SCIENZA E RICERCA

Dal clima del passato risposte anche per quello di oggi

Numerose evidenze scientifiche sembrano avvalorare l’ipotesi secondo cui nella prima fase dell’Olocene, circa tra 10.000 e 5.000 anni fa, la Terra avrebbe attraversato un optimum climatico, cioè un periodo in cui il clima sarebbe rimasto particolarmente mite per alcuni millenni. Tuttavia, stando ai modelli computerizzati che simulano, a partire dai dati disponibili, le fluttuazioni climatiche del passato, questo picco di temperature non si sarebbe mai verificato, ma invece nel corso dell’Olocene, dopo la fine dell’ultima glaciazione, le temperature sarebbero salite costantemente, fino ai massimi antropocenici odierni.

Questa diatriba, che impegna da anni gli studiosi di paleoclimatologia, è conosciuta come Holocene temperature conundrum, ossia “l’enigma delle temperature dell’Olocene”. Come spiega il professor Paolo Gabrielli, paleoclimatologo e docente alla Ohio State University, «l’enigma consiste nella discrepanza riscontrata tra le temperature oloceniche ottenute tramite gli archivi naturali paleoclimatici da una parte ed i calcoli modellistici dall’altra. Le temperature estratte dai sedimenti indicano un massimo all’inizio dell’Olocene (10.000 anni fa) e poi un graduale decremento. I modelli, invece, indicano una graduale crescita delle temperature durante tutto l’Olocene in seguito al costante ritiro delle calotte polari – e quindi della diminuzione della radiazione solare riflessa dai ghiacci, l’albedo – e all’aumento delle concentrazioni di gas serra fin dalla metà dell’Olocene».

Uno studio comparso sulla rivista Nature, guidato dalla ricercatrice Samantha Bova della Rutgers University, sembra offrire una soluzione per questo mistero: l’ipotesi è che le rilevazioni paleoclimatiche delle temperature oceaniche del periodo siano viziate da una variazione stagionale, e che, dunque, non rispecchino le reali temperature medie annuali. «Questo nuovo studio – commenta il professore – mette in luce che il massimo di temperature Olocenico, riscontrato tramite gli archivi climatici, è in realtà un massimo relativo alle temperature stagionali e non alle medie annuali, possibilità che, del resto, era già stata presa in considerazione da studi simili, che molto spesso confrontavno le ricostruzioni di temperature ottenute proprio con l’irraggiamento estivo previsto a quella latitudine».

Per verificare questa supposizione, il gruppo di ricerca si è concentrato sui dati relativi all’Ultimo Periodo Interglaciale (128-115.000 anni fa), durante il quale l’oscillazione stagionale dell’insolazione, più marcata rispetto all’Olocene, e la ridotta presenza di altri fattori di mutamento climatico, rende più semplice individuare la possibile interferenza delle medie stagionali nelle rilevazioni.

Come prove indirette (proxies) utili a ricostruire le temperature dell’Ultimo Periodo Interglaciale sono stati analizzati i resti fossili calcarei di foraminiferi planctonici, organismi la cui densità nei sedimenti varia in risposta ai cambiamenti ambientali, come la luce, la disponibilità di cibo e, ovviamente, la temperatura media delle acque oceaniche superficiali, che costituiscono il loro habitat specifico. I campioni sono stati raccolti in un’area del Pacifico occidentale conosciuta come Western Pacific Warm Pool, le cui peculiari caratteristiche sono ideali per rintracciare indizi che consentano di ricostruire la storia del clima.

Reinterpretando i dati con un metodo che permette di calcolare, a partire dalle temperature stagionali, le temperature annuali medie (Seasonal to mean Annual Temperature method, SAT), i ricercatori hanno dimostrato che durante l’Ultimo Periodo Interglaciale le temperature medie annue sono andate aumentando, non diminuendo, e che i dati precedenti erano viziati da bias stagionali; assumendo, quindi, che gli stessi bias abbiano inficiato anche i risultati relativi all’Olocene, si giunge per questo periodo a un risultato simile. “Tuttavia”, è precisato nell’articolo, “a differenza dell’Ultimo Periodo Interglaciale, l’incremento di gas serra nel corso dell’Olocene è un elemento che non può essere ignorato, e sembra compensare il raffreddamento causato dalla diminuzione dell’insolazione stagionale nel medio e tardo Olocene. [...] Rispetto all’Ultimo Periodo Interglaciale, dunque, le temperature medie annuali oloceniche registrate nello stesso sito mostrano una più spiccata tendenza ad aumentare nel medio e tardo Olocene, a partire da 6.500 anni fa”.

Questaa tendenza verso il riscaldamento è stata confermata dalla ripetizione delle analisi, condotte con il metodo SAT, su campioni prelevati in altre 24 località oceaniche per le quali sono disponibili soltanto i dati relativi all’Olocene: in quasi tutti i casi è stato riscontrato un bias stagionale che mostra come le temperature finora interpretate come segno di un lungo optimum climatico non siano altro che picchi stagionali di insolazione. I dati, opportunamente corretti e reinterpretati, raccontano dunque una storia diversa: le temperature medie annuali hanno iniziato ad aumentare fin dall’inizio dell’Olocene, e non sembra esservi evidenza – come avevano previsto le simulazioni – di un periodo caldo seguito da un raffreddamento.

Una simile scoperta è rilevante non soltanto per il suo valore scientifico: la paleoclimatologia, infatti, permette di comprendere, attraverso la conoscenza delle vicende climatiche del lontano passato, come il clima potrebbe cambiare nel futuro. E la dimostrazione del fatto che l’optimum climatico Olocenico avesse una base non annuale, ma stagionale, indica che l’incremento delle temperature, dalla fine dell’ultima glaciazione ad oggi, è stato costante. Se si comparano le condizioni post-glaciali dell’Ultimo Periodo Interglaciale con quelle dell’inizio dell’Olocene, inoltre, risulta come quest’ultimo periodo sia stato, inizialmente, addirittura più freddo di quello precedente, e come sia stato tuttavia seguito da un riscaldamento ben più marcato di quello verificatosi 128.000 anni fa.

Le temperature sarebbero aumentate sempre più velocemente circa da 6.500 anni fa, nel tardo Olocene, e sembra che tale tendenza possa essere attribuita pressoché totalmente all’incremento dei livelli di gas serra in atmosfera. In termini quantitativi, si tratterebbe di un aumento annuale medio stimato tra 0,25 e 0,21° C, tra 6.500 e 500 anni fa: un quarto del riscaldamento dell’era industriale. Ne consegue che l’aumento delle temperature successivo alla Rivoluzione industriale si è realizzato in un contesto in cui le temperature registrate erano già le più alte dall’inizio dell’Olocene, “facendo così delle temperature attuali le più alte mai osservate negli ultimi 12.000 anni, e probabilmente comparabili con i picchi dell’Ultimo Periodo Interglaciale”, si legge in conclusione dello studio.

«Mi sembra interessante – sostiene, a proposito di queste conclusioni, Gabrielli – il possibile ruolo dei gas serra nell’incrementare la temperatura fin dalla metà dell’Olocene. In quel periodo i valori erano molto inferiori rispetto a quelli di oggi, dominati dalle emissioni di combustibili fossili. Rimane da capire se quel leggero incremento di gas serra a partire dalla metà dell’Olocene fosse dovuto a fenomeni naturali (ad esempio, l’emissione di metano dalle zone polari deglaciate) oppure ad attività umane pre-industriali, come le emissioni di gas serra legate all’espandersi dell’agricoltura.

Le cause del piccolo aumento di concentrazione di gas serra registrato in quel periodo, dunque, sono ancora ambigue. La prova più solida della natura antropogenica del riscaldamento climatico in corso rimane, in ogni caso, il confronto tra gli elevati valori attuali di gas serra con quelli sempre inferiori durante almeno gli ultimi 800.000 anni, come provato dalle carote di ghiaccio dell’Antartide».

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