CULTURA

L'avanguardia artistica di Leonor Fini

Accade spesso che alcuni artisti siano dimenticati e stazionino nel passato della storia dell’arte senza motivo alcuno, per riaffiorare alla superficie della contemporaneità.

Fortunatamente, però, ogni tanto questi artisti riescono a farsi spazio e vengono riscoperti, forse proprio nel momento giusto della storia umana affinché possano portare il loro prezioso contributo, non solo artistico ma umano ed esistenziale.

Così è successo a Leonor Fini, artista italo-argentina, figura dirompente e innovativa dell’avanguardia del XX secolo, rimasta a lungo nell’ombra. 

Oggi il suo irrequieto mondo viene scoperto grazie alla più completa retrospettiva dell’artista mai realizzata in Italia a Palazzo Reale di Milano, Io sono Leonor Fini, dove vengono esposte oltre cento opere tra dipinti, disegni, fotografie, costumi, libri e video. 

Curata da Tere Arcq e Carlos Martin, la mostra si suddivide in nove sezioni tematiche che invitano i visitatori in un viaggio attraverso le radici visive, le ricorrenze iconografiche e i concetti chiave della sua produzione varia ed eclittica. L’universo creativo di Leonor Fini era ricchissimo e difficilmente classificabile se non nella piena libertà dell’essere: pittrice, costumista, scenografa, illustratrice e performer. 

Sono una pittrice. Quando mi chiedono come faccia, rispondo: IO SONO”.

Queste le parole dell’artista che riassumono esattamente la sua essenza e il suo spirito ribelle e mai convenzionale.

Nata nel 1907 a Buenos Aires come Eleonora Elena Maria, da padre italo- argentino e da madre triestina, Malvina Braum, la quale - compresa l’indole violenta del marito - decide di rientrare velocemente a Trieste nella casa borghese di famiglia e crescere la piccola Leonor insieme alla madre e al fratello, noto avvocato. L’arte del travestimento che l’artista pratica per tutta la vita viene imparata quando la sua mamma la veste da maschietto, temendo un rapimento da parte del padre che la rivuole in modo insistente.

Trieste all’epoca era l’importantissimo centro culturale dell’Impero austro- ungarico, un melting pot di etnie dove intellettuali e artisti da ogni angolo di Europa si trovava nei famosi caffè letterari. Leonor si forma perciò in questo particolare ambiente triestino degli anni Venti del secolo scorso, stimolante e raffinato, insieme ad intellettuali come Italo Svevo, Umberto Saba e Gillo Dorfles.

Nella città friulana vive fino ai vent’anni, circondata da donne, ad eccezione dello zio Ernesto Braun avvocato liberale e progressista la cui vasta biblioteca divenne un’importante risorsa per la costruzione del suo immaginario. Tra il Monumento a Massimiliano, la Ninfa di Teti e il Castello di Miramare Leonor Fini viene affascinata dal decadentismo triestino e dagli uomini nudi che osserva nell’obitorio. Questo luogo diventa sua meta preferita, durante la sua preadolescenza e le offre l’opportunità di studiare l’anatomia umana e di confrontarsi con la morte.

Leonor Fini studia da autodidatta e riceve i primi consigli dal pittore triestino Achille Funi, che incontra a Milano dove si trasferisce. Funi diventa il suo mentore e compagno e insieme realizzano La cavalcata delle Amazzoni, il mosaico pavimentale nell’ingresso della Triennale.

Nel 1931 si trasferisce a Parigi e, sostenuta da Filippo De Pisis, espone alla Galleria Bonjean diretta da Christian Dior, prima che diventasse l’importante  couturier. Proprio Dior le presenta Elsa Schiaparelli, famosa per il suo stile e le sue collaborazioni con gli artisti surrealisti e che diventa la sua stilista. Successivamente, Leonor disegna per la Schiaparelli l’iconica boccetta di profumo Shocking, ispirata al busto dell’attrice Mae West, che anticipò il celebre design di Jean Paul Gaultier.

A Parigi, grazie a Max Jacob incontra ed inizia a frequentare gli artisti surrealisti: Salvador Dalì, Max Ernst, Joan Mirò, Fabrizio Clerici, Leonora Carrington e inizia un’intensa liaison con André Pieyre de Mandiargues, scrittore e poeta surrealista con cui vive una relazione non esclusiva. Un tema da lei affrontato spesso, anche nella sua produzione artistica. 

Nel 1936 partecipa all’importante esposizione al Museum of Modern Art di New York Fantastic Art, Dada and Surrealism, conquistando la scena artistica mondiale.

Leonor Fini ha sempre condiviso con i surrealisti grande affinità sui temi del subconscio e del sogno ma costruisce un universo artistico unico, grazie ad una visione autonoma e rivoluzionaria, libera da etichette e convenzioni. 

Leonora Carrington, sua grande amica, la definiva una strana combinazione di grazia felina e potere amazzone. Il mondo pittorico di Leonor infatti, tra reale e immaginario, viene popolato da figure femminili, forze primordiali e indomabili, insieme a sfingi e donne - gatto.

Negli anni Quaranta incontra Stanislao Lepri e Constantin Jelenski con i quali visse insieme un ménage à trois, sfidando le convenzioni. Nel 1941 dipinge La Bergére des sphinks, dove una pastora viene raffigurata tra sfingi femminili, ossa e gusci d’uovo, simboli della metamorfosi naturale. La sfinge diventa il suo alter ego, come guardiana della vita, incarnazione di saggezza e potere femminile.

Durante la guerra, a Roma frequenta il salotto culturale di Elsa Morante con la quale intesse un fitto scambio epistolare e altre figure della scena artistica cultura romana: Anna Magnani, Alida Valli, Mario Praz e Alberto Savinio.

Negli stessi anni frequenta anche Jean Cocteau, con cui condivide il gusto per l’arte visionaria e il simbolismo.

Leonor Fini lascia un segno importante anche nel mondo del cinema e del teatro dove lavora con le figure più iconiche del periodo come Federico Fellini, con il quale collabora alla realizzazione di costumi per una scema di Otto e mezzo. Insieme a Pier Paolo Pasolini condivide un viaggio a Parigi e con Luchino Visconti lavora alla creazione di costumi per produzioni teatrali e liriche come Il Vestale Il Trovatore.

La dimensione teatrale del suo lavoro si sviluppa attraverso la sua ricerca pittorica, tra travestimento vestizione e svestizione, e nelle decine di produzioni teatrali, operistiche, di balletto e cinematografiche. In mostra si possono ammirare gli splendidi costumi per Tannerhäuser e i bozzetti originali per le scenografie del Teatro alla Scala.

Negli anni Settanta sviluppa ulteriormente i suoi orizzonti creativi dedicandosi alla letteratura con opere come Le livre de Leonor Fini Rogomelec e continua a lavorare per prestigiosi teatri europei e con registi del calibro di Giorgio Strehler. Muore nel 1996 a Saint Dyé sur Loire. 

© 2025 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012