SOCIETÀ

Cosa sappiamo sul legame tra trombosi rare e i vaccini Johnson&Johnson e AstraZeneca

Dopo aver stabilito il 7 aprile un legame tra trombosi rare e il vaccino Vaxzevria di AstraZeneca, il 9 aprile l’Ema (l’agenzia europea per i medicinali) aveva annunciato che stava indagando una manciata di casi di trombosi rare (molto simili a quelle osservate con AZ) avvenute negli Stati Uniti in seguito alla somministrazione del vaccino Janssen prodotto da Johnson&Johnson.

Negli Usa il vaccino J&J, basato sulla biotecnologia del vettore virale (un adenovirus) proprio come quello di AZ, si era da poco più di un mese aggiunto a quelli basati su RNA messaggero di Pfizer/BioNtech e Moderna quando ha ricevuto lo stop della Fda (Food and Drug Administration) lo scorso 13 aprile.

In Europa il vaccino Janssen ha ricevuto l’autorizzazione dell’Ema l’11 marzo scorso, ma la sua somministrazione di fatto deve ancora iniziare. Essendo monodose e facile da trasportare è ritenuto una chiave di volta per le campagne vaccinali di molti Paesi europei, che hanno atteso con trepidazione la valutazione dell’Ema.

Il timore che ha spinto gli enti regolatori a riunire un comitato per la valutazione del rischio farmacologico (Prac) è che, come è ormai stato appurato per il vaccino di AstraZeneca, anche quello di J&J possa favorire, in casi rarissimi, la formazione di alcuni tipi rari di trombosi.

Questo timore è stato confermato nella conferenza stampa del 20 aprile: esiste un legame tra il vaccino J&J e casi molto rari di trombosi associati a carenza di piastrine (trombocitopenia). Tale avvertenza andrà aggiunta tra gli eventi avversi molto rari legati al vaccino, perché “le persone che ricevono il vaccino devono essere a conoscenza dei sintomi da monitorare in modo che possano ricevere un pronto trattamento medico che li aiuti nella guarigione e eviti complicazioni”, scrive Ema nel nuovo comunicato.

Ciononostante i benefici nella lotta alla pandemia superano di gran lunga i rischi secondo Ema, che pertanto non sconsiglia la somministrazione del vaccino. Così come era stato fatto per AstraZeneca, ciascun Paese membro valuterà come integrare l’uso del preparato di J&J nella propria campagna vaccinale, a seconda della situazione epidemiologica nazionale.

D’altronde il compito dell’Ema, come ha ribadito a più riprese la sua direttrice Emer Cooke, non è quello di prendere decisioni per i singoli stati membri UE, ma di fornire gli elementi scientifici e sanitari necessari ai singoli stati per prendere le decisioni in autonomia.

“Sono eventi avversi molto rari” riporta Emer Cooke. “La pandemia ha già provocato 3 milioni di morti nel mondo e i vaccini giocano un ruolo cruciale nel combatterla. Quando si danno vaccini a così tante persone è verosimile aspettarsi rare reazioni avverse non visibili nei trial clinici (che coinvolgono al massimo qualche decina di migliaia di persone, ndr). Ma proprio grazie al sistema di farmacovigilanza siamo in grado di identificarle molto velocemente”.

Nel giungere alla sua conclusione, Ema ha valutato 8 casi di trombosi gravi, una delle quali fatale, su oltre 7 milioni di persone che hanno ricevuto J&J negli Stati Uniti. Tutte le complicazioni sono avvenute in individui più giovani di 60 anni, prevalentemente donne, entro 3 settimane dalla somministrazione.

Le tipologie di trombosi registrate sono molto simili a quelle già riscontrate in fase di valutazione del vaccino di AstraZeneca: avvengono nelle vene del cervello (trombosi del seno venoso cerebrale o CVST) o dell’addome (trombosi venosa splancnica), ma anche in arterie, e sono sempre associate a bassi livelli di piastrine (trombocitopenia).

Sia Vaxzevria sia Janssen sono vaccini a vettore virale basati su adenovirus, ma il primo è un adenovirus di scimpanzé, il secondo è un adenovirus umano. Ci sono dunque delle somiglianze, ma anche delle differenze tra AZ e J&J.

Al momento non è possibile individuare fattori di rischio specifici (come potrebbero essere il fumo, la pillola contraccettiva, o semplicemente l’età o il sesso) associati allo sviluppo di queste complicazioni.

Peter Arlett, capo della farmacovigilanza e del dipartimento di epidemiologia dell’Ema, ha riportato in conferenza stampa il numero di casi di trombosi rare associate a trombocitopenia finora registrate dai sistemi di farmacovigilanza nei 4 vaccini autorizzati in Europa. Come si è detto sono stati 8 quelli legati a J&J, tutti verificatisi negli Stati Uniti. Sono stati 287 quelli legati ad AstraZeneca, di cui 142 in Europa. Per quanto riguarda invece i vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna sono stati rispettivamente 25 e 5. I dati provengono dal portale di farmacovigilanza europeo (Eudravigilance), Arlett non ha però riportato su quante vaccinazioni si sono verificati questi eventi avversi. Non esistono invece al momento casi noti per il vaccino russo Sputnik V e per il cinese di CanSino, anch’essi basati su adenovirus come quelli di AZ e J&J.

Il numero di eventi avversi legati a AZ sembra maggiore, ma perché le persone sono più consapevoli del problema e potrebbero riportarlo con maggiore precisione rispetto agli altri vaccini, sostiene Sabine Straus, coordinatrice del Prac. “È troppo presto per dire se le trombosi rare siano più frequenti con AstraZeneca o con altri vaccini”.

Allo stato attuale si può però dire che i numeri di eventi avversi associati a Pfizer e Moderna sono molto piccoli (a fronte dell’elevato numero di somministrazioni, soprattutto negli Stati Uniti) e tendono a escludere un legame tra trombosi e vaccino, ha sottolineato Sabine Straus, che non si è sbilanciata però sul meccanismo che potrebbe generare i trombi.

“La ragione per cui queste piastrine si coagulano potrebbe essere un fattore genetico o una caratteristica del sangue che ancora non conosciamo. Non sappiamo ancora cosa causi questi eventi rari” ribadisce Sabine Straus. Tuttavia un’ipotesi sul meccanismo d’azione è stata già avanzata da alcuni ricercatori, come ha riportato Kui Kupferschmidt su Science.

Il possibile meccanismo responsabile delle trombosi rare

Due recenti studi sono stati infatti pubblicati su The New England Journal of Medicine. Uno riguarda 11 pazienti tra Germania e Austria. L’altro considera 5 casi in Norvegia. Entrambi i lavori riscontrano che i pazienti hanno un’insolita quantità di anticorpi del sistema immunitario che innescano reazioni trombotiche coinvolgendo le piastrine. La sindrome è stata denominata VITT (vaccine-induced immune thrombotic thrombocytopenia).

I sintomi ricordano molto una rara reazione avversa, e piuttosto controintuitiva, all’eparina, un farmaco utilizzato come anticoagulante. In alcuni rari casi capita che il sistema immunitario produca anticorpi che si legano a un complesso proteico formato dall’eparina (le cui molecole hanno carica negativa) e da una proteina (carica positivamente) importante per la coagulazione chiamata PF4 (platelet factor 4 – fattore piastrinico 4). Questo legame innesca una reazione a catena che richiama più piastrine e finisce per generare un coagulo.

Proprio come l’eparina, il materiale genetico dell’adenovirus è anch’esso carico negativamente ed è in grado di legarsi a PF4, riportano gli autori del primo studio citando un lavoro già pubblicato nel 2013. Con il sistema immunitario allertato dalla vaccinazione, sostengono gli autori, è possibile che vengano prodotti anticorpi che si leghino a questo complesso favorendo la formazione di coaguli.

“Non siamo sicuri che l’eparina possa causare un peggioramento della situazione che si viene a verificare” ha commentato Sabine Straus “ma per principio di precauzione è sconsigliato somministrarla ai pazienti affetti da VITT”.

Altre possibili spiegazioni

Ma potrebbero esserci anche altre spiegazioni per la formazione delle trombosi rare. Un’alternativa potrebbe essere la seguente: è possibile che gli anticorpi che si attaccano a PF4 siano già presenti nei pazienti, ma vengano tenuti sotto controllo da un meccanismo immunitario noto come tolleranza periferica. La vaccinazione potrebbe in qualche modo alterare questo equilibrio e scatenare la reazione immunitaria richiamando anticorpi che si legano a PF4 generando trombi.

Altre ipotesi suggeriscono che le trombosi rare siano conseguenza di pregresse infezioni da COVID-19 che i pazienti avrebbero contratto prima della vaccinazione. Tuttavia, nessuno dei casi riportati dalla Norvegia è risultato positivo al virus in passato. Inoltre, in un altro studio pubblicato in preprint, di 200 pazienti che sono stati positivi solo pochi risultavano avere anticorpi che si attaccano alla proteina PF4. Questi dati sembrano quindi falsificare l’ipotesi delle infezioni pregresse.

È stato anche ipotizzato che possano essere gli stessi anticorpi prodotti dal vaccino, ovvero quelli che attaccano la proteina Spike di Sars-CoV-2, a legarsi a PF4. Se così fosse però i problemi sorgerebbero non solo per i vaccini basati su adenovirus come J&J e AZ, ma anche ad esempio per quelli a mRNA di Moderna e Pfizer. Fino ad ora però è stato riportato un numero troppo basso di trombosi rare associate ai vaccini a mRNA, elemento che porterebbe a sconfessare anche questa ipotesi.

Vaxzevria, il vaccino di AstraZeneca

L’iter seguito dalla valutazione da parte di Ema del vaccino J&J è stato molto simile a quello già seguito per il vaccino Vaxzevria di AstraZeneca. Il 7 aprile l’Ema aveva riconosciuto una probabile associazione causale tra la formazione di trombosi rare e la somministrazione di Vaxzevria nei casi che aveva considerato.

A metà marzo la somministrazione di AZ in Europa era stara sospesa per circa una settimana dopo che alcuni eventi avversi di varia natura erano stati riportati. Tra questi vi erano 7 segnalazioni di trombosi rare provenienti dal Paul Ehrlich Institute tedesco.

Nella settimana di sospensione l’Ema si è trovata a valutare in particolare due tipi di trombosi rare, entrambe accompagnate da trombocitopenia: il primo tipo è la DIC (coagulazione disseminata intravascolare) di cui erano stati segnalati inizialmente 7 casi; il secondo tipo è la CVST (trombosi del seno venoso cerebrale) di cui erano stati riportati 18 casi. In totale quindi 25 casi, 9 dei quali hanno portato a decesso, tra Europa e Regno Unito, su circa 20 milioni di somministrazioni di AZ.

Il 18 marzo l’agenzia dei medicinali europea si è espressa sostenendo che nonostante la somministrazione del vaccino possa essere correlata a rari casi di trombosi associata a trombocitopenia, i benefici derivanti dalla protezione contro COVID-19 superano di gran lunga i rischi. In quell’occasione era anche stato appurato che il vaccino non aumenta i rischi di trombosi comuni. Era inoltre stato escluso che gli effetti collaterali potessero essere ricondotti a difetti di produzione in di alcuni lotti specifici.

Già per AZ, l’Ema aveva diffuso una lista di sintomi (sostanzialmente la stessa ribadita ora per J&J) che devono venire segnalati in caso si manifestino dopo la vaccinazione: respiro corto, dolore al petto, gonfiore o sensazione di freddo a una gamba, prolungato mal di testa, sanguinamento e diffusi ematomi lungo il corpo possono essere un segnale che si accompagna alle trombosi rare.

Il Comitato di valutazione del rischio farmacologico dell’Ema ha continuato a collezionare dati e casistiche per comprendere, assieme a un comitato di esperti di coagulazione del sangue, il possibile meccanismo di generazioni delle trombosi rare.

Il 7 aprile l’associazione tra vaccino AZ e trombosi rare accompagnate da carenza di piastrine è stata confermata. Le complicazioni possono avvenire nelle 2 settimane successive alla somministrazione per lo più in donne più giovani di 60 anni. Esattamente come ora viene ribadito per J&J, i coaguli possono avvenire nel cervello (CVST) o nell’addome (trombosi venose splancniche). In quell’occasione il Prac aveva considerato 62 trombosi cerebrali e 24 addominali riportate dal sistema di vigilanza europeo. 18 di queste 86 sono risultate fatali, mentre il numero di vaccini AZ somministrati tra Europa e Regno Unito era salito a 25 milioni.

La CVST è un tipo di trombosi molto raro che non avviene di frequente nella popolazione generale. Il numero di queste trombosi osservate nei vaccinati è stato molto basso rispetto al numero di vaccinati, ma comunque più alto del numero che ci si sarebbe aspettato di riscontrare.

Ema ha continuato a considerare i benefici associati al vaccino AZ di molto superiori ai rischi. Pertanto non ne ha sconsigliato la somministrazione, ma ha lasciato ai singoli Stati membri la libertà di decidere come integrare il vaccino AZ nella propria campagna vaccinale.

Le decisioni in Europa e Stati Uniti in merito a AZ e J&J

Germania e Francia hanno deciso di somministrare Vaxzevria solo a individui al di sopra dei 60 e 55 anni, rispettivamente. Il Regno Unito invece non lo somministrerà ai più giovani di 30 anni.

Anche in Italia il vaccino AZ verrà somministrato solo agli ultra 60enni, a eccezione di coloro che hanno già ricevuto la prima dose, che riceveranno anche la seconda: le complicazioni infatti si manifestano già alla prima somministrazione e non c’è ragione di credere che si presentino al richiamo.

Altri Paesi invece, come la Danimarca, hanno deciso di non fare più affidamento sul vaccino anglosvedese. La Commissione Europea inoltre sta valutando di non rinnovare i contratti con la casa farmaceutica anglosvedese per la fornitura di nuove dosi, visti i ritardi accumulati nelle consegne già dovute.

Per quanto riguarda il vaccino Johnson & Johnson le decisioni dei singoli Paesi dovranno tenere conto delle condizioni epidemiologiche nazionali e dello stato di avanzamento della campagna vaccinale. In Italia verrà somministrato, come AstraZeneca, solo a chi ha più di 60 anni, ha fatto sapere Aifa. Essendo sufficiente una sola dose per produrre la protezione immunitaria ed essendo di facile gestione logistica, è davvero difficile pensare di farne a meno senza accumulare pesanti ritardi sulla tabella di marcia.

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