CULTURA

"Lo squalo" ha 50 anni: il primo vero blockbuster moderno

“C’è una creatura sopravvissuta a milioni di anni di evoluzione, senza cambiamenti, senza passione e senza logica. Vive per uccidere: una macchina divoratrice priva di mente”. Così recitava una voce profonda nel trailer che 50 anni fa annunciava l’uscita di un film che avrebbe fatto la storia del cinema: Lo squalo di Steven Spielberg. Era l’estate del 1975 e fuori dalle sale statunitensi si formavano delle file interminabili per vedere Jaws (questo il titolo in inglese, cioè “mascelle”), che in Italia sarebbe uscito solo alcuni mesi dopo replicando lo stesso successo degli USA.

Oltre agli incassi record al botteghino, e a i tre premi Oscar vinti l’anno successivo, Lo squalo si impone subito come un fenomeno culturale: la suspense sapientemente costruita dal giovane Spielberg, anche grazie all’iconica colonna sonora, trasforma la specie marina in un incubo collettivo. La trama infatti è molto semplice: un enorme squalo bianco terrorizza la località balneare di Amity, un’isola immaginaria sulla costa del New England, uccidendo diversi bagnanti. Il capo della polizia locale, con l’aiuto di un biologo marino e di un noto cacciatore di squali, ingaggia una lotta contro il tempo per eliminare l’animale e salvare la comunità (e la stagione turistica). 

Il trailer italiano del film "Lo squalo"

Dal romanzo best seller al film 

Quello di Spielberg è un film che riscrive le regole dell’industria cinematografica, e per capire meglio la reale portata di quest’opera abbiamo fatto qualche domanda a Roy Menarini, docente dell’Università di Bologna e critico cinematografico. Per prima cosa gli abbiamo chiesto se questo è davvero il primo esempio di blockbuster e la sua risposta è netta: “Lo squalo è considerato il primo blockbuster anche nei volumi accademici, dato che quasi tutti fanno partire il fenomeno proprio dal 1975”.

Ma cosa si intende esattamente con il termine blockbuster? Menarini lo definisce come un film che non necessariamente “guadagna tanto – può anche essere un flop – però è concepito come adatto a un pubblico molto ampio, con un marketing gigantesco, posizionato in un periodo ben preciso (in questo caso l’estate americana) e che poggia il più possibile su un successo preesistente”. E infatti forse non è molto noto in Italia, ma Lo squalo si basa sull’omonimo romanzo best seller di Peter Benchley pubblicato nel 1974; dunque il film è stato fatto perché il libro era già diventato celeberrimo, così come era avvenuto per L’esorcista due anni prima.

Visto che abbiamo citato L’esorcista, che è chiaramente un film di genere horror, domandiamo al critico bolognese come possiamo classificare Lo squalo, ma in questo caso si fanno strada molti dubbi. “Che cos'è? È un film dell’orrore? È un thriller? È un film di avventure? Perché tutta la seconda parte del film è un’avventura in mare a caccia dello squalo... È stato classificato in vari modi, ma forse proprio questa sua trasversalità ci permette di capire che prototipo fosse”.


Leggi anche: Nostalgia canaglia. Gli anniversari pop 2025


Non solo marketing: la regia e la musica

Oltre all’imponente macchina promozionale e alla scelta oculata di posizionamento nell’anno, Lo squalo si distingue anche dal punto di vista creativo con alcune idee azzeccate da Steven Spielberg, che all’epoca non era certo un debuttante ma il suo nome non era ancora così affermato. Secondo Roy Menarini quello che ha funzionato meglio è “il meccanismo di messa in scena della paura, ma non nel senso horror dei salti sulla sedia, qui c’è proprio l’incarnazione di qualcosa di primordiale, che in questo caso viene da uno squalo. Probabilmente Spielberg avrebbe potuto utilizzare altri archetipi, però questo nemico che viene dalla natura (e che si scatena contro gli uomini e la loro cecità) è il prototipo di tante altre volte in cui abbiamo visto politici che non accettano il pericolo e non chiudono la spiaggia... Ed è anche una messa in scena dei limiti umani di fronte a una natura troppo grande per essere compresa”.

In più, il regista mostra fin da subito la sua passione per il cinema come grande spettacolo coinvolgente e il suo divertimento ad attingere dai film di genere, infatti “ha il piacere di fare un nuovo film di tensione, memore di tanta storia del cinema d’avventura, che però non ha nessunissima ansia di dover essere qualcos’altro”, almeno secondo Menarini. In pratica Lo squalo non è un film che ha bisogno di essere legittimato, di avere il nome di un regista importante o di giustificare la sua presenza nelle sale perché “è un film che arriva dritto al pubblico. Ci sono dei meccanismi talmente coinvolgenti, fatti di sapienza registica, in quest’avventura contro un nemico primordiale (un po’ simbolico, un po’ psicanalitico) che non servono interpretazioni critiche”. E infatti il pubblico apprezza, consapevole o meno della maestria di Spielberg.

Un altro ingrediente fondamentale nel decretare il successo del film è stata anche la famosissima colonna sonora composta da John Williams, che per il critico bolognese è “una musica al limite dell’onomatopeico, perché si sente l’accelerazione di quelle sole due note che evocano un battito cardiaco. E non si sa bene se è il cuore di noi vittime ad accelerare per la paura o quello dello squalo che sa di avvicinarsi alla sua preda. È stata quindi una musica molto evocativa, e quando hai un brano così perfetto, eppure così semplice che a sua volta diventa leggendario, hai fatto centro”.

Se lo squalo meccanico non sa nuotare...

Eppure, come ogni storia di successo che si rispetti, anche nella vicenda produttiva de Lo squalo ci sono stati degli intoppi, alcuni talmente gravi che il film ha rischiato di non arrivare mai nei cinema. Molto noto è l’aneddoto per cui i vari squali meccanici costruiti per simulare l’animale non funzionavano bene, alcuni andavano a fondo, altri si inceppavano, e non a caso nel film non sono poi molte le scene in cui si vede davvero qualche pinna dorsale o le famose mascelle del titolo originale... Ma forse anche questo limite tecnico ha stimolato la creatività del regista che è riuscito a trasformarlo in un escamotage narrativo, in un’assenza inquietante che alimenta l’ansia lasciando spazio all’immaginazione di chi guarda, e contribuendo così al successo travolgente del film. 

A riprova di ciò, sempre Menarini sottolinea che, marketing a parte, “Lo squalo non è un titolo dal budget gigantesco a differenza dei blockbuster successivi: il primo Guerre Stellari di George Lucas e Incontri ravvicinanti del terzo tipo dello stesso Spielberg, che arrivano nel 1977, hanno invece budget enormi. Quindi con i fondi limitati a disposizione il regista utilizza in modo geniale delle tattiche un po’ da B-movie, dove per serie B non si intende un film più brutto, ma quei film indipendenti o a basso budget, che riescono a fare il massimo con pochi mezzi. Spielberg dunque sfrutta il suo amore per i film più piccoli, anche di genere, e lo applica su uno scenario dove Lo squalo viene distribuito in 5000 sale in tutta l’America: questo mettere insieme serie B e serie A è un altro colpo di genio del giovane regista”.

Il classico tema “esseri umani VS natura”

Nelle varie interpretazioni critiche de Lo squalo si trova spesso un aspetto quasi psicanalitico, quasi da Moby Dick calato negli anni Settanta. E l’epico scontro tra il genere umano e la natura è un elemento che questo film ha in comune con moltissimi altri titoli che esplorano lo stesso tema, sia prima che dopo il 1975. Però in quell’estate di mezzo secolo fa (e in quelle successive), possiamo immaginare che molte persone in vacanza al mare non si siano tuffate con la stessa spensieratezza dell’anno prima, dato che l’oceano si era trasformato in un luogo minaccioso, popolato da creature oscure e letali. Ovviamente lo squalo sanguinario raccontato dal film non corrisponde affatto all’animale reale, come si sforza di spiegare da decenni chi studia biologia marina, ma purtroppo il danno d’immagine per queste specie era molto difficile da rimediare.

Chiediamo a Roy Menarini cosa possiamo dire oggi del mito pernicioso dello squalo mangia-uomini che ha fatto così presa nell’immaginario collettivo, e ci risponde che proprio perché si tratta di “un film molto libero che se ne frega dei limiti, anche questo tipo di sensibilità probabilmente non era stata messa molto in conto”. Inoltre, la sensazione del critico bolognese è che forse la fobia verso le creature marine non è stata solo colpa de Lo squalo ma anche della “lunga coda dei moltissimi imitatori che si sono succeduti, dal ’75 fino agli inizi degli anni Ottanta. Alcuni addirittura in maniera un po’ truffaldina fingevano di essere dei seguiti, come L’ultimo squalo dell’italiano Enzo Castellari che ebbe grande successo con delle scene molto splatter; o altri che invece cambiavano animali come Tentacoli o Piraña, due film horror dell’epoca”. Insomma in quegli anni le povere specie ittiche non hanno pace, ma nello stesso periodo c’erano anche molti film di fantascienza legati alla ribellione della natura contro qualche danno di origine antropica, anche se questo non è esattamente il caso de Lo squalo che infatti non si può definire una storia di eco-vengeance (cioè di punizione ecologica).


Leggi anche: Diminuiscono gli squali bianchi, quali le conseguenze per le loro prede?


La fobia scatenata da questo film secondo Menarini è stato un “danno collaterale imprevisto della commercializzazione di questo tipo di archetipo senza tenere conto dei rischi, io però lo giustifico perché la nostra sensibilità ora è altissima, ma all’epoca lo era molto meno”. Cinquant’anni dopo la sua uscita, dobbiamo quindi ricollocare il film di Spielberg da tanti punti di vista, e forse è proprio questo il motivo per cui oggi non c’è “Lo squalo 20, mentre invece abbiamo ancora la saga di Guerre stellari e altre nate in quegli anni. Però anche se adesso vediamo questo film con altri occhi e alcune scelte ci lasciano un po’ perplessi, tutto sommato abbiamo gli strumenti per inserirlo in un puzzle più complesso che riguarda i racconti di finzione legati alla natura”. Un invito a godersi la visione di quello che è ormai un classico del cinema, ma con la consapevolezza della necessità di proteggere gli squali e le altre specie, fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi marini.

© 2025 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012