SOCIETÀ

Cosa significa per un atleta il rinvio delle Olimpiadi?

Ormai ce ne siamo fatti una ragione. Quest'estate non potremo tenere il fiato sospeso godendoci le gare sportive più attese del mondo. Niente serata in famiglia o con gli amici a commentare la cerimonia di apertura, niente tifo per i nostri atleti preferiti che competono per l'oro, e niente conteggio finale di quante medaglie ha vinto il nostro Paese.
Per quanto possiamo essere afflitti o rassegnati, però, il vero prezzo del rinvio delle Olimpiadi lo pagano, ovviamente, gli atleti. Per quanto la decisione di rinviare i prossimi giochi olimpici al 2021 sia stata una mossa saggia e, probabilmente, indispensabile, resta da capire l'impatto che questa scelta ha avuto su chi si prepara per queste gare da 4 anni o più.

Quanto conta l'aspetto psicologico nella preparazione di un atleta? È possibile che dover aggiungere un altro anno alla propria preparazione abbia un impatto, a livello mentale, tale da poter influenzare il proprio rendimento?

Lo abbiamo chiesto alla professoressa Marta Ghisi, docente di psicologia dello sport all'università di Padova.

“Ci sono esperienze sul campo, ma anche molte ricerche, che testimoniano come la forza mentale sia un requisito molto rilevante sia nella preparazione, sia durante la performance in gara. La preparazione mentale, infatti, è una pratica che ormai è diventata parte integrante dell'allenamento degli atleti, assieme a quella tecnica, a quella tattica e a quella fisica”, spiega la professoressa Ghisi.

“Una delle componenti psicologiche che caratterizzano l'allenamento mentale è la capacità di programmare degli obiettivi funzionali che aiutino a mantenere la motivazione nel corso del tempo. Si tratta del cosiddetto goal setting, un lavoro multidisciplinare al quale partecipano lo psicologo, l'allenatore e l'atleta, in un vero e proprio lavoro di squadra.
Il goal setting sarà fondamentale in questo momento in cui le Olimpiadi sono state posticipate di ben un anno, perché gli atleti dovranno riprogrammare il loro allenamento e ricalibrarlo, anche se per adesso non sanno ancora quando potranno tornare ad allenarsi al meglio delle proprie possibilità. In molti sport, infatti, l'allenamento comprende il contatto fisico e l'impossibilità di mantenere il distanziamento.

La preparazione psicologica comprende poi un allenamento specifico per aiutare l'atleta a capire il suo livello di attivazione per raggiungere quello stato mentale in cui il funzionamento in gara è ottimale, e che può comprendere diverse componenti emozionali, come l'ansia, la rabbia, l'entusiasmo, e l'eccitazione. Una volta identificato il livello di attivazione, poi, bisogna imparare delle tecniche che aiutino non solo a mantenere lo stato psicofisiologico in questione, ma anche a raggiungerlo velocemente.
Ecco perché, molte volte, quei rituali che noi vediamo fare dagli atleti prima di una gara non hanno una funzione scaramantica, ma spesso sono rituali pre-gara concordati con lo psicologo per aiutare a favorire l'ingresso in quella che gli atleti chiamano la loro “bolla di funzionamento”, dove riescono a mantenere la concentrazione senza lasciarsi distrarre da quello che succede fuori, attivando una specie di “filtro”.

In questo momento, poi, può essere utile mettere in pratica il mental imagery o il motor imagery, che consistono nel ripercorre mentalmente il tracciato di gara o la propria gestualità motoria, prefigurandosi degli scenari legati all'andamento della gara e anticipando quindi, per esempio, la discesa in campo per iniziare fin da subito a familiarizzare con l'ambiente della gara”.

Come hanno reagito, mediamente, gli atleti alla comunicazione del rinvio delle Olimpiadi? E in che modo la preparazione psicologica può aiutarli a riprogrammare il loro allenamento e ad accettare di dover aspettare un altro anno per un traguardo che sembrava ormai vicino?

“Gli atleti sono rimasti in una condizione di incertezza per circa un mese, prima di ricevere la comunicazione ufficiale del rinvio”, racconta la professoressa Ghisi. “Per lungo tempo, quindi, non sapevano se le Olimpiadi sarebbero state rimandate, né di quanto, e non avere più chiaro l'obiettivo poteva essere per loro destabilizzante.
Oltre alla preoccupazione legata all'allenamento, che riguardava la paura di trovarsi meno preparati a causa di uno stop forzato a pochi mesi dalle Olimpiadi (magari rispetto ad atleti di altri paesi in cui le restrizioni sono meno proibitive), molti erano consapevoli che l'allenamento poteva metterli in una condizione di rischio, e avevano quindi il timore di essere contagiati o di contagiare i loro familiari.

Ascoltando le dichiarazioni degli atleti, quindi, non stupisce che in un primo momento l'arrivo della comunicazione del rinvio abbia generato una sorta di sollievo, perché li ha liberati da quella condizione di incertezza.
Per un atleta che ha speso quattro anni della sua vita facendo rinunce nella vita personale e lavorando sodo, sentirsi dire che il traguardo è stato spostato molto più in là, è comunque un colpo duro da gestire. Dopo aver tarato la propria preparazione e la propria energia in vista di un certo traguardo, vederlo posticipare di un anno può essere difficile da accettare. Per questo motivo, è richiesta una grande flessibilità e capacità di adattamento sia da parte degli atleti, ma anche da parte dei tecnici, che devono, a loro volta, decidere come ricalcolare i programmi di allenamento e come cercare, in questo periodo di isolamento, di mantenere la coesione del gruppo. La figura dello psicologico può essere quindi di aiuto anche per lavorare su questi aspetti relazionali, sociali ed emozionali”.

Ci sono poi molti atleti che in questo momento si trovano vicini alla fine della loro carriera agonistica, e magari programmano il loro ritiro in concomitanza con la fine della loro ultima Olimpiade.

Come conferma la professoressa Ghisi: “un anno in più non è poco, e serve un atteggiamento resiliente e ottimista per reagire. Per molti atleti che sono a fine carriera, dover posticipare il proprio ritiro di un anno può essere un motivo di stress, perché oltre a preoccuparsi per l'arrivo di nuovi atleti più giovani, si chiedono se riusciranno a reggere un anno intero di allenamento e mantenere il livello della loro prestazione.

Il rinvio delle Olimpiadi, ovviamente, vale per tutti, ma quella che cambia da atleta a atleta è proprio la reazione. Probabilmente ognuno di loro ha avuto un contraccolpo importante in seguito alla comunicazione, ma qualcuno più rapidamente di altri si è impegnato per reagire in modo costruttivo e razionale, usando questo tempo per lavorare di più, per programmare operazioni che pensava di posticipare a dopo le Olimpiadi, o per dedicarsi agli esami universitari (per coloro che hanno deciso di intraprendere la “doppia carriera studente-atleta”).
Tutto questo, in qualche modo, rispecchia gli insegnamenti dello sport, che dovrebbe aiutare anche ad allenare la flessibilità, e a imparare a gestire gli imprevisti e le difficoltà. Questa situazione, quindi, può diventare un buon modo per gli atleti di esercitare la loro resilienza”.

Sarà quindi la capacità di reagire al meglio a fare la differenza alle Olimpiadi?

Non possiamo controllare quello che succede, ma di certo possiamo controllare il nostro modo di reagire a quello che succede”, risponde la professoressa Ghisi. “Ci sono moltissime variabili che possono intervenire nell'arco di un anno, ma sicuramente avere il giusto atteggiamento aiuta. Chi, al di là dell'impatto iniziale, reagisce in un modo più funzionale, sarà più concentrato in allenamento. Pensare solo ai sacrifici, alla delusione e alla tristezza, con un atteggiamento di frustrazione e astio, rende tutto più faticoso, perché riduce la motivazione e la percezione di controllo sulla situazione.
Naturalmente, avere l'atteggiamento giusto non dà la garanzia del successo, ma di certo aumenta le probabilità di arrivare alle gare nelle condizioni psicologiche migliori”.

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