SOCIETÀ

Cosa significa essere “contro il femminismo bianco”

Una femminista può essere razzista? Sì, e non rendersene conto non è una scusante. In Contro il femminismo bianco, pubblicato in italiano da Add editore, l’avvocata e giornalista pakistana Rafia Zakaria denuncia a chiare lettere un problema di razzismo latente nel femminismo contemporaneo, quasi esclusivamente biancocentrico.

In questa analisi critica – che prende vita a partire da esperienze di vita vissuta, vicende storiche e di attualità – l’autrice punta i riflettori contro quei pregiudizi, stereotipi e false credenze ancora molto radicate nei capisaldi e nelle narrazioni promosse dai principali movimenti e manifesti teorici del femminismo contemporaneo. Se di per sé non è una colpa essere una donna bianca e femminista, lo diventa quando ci si rifiuta di ammettere che il colore della propria pelle e la provenienza da paesi ricchi e occidentali garantiscano alcune prerogative che invece non vengono assicurate alle donne non bianche.

L’opera di Zakaria non vuole perciò essere un attacco alle donne bianche e femministe, bensì alla “bianchezza”, ossia quell’insieme di dinamiche attraverso le quali le donne nere, asiatiche e brown (termine usato dall’autrice e lasciato in originale nel testo italiano per riferirsi alle donne appartenenti a culture non bianche, né afroamericane, né dell’estremo oriente e provenienti solitamente dal subcontinente indiano o dall’America meridionale) vengono in larga misura escluse dal dibattito femminista odierno.

Alla radice di questo problema Zakaria denuncia la quasi totale esclusione di voci non bianche dalle strutture di potere femministe. Le esperte istituzionali e accademiche che dirigono associazioni, organizzazioni e riviste per la parità di genere e i diritti delle donne, sono quasi sempre bianche, occidentali e privilegiate. Da questo “femminismo mainstream” restano in larga misura escluse le donne nere, brown e asiatiche, quelle trans, immigrate e appartenenti a minoranze etniche o a gruppi svantaggiati dal punto di vista socioeconomico, i cui punti di vista contano ben poco nelle agende femministe a livello politico, sociale e istituzionale.

Come invece sottolinea Zakaria, le competenze teoriche non possono sostituire (né viceversa) le esperienze vissute delle donne “non esperte”, le quali potrebbero apportare un prezioso contributo alla causa femminista se venisse dato loro modo di dialogare con le donne bianche che occupano le posizioni di vertice a livello accademico e istituzionale. Purtroppo, però, solo a queste ultime viene riconosciuta autorevolezza sufficiente perché possano parlare e decidere a nome di tutte le altre. Se a ciò si sommano le maggiori difficoltà che incontrano le donne non bianche che intraprendono carriere accademiche, politiche e istituzionali – per queste ultime, infatti, il “soffitto di cristallo” è ancora più duro da sfondare – appare evidente perché il dibattito politico e culturale femminista sia decisamente biancocentrico.

Un altro lato problematico del femminismo odierno evidenziato da Zakaria riguarda la tendenza da parte delle donne bianche a considerare la loro prospettiva l’unica valida e neutrale. L’autrice accusa queste ultime, specialmente quelle convinte di riuscire a “immedesimarsi” nelle donne non bianche pur restando allo stesso tempo oggettive, di universalizzare le proprie convinzioni, paure, e aspirazioni, ponendole al centro dell’agenda femminista a livello globale.

La logica bianca, sottolinea invece Zakaria, non è l’unica valida e spesso è tutt’altro che oggettiva. Le femministe bianche interpretano la realtà, il potere e l’impegno per il raggiungimento della parità di genere attraverso una precisa cornice di significato: quella di chi proviene da una società ricca, occidentale e individualista, che è però molto diversa da quella di molte donne nere, asiatiche e brown appartenenti a culture collettiviste. Ad esempio, mentre i movimenti per la parità di genere occidentali si basano su principi quali la ribellione, la lotta, la forza e l’autodeterminazione, in molte culture non bianche il femminismo si fonda su altri valori, quali la resilienza, l’empatia, la perseveranza e la speranza, doti che però non trovano posto nei percorsi tracciati dalle donne bianche per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’empowement femminile.

Il problema della “bianchezza” e il significato di questo termine prendono sempre più consistenza man mano che ci si addentra nella riflessione di Zakaria, che tocca diverse importanti tematiche – dall’empowerment, al femminismo “sex positive”, fino all’interpretazione della violenza e dei cosiddetti “crimini culturali”. Per una donna bianca cresciuta in una società occidentale e individualista alcune riflessioni potranno giungere inaspettate e talvolta persino controverse, ma restano indispensabili per capire come l’uguaglianza di genere non sia davvero raggiungibile senza l’eliminazione delle discriminazioni razziali.

Se perciò vi state domandando se sia possibile essere femministe e bianche senza essere “femministe bianche”, la risposta è , e l’analisi critica di Zakaria può rappresentare – come l’autrice stessa si auspica – un buon punto di partenza per iniziare finalmente a ragionare in modo nuovo sui valori, i linguaggi e il futuro dei movimenti per i diritti delle donne.

La costruzione di quella sorellanza universale di cui le donne bianche parlano tanto è ancora molto lontana e, secondo Zakaria, può essere guadagnata davvero solo attraverso l’abbattimento della gerarchizzazione razziale delle culture ancora insita nella mentalità e nelle strutture di potere biancocentriche. Per raggiungere l’obiettivo non è sufficiente riconoscere spazio e legittimità alle esperienze, alle opinioni e ai sistemi di valori delle donne nere, brown e asiatiche, bensì fare in modo che essi possano davvero influenzare l’agenda femminista, anche qualora contrastino con le cornici di riferimento finora imposte dalla supremazia bianca.

Un femminismo autenticamente inclusivo e intersezionale, privo di “salvatrici bianche”, di voci dimenticate e di demonizzazione delle culture altrui si fonda su un linguaggio plurale e paritario, ricco di diverse sfumature e punti di vista; per raggiungerlo, però, c’è bisogno della partecipazione di tutte.

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