SOCIETÀ

COP15 di Montreal. “30 entro il 30”: il nuovo accordo per la biodiversità

Alle 3.33 della mattina del 19 dicembre 2022, verso la fine di una lunghissima sessione plenaria iniziata alle 22.00 della sera precedente a Montréal, in Canada, il ministro dell’ecologia e dell’ambiente cinese Huang Runqiu, presidente della COP15 sulla biodiversità, ha annunciato: «Illustri delegati, non vedo obiezioni dalla sala: il pacchetto di misure è adottato».

L’assemblea dei delegati è subito esplosa in un applauso. Con questa comunicazione, infatti, si chiudono quattro anni di negoziati che hanno infine portato all’adozione del nuovo Global Biodiversity Framework, un insieme di misure (composto da quattro goal e 23 target) che mira a ridurre drasticamente la perdita di biodiversità su scala globale entro il 2030.

Nel corso delle ultime due settimane, i negoziati sono proseguiti in modo serrato, e non sono mancati i momenti di tensione. Proprio come durante l’ultima Conferenza delle Parti sul clima, tenutasi a novembre 2022 a Sharm-El-Sheikh, in Egitto, il principale punto di disaccordo è stato il tema dei finanziamenti, intorno al quale si sono contrapposti paesi del ‘Nord’ e del ‘Sud’ globale.

Finanziamenti, un tema controverso

Mentre l’Unione Europea, il Regno Unito e il Canada, autoproclamati campioni della tutela della biodiversità, spingevano per l’adozione di misure forti per la protezione della natura (il Canada, ad esempio, ha tracciato la linea di demarcazione tra vittoria e sconfitta sull’inclusione, nell’accordo finale, del discusso obiettivo ‘30x30’), i Paesi africani, latinoamericani e asiatici, il gruppo degli Small Islands Developing States (SIDS) e altri rappresentanti del Sud globale sottolineavano come tali propositi siano impossibili da mettere in pratica senza un concreto sostegno economico. La loro richiesta, in tal senso, consisteva nell’istituzione di un nuovo fondo economico, indipendente dal già esistente Global Environmental Facility (GEF), esplicitamente dedicato a supportare le misure di protezione della biodiversità nei Paesi in via di sviluppo, che sono, nella gran parte dei casi, tra i Paesi con i più alti tassi di biodiversità al mondo.

La replica delle nazioni ricche enfatizzava l’ambiguità di questa richiesta, soprattutto in considerazione del fatto che l’ampio blocco dei Paesi in via di sviluppo comprende nazioni che, pur avendo negli ultimi decenni decisamente migliorato la propria condizione economica, sono ancora tra i principali beneficiari dei fondi del GEF. È il caso della Cina e del Brasile, i quali – secondo i Paesi ricchi – dovrebbero rinunciare al loro ruolo di beneficiari e diventare invece anch’essi finanziatori dei Paesi (realmente) in via di sviluppo.

Il testo è adottato, ma le tensioni restano

Queste tensioni, che erano già deflagrate lo scorso mercoledì, quando alcuni delegati di paesi in via di sviluppo avevano addirittura abbandonato le negoziazioni, si sono riaccese nel corso dell’ultima sessione plenaria. Poco dopo l’annuncio del presidente Huang, infatti, diversi delegati hanno preso la parola per denunciare la modalità in cui l’accordo è stato concluso.

Il delegato del Camerun è stato il primo a sollevare la questione: «Vorrei innanzitutto sottolineare che lei, [Presidente], ha stravolto la procedura che lei stesso aveva annunciato in apertura di questa sessione. Aveva infatti spiegato che prima i diversi documenti sarebbero stati adottati singolarmente, e poi si sarebbe votata l’adozione dell’intero pacchetto; ma quel che ha appena fatto è una forzatura».

Dello stesso tenore l’intervento dell’Uganda, che ha sollevato il dubbio che quanto accaduto non fosse in conformità con le regole procedurali («Chiedo a lei, Presidente, di chiarire che la decisione appena presa non è coerente con le regole procedurali: altrimenti, questa è solo una truffa») e ha chiesto che il proprio dissenso circa “il modo e lo spirito” che hanno portato all’adozione dell’accordo fosse messo agli atti, «per evitare che in futuro un simile evento, avvenuto in totale spregio delle regole procedurali e dei diritti di espressione delle singole nazioni, possa ripetersi».

L’Uganda, così come il Camerun e la Repubblica Democratica del Congo, si è dichiarata non favorevole all’accordo.

4 Goals e 23 Targets

Il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, assieme a una serie di documenti ad esso allegati (le Decisions), stabilisce le azioni da intraprendere e i risultati da ottenere (e monitorare) per arrestare un declino della biodiversità che non è mai stato così grave negli ultimi 10 milioni di anni. L’uomo è la causa di quella che viene già definita la sesta estinzione di massa: secondo il rapporto dell’IPBES, il 25% delle specie conosciute di piante e animali è minacciato e 1 milione di specie è a rischio di estinzione.

I delegati degli oltre 190 Paesi dell’Onu che si sono incontrati a Montreal alla COP15 hanno trovato l’accordo intorno a un testo che prevede una serie di obiettivi riuniti in 4 Goals generali, che hanno validità fino al 2050, e 23 Targets che fissano traguardi da raggiungere entro il 2030.

Il Goal A riguarda la tutela degli ecosistemi e prevede che il numero di specie minacciate da attività antropiche venga ridotto di 10 volte, mentre le estinzioni causate dall’uomo si dovranno ridurre a zero. Il Goal B riguarda i servizi che gli ecosistemi gratuitamente forniscono alle attività umane: a questi deve essere dato valore in modo da incentivarne la preservazione e, dove possibile, l’ampliamento.

La biodiversità è un patrimonio collettivo e in particolare lo è la diversità genetica di tutte le specie viventi, inclusa quella dei microrganismi, contenuta in banche dati che vengono utilizzate in moltissime ricerche scientifiche, incluse quelle che negli ultimi due anni ci hanno consentito di studiare le varianti pandemiche di SarsCoV2 e sviluppare vaccini contro di esse: il Goal C mira a regolamentare l’uso della biodiversità genetica garantendo che i benefici del suo utilizzo siano distribuiti equamente, anche tra le popolazioni indigene.

Ugualmente accessibili a Paesi in via di sviluppo e piccole isole dovrebbero essere i finanziamenti, le tecnologie e le conoscenze che consentono di raggiungere gli obiettivi fissati dal documento di Kunming-Montreal: il Goal D riporta che entro il 2050 serviranno 700 miliardi di dollari l’anno per l’implementazione delle misure di tutela della biodiversità globale.

 

Così come accaduto a Sharm el-Sheikh a novembre alla COP27 sul clima, a Montreal gran parte delle negoziazioni finali sono state intorno ai meccanismi finanziari (e alla loro entità) da mettere in campo. Un risultato importante è stato ottenuto dal Target 18 che prevede la riduzione di 500 miliardi di dollari annuali entro il 2030 dei sussidi ad attività che danneggiano la biodiversità.

Per quanto riguarda i fondi da destinare alla tutela della biodiversità invece, prima di raggiungere i 700 miliardi entro il 2050, il Target 19 prevede la mobilitazione di 200 miliardi di dollari l’anno entro il 2030. In particolare viene stabilito un trasferimento di almeno 25 miliardi di dollari entro il 2025 e di almeno 30 miliardi di dollari entro il 2030 dai Paesi più ricchi a quelli più poveri.

L’obiettivo di tutela di almeno il 30% delle aree marine, terrestri e fluviali entro il 2030, atteso come uno dei principali traguardi da tagliare per questa conferenza, è stato fissato dai Target 2 e 3.

Il documento affronta anche la gestione delle minacce di natura antropica agli ecosistemi e indica che queste vanno ridotte agendo sul fronte della conservazione e della riduzione del rischio di estinzione (Target 4), regolamentando il commercio di specie domestiche e selvatiche, che aumentano anche il rischio di spillover (Target 5), minimizzando l’introduzione di specie invasive (Target 6), riducendo l’inquinamento (Target 7) e contrastando il cambiamento climatico (Target 8).

Anche l’agricoltura, la pesca e l’acquacoltura vanno rese più sostenibili, incentivando pratiche agroecologiche e le nature-based solutions (Target 9, 10, 11). La biodiversità si può tutelare anche in città, con una progettazione urbana che ampli le aree verdi (Target 12).

Per raggiungere questi obiettivi occorrono appositi strumenti regolatori e finanziari di cui la politica deve farsi carico (Target 14, 15), senza dimenticare che anche i consumatori con le loro scelte il più possibile informate devono fare la loro parte (Target 16).

Oltre al trasferimento di fondi tra Paesi è importante anche il trasferimento di conoscenze, dati, tecnologie e informazioni indispensabili alla gestione del patrimonio naturale (Target 20, 21), in modo che questa sia il più possibile inclusiva e rispettosa di tutte le differenze e di tutte le minoranze (Target 22, 23).

In questo senso il documento pone un forte accento sui diritti umani e in particolare su quelli delle popolazioni indigene (già nel Target 1) che vengono menzionate 18 volte nel testo. Oltre alle conoscenze scientifiche infatti, sarà indispensabile fare affidamento sulle conoscenze evolute nel corso dei millenni in comunità locali e che sono riconosciute, anche dai rapporti scientifici di organizzazioni sovranazionali, come pratiche capaci di mantenere in un rapporto di armonia tra uomo e natura. Le popolazioni indigene devono per questo essere messe nelle condizioni di svolgere un ruolo primario nella conservazione della biodiversità globale, dacché pur rappresentando solo il 5% dell’umanità si trovano a contatto con l’80% della biodiversità terrestre.

Molto importante è ritenuto infine il Target 13, in cui viene per la prima volta definito un meccanismo di finanziamento per la gestione dei dati genetici della biodiversità (DSI – Digital Sequence Information) e per un’equa distribuzione dei benefici derivanti dal loro uso, che includono farmaci, vaccini e prodotti alimentari. In maniera analoga il Target 17 tratta questioni relative alle biotechnologie e a misure di biosicurezza.

Similmente a quanto accade con le NDCs (Nationally Determined Contributions) per gli obiettivi climatici, i singoli Paesi verranno chiamati ad aggiornare i propri piani nazionali in tema di biodiversità, monitorando i progressi fatti nel tempo, seguendo indicatori e criteri che sono stati definiti da una serie di documenti allegati al testo principale del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework.

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