SCIENZA E RICERCA

Dalle missioni Apollo al grafene: i progressi delle celle a combustibile

Era il 1839 quando Sir William Robert Grove, un avvocato e chimico londinese, effettuava i primi esperimenti su una cella a combustibile presso la Royal Institution of South Wales riuscendo a produrre energia elettrica facendo reagire tra loro idrogeno e ossigeno gassosi. Da allora, e soprattutto negli ultimi anni, le celle a combustibile hanno fatto enormi progressi e trovano posto nella produzione di corrente elettrica in dispositivi per uso civile e militare. Ne abbiamo parlato con il professor Vito Di Noto, direttore del gruppo di ricerca Chemistry of Materials for the Metamorphosis and the Storage of Energy (CheMaMSE) del dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova e presidente della divisione di elettrochimica della Società Chimica Italiana.

Cos’è una cella a combustibile e per quali applicazioni nasce?

La pila o cella a combustibile è un dispositivo elettrochimico che, partendo prevalentemente da idrogeno e ossigeno, permette di ottenere, grazie a un catalizzatore, energia elettrica con un’efficienza che oggi è davvero molto alta, anche più del doppio rispetto a quella di un motore a scoppio convenzionale. 
Le prime applicazioni delle celle a combustibile iniziano con l’esplorazione spaziale. Basti pensare che tutte le missioni Apollo sfruttavano proprio sistemi basati su celle a combustibile. Questi sistemi hanno da sempre avuto un enorme vantaggio rispetto, ad esempio, alle batterie. Prima di tutto la durata. I satelliti, ad esempio, sfruttano pannelli solari per convertire energia solare in energia elettrica, la accumulano sotto forma di idrogeno e ossigeno e poi ricombinano questi due elementi per produrre ulteriore energia. In questo modo alcuni satelliti sono rimasti funzionanti per più di vent’anni. 
C’è poi la densità di corrente, davvero elevatissima per una cella a combustibile: due Ampere per centimetro quadro, nelle celle alcaline più moderne, contro i 200 microampere per centimetro quadro di una batteria al litio. Una densità elevata su spessori di materiali molto bassi: un totale di circa 70 micrometri. 
Tornando alle applicazioni, in generale possiamo dire che le celle a combustibile sono dispositivi per applicazioni duali, cioè sia civili che militari. C’è grande interesse, ad esempio, per l’applicazione di celle a combustibile in sommergibili per scopi militari dove vanno a sostituire i sistemi di vecchia generazione a propulsione nucleare, che nella fase di raffreddamento non sono silenziosi e rendono così i sommergibili più tracciabili. Ma dall’altro lato le celle a combustibile potrebbero, in futuro, andare ad alimentare grandi navi per uso civile: sarebbero un sistema molto efficiente, silenzioso e non inquinante rispetto a quelli utilizzati oggi per queste applicazioni.
O ancora, una recente applicazione in campo sanitario riguarda l’utilizzo di un sistema di celle a combustibile che funzionano “al contrario” come supporto alla produzione di ossigeno nelle terapie intensive per pazienti affetti da COVID-19. Le celle, infatti, possono anche essere usate per produrre idrogeno e ossigeno puri; in questo caso si chiamano elettrolizzatori.
 

Come mai, vista l’elevata efficienza e durabilità, le celle a combustibile oggi non sostituiscono le batterie in molti altri dispositivi come la automobili?

Non si può pensare a una sola applicazione per tutto, non esiste nella scienza una sola medicina che vada bene per tutte le occasioni. 
Le migliori celle a combustibile che avevamo da fine anni ’90 fino al 2005 solitamente producevano un kilowatt di potenza elettrica per grammo di catalizzatore, un catalizzatore al platino che ha dei costi molto elevati. Se pensiamo che un’automobile in media ha bisogno di 80 kilowatt, essa avrebbe dovuto contenere ottanta grammi di platino. Dunque, il costo di un simile veicolo alimentato da celle a combustibile sarebbe stato troppo elevato, andando anche oltre gli ottantamila euro per un’automobile utilitaria. 
Il problema sta quindi nei materiali di cui è costituita la cella a combustibile, con particolare riferimento alla membrana separatrice ed ai catalizzatori. 
Quindi oggi si cerca di sviluppare nuovi materiali per ridurre i costi. Si tratta di materiali altamente tecnologici e l’U.S. Department of Energy (DOE) ha stabilito che l’obiettivo ideale sarebbe arrivare alla produzione di otto kilowatt di potenza per grammo di platino, utilizzando inoltre membrane molto economiche. 

A che punto è arrivata la ricerca per lo sviluppo di nuovi materiali come catalizzatori?

Oggi siamo riusciti a raggiungere una potenza di 24 kilowatt per grammo di catalizzatore, un materiale molto particolare sviluppato nel nostro laboratorio e la cui produzione industriale è oggi in fase di definizione. Si tratta di celle a combustibile al grafene sviluppate nell’ambito della Graphene Flagship, una delle più importanti iniziative di ricerca dell'Unione Europea per le applicazioni del grafene in diversi settori, dalla microelettronica alla medicina, passando anche per la produzione di energia. 
Solitamente, nel campo della microelettronica, viene depositato un monostrato di grafene su un foglio di rame e successivamente il rame viene disciolto, ottenendo così lo strato di grafene desiderato. Con questo processo, però, il grafene tende a formare aggregati, e utilizzare questo supporto per i catalizzatori di celle a combustibile è tutt’altro che efficiente. Nel nostro laboratorio partiamo da una nanoparticella di rame di circa venti nanometri di diametro e sulla sua superficie costruiamo un monostrato di grafene. Così otteniamo un grafene altamente difettuale a cui è possibile ancorare diversi elementi, come metalli di transizione, che possono fungere da siti attivi del catalizzatore. Oggi questo sistema di catalizzatori sub-nanometrici permette di raggiungere anche i 24 kilowatt per grammo di platino, un traguardo molto importante a cui stiamo ancora lavorando per favorirne la commercializzazione e lo scaling up nell’ambito del progetto Advanced Low-Platinum hierarchical Electrocatalysts for low-T fuel cells – ALPE finanziato dall’ente europeo EIT Raw Materials.

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