SOCIETÀ

Crisi dei partiti tradizionali: analisi del voto in Germania

Der Spiegel ha utilizzato un’efficace figura retorica per spiegare le conseguenze del voto in Bavaria. Secondo il quotidiano, il risultato delle elezioni bavaresi di domenica scorsa avrebbe un impatto politico paragonabile a quello che nel calcio tedesco potrebbe avere un’eventuale retrocessione del Bayern Monaco, la squadra che da decenni domina la Bundesliga.

La CSU, il partito conservatore regionale, gemello della CDU nazionale di Angela Merkel, guida la Bavaria da oltre 65 anni. È al governo regionale dalla fine del nazismo e ha vinto 12 delle 13 elezioni conquistando anche la maggioranza assoluta dei seggi. Difficile poter dire male dei governi conservatori bavaresi: si tratta della regione tedesca più ricca, terra di colossi industriali quali BMW e Siemens, è il territorio a più alta occupazione e con i più bassi tassi di crimine. Nelle elezioni dello scorso 14 ottobre, però, la CSU ha perso oltre il 10% rispetto a cinque anni fa, fermandosi al 37,2%. È vero che si è mantenuta sopra la soglia psicologica dei 5 milioni di voti, ma sono ben 16 i seggi persi.

Ancora peggio è andata agli alleati della grande coalizione che guida il Paese: la SPD ha perso il 10,9%, attestandosi a un’umiliante 9,7% e trovandosi a ricoprire un ruolo da ‘quinto partito’ in una regione dove comunque rappresentava sempre la prima alternativa ai dominanti conservatori. In mezzo ai due alleati di governo nazionale sconfitti, i tre ‘vincitori’: il partito liberale centrista Freie Wähler, all’11,6%, in crescita del 2,6% rispetto al 2014. Gli estremisti di destra dell’AfD, molto temuti dall’opinione pubblica europea, che si sono attestati al 10,2% e che 5 anni fa non erano neppure presenti sulle schede elettorali. Infine i Verdi, secondo partito assoluto con il 17,5%, con voti raddoppiati rispetto alla tornata elettorale precedente. Sotto la soglia di sbarramento del 5% tutti gli altri, compresa la sinistra della Die Linke che, sebbene in leggera crescita, nemmeno stavolta è riuscita a entrare nell’assemblea legislativa bavarese.

I sondaggi della vigilia prevedevano una sconfitta dei partiti tradizionali e preconizzavano un boom dell’AfD, che ha sì ottenuto un risultato storico, ma non delle dimensioni attese (alcune rilevazioni li stimavano vicini al 20%). Secondo alcuni commenti post-voto, il partito di Alice Weidel potrebbe aver “pagato” le sempre più frequenti posizioni radicali, talvolta perfino apertamente antisemite e l’intensificazione dei rapporti con i neo-nazisti di Pegida, circostanza che potrebbe aver loro alienato parte dell’elettorato moderato atteso in uscita dalla CSU.

In un quadro politico sempre più frammentato, con i grandi partiti che diventano più piccoli e i piccoli partiti che diventano più grandi, il milione di voti perso dai socialdemocratici della SPD è in gran parte finito ai Verdi, movimento europeista e a favore dell’accoglienza dei rifugiati, vera sorpresa di queste elezioni. Interessante, infine, il dato sull’affluenza: 72,5%, oltre otto punti percentuali in più rispetto alla partecipazione elettorale di cinque anni fa. Prima del voto, i leader della CSU avevano escluso qualsiasi eventuale accordo di coalizione con l’AfD e con i Verdi. Data l’impopolarità di un’altra possibile grosse koalition con la SPD, che in pratica risulterebbe essere un’alleanza tra due perdenti, è molto probabile che si arrivi a un governo sostenuto da una maggioranza CSU- Freie Wähler.

Come in molti altri paesi europei, anche le elezioni bavaresi hanno avuto l’immigrazione quale questione cruciale. Anzitutto, sul tema dei migranti si è assistito alla consueta polarizzazione della quale hanno beneficiato i due alfieri della “chiusura totale” e della “accoglienza senza distinzioni”, rispettivamente l’AfD e i Grünen (Verdi), che, come scritto, hanno drenato molti voti in uscita dai due grandi partiti mainstream, fautori di politiche “miste” e di lungo periodo, ma certamente poco comprensibili a molti elettori. Sull’immigrazione si è consumato anche uno “psicodramma” interno alla CSU, che ha avuto una sorta di doppio svolgimento. Quando, nel 2015, Angela Merkel decise di accogliere oltre un milione di rifugiati, l’alleato bavarese scelse di prendere le distanze dalla cancelliera. Ma lo fece in maniera così netta che anche durante l’estate appena trascorsa il leader della CSU, Horst Seehofer, ministro degli Interni dell’attuale governo Merkel, è arrivato a un passo dal far cadere il governo nazionale per disaccordi sulle politiche migratorie. A Monaco, poi, il leader regionale Markus Söder, allarmato dai sondaggi che mostravano l’emorragia di voti CSU, destinati a ingrossare il bottino dell’AfD, decise di lanciare una controffensiva populista fondandola sugli stessi temi cari agli avversari di estrema destra: politiche anti-migranti, nativismo, identitarismo. Una svolta a destra simboleggiata dall’approvazione di una legge che obbliga gli edifici pubblici bavaresi a esporre il crocifisso.

Ma, come spesso accade, da un lato gli elettori hanno preferito votare i nativisti anti-migranti originali, dall’altra, altri elettori centristi potrebbero aver scelto di abbandonare il partito preferendo i Freie Wähler o perfino i Verdi. Aggiungendo poi che i rapporti personali tra Söder e Seehofer sono pessimi, è probabile che almeno uno dei due sarà costretto a pagare il prezzo più alto di questa sconfitta, dimettendosi. Paradossalmente, quindi, il pessimo risultato della CSU e le possibili dimissioni di Seehofer dal governo nazionale o la rinuncia di Söder alla leadership bavarese, potrebbero rafforzare la cancelliera, che vedrebbe improvvisamente svanire almeno una delle due spine del fianco conservatrici che hanno fin qui caratterizzato il periglioso avvio del suo quarto governo federale.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012