamento sul successivo e via così).

Viene da chiedersi perché nella filiera produttiva chi ci guadagna di più siano i distributori (più della metà degli incassi sono loro), cioè quelle realtà che i libri li trasportano fisicamente, e basta.

Viene da chiedersi perché si legga così poco.

A tutte queste domande una risposta non c’è. Ma non è da escludere che, prima o poi, qualcosa possa cambiare, perché, prendendo a prestito il termine da tutt’altra materia, in questo modo l’entropia prodotta è davvero troppa.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012