SCIENZA E RICERCA

Dalla ricerca di base le proprietà ottiche delle nanoleghe

Saper predire le proprietà ottiche delle nanoleghe, senza doverle necessariamente produrre per conoscerne le interazioni con la luce (del sole o di un laser per esempio). Con risparmio – evidente – di tempo e denaro. È questo, in estrema sintesi, il risultato di uno studio pubblicato recentemente su Nature Communications dal titolo Accurate prediction of the optical properties of nanoalloys with both plasmonic and magnetic elements, condotto da un gruppo di ricerca coordinato da Vincenzo Amendola, professore del dipartimento di Scienze chimiche dell’università di Padova. Le nanoleghe, per intenderci, sono materiali con dimensioni dell’ordine del miliardesimo di metro, composte da elementi metallici diversi tra loro, come l’oro e l’argento o l’oro e il cobalto. Per intuirne l’utilità dobbiamo fare un balzo in avanti e pensare che in futuro potrebbero trovare applicazione nella conversione dell’energia solare o aprire la strada a computer ultraveloci e a nuove categorie di dispositivi ottici ultratecnologici. Solo per fare qualche esempio.

Per arrivare a nuove conoscenze, i ricercatori lavorano alacremente sui banconi dei laboratori, tra provette e reagenti, spesso lontani dai riflettori e dall’attenzione dei media. Fino a quando non si giunge a una nuova scoperta o alla realizzazione di un nuovo prodotto, studi di questo tipo sembrano interessare poco ai più. La ricerca di base, di cui lo studio citato è un esempio, fa in genere poco scalpore. Eppure senza ricerca pura non c’è sviluppo, né innovazione. “La ricerca di base – sottolinea Amendola – è ancora relativamente distante dall'applicazione commerciale o industriale e questo, per esempio, rende estremamente difficile poter accedere a canali di finanziamento privati. A sostenere questo tipo di ricerca, almeno in Italia, sono in gran parte dei casi fondi pubblici: per questo è molto importante che l'ecosistema scientifico che si occupa dell'assegnazione dei finanziamenti sia sensibile a ricerche innovative, che magari non hanno ancora penetrato la comunità, o a ricerche multidisciplinari che coinvolgono competenze diverse”.  

Per conoscere più da vicino questa realtà, siamo entrate nei laboratori del dipartimento di Scienze chimiche dell’ateneo padovano: Vito Coviello, primo autore dell’articolo pubblicato su Nature Communications, ci ha spiegato i dettagli dello studio, condotto attraverso un metodo che combina un approccio sperimentale e uno teorico-computazionale; Vincenzo Amendola ha invece proposto una riflessione più ampia sul valore della ricerca di base oggi.

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