SOCIETÀ

Investire sulla rete elettrica per realizzare la transizione energetica

Per limitare l’aumento del riscaldamento globale è necessario decarbonizzare il settore energetico, da solo responsabile di quasi 37 miliardi di tonnellate di CO2nel 2022, circa i tre quarti delle emissioni antropiche annuali. Per farlo occorre abbandonare gradualmente la dipendenza dai combustibili fossili e sostituirli con fonti energetiche a basse emissioni.

Le rinnovabili, soprattutto solare ed eolico, sono già il perno di questo processo di decarbonizzazione, come di recente ribadito dall’aggiornamento al rapporto Net Zero dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA).

Tuttavia, la produzione energetica è solo uno dei tasselli che compongono il mosaico della transizione energetica. L’energia elettrica prodotta in modo sostenibile va immagazzinata con sistemi di accumulo su cui occorre investire e va immessa in una rete in grado di reggere carichi maggiori richiesti da una domanda crescente.

Martedì 17 ottobre la IEA ha pubblicato un rapporto, il primo nel suo genere, dedicato alla rete elettrica globale e al suo ruolo nella transizione energetica. “Gli sforzi per contenere il cambiamento climatico e assicurare forniture affidabili di elettricità potrebbero essere messi a rischio a meno che i decisori politici e le compagnie non agiscano velocemente per migliorare ed espandere le reti elettriche nel mondo”, ammonisce la IEA.

La vendita di auto elettriche è in rapida crescita a livello globale, così come le installazioni di nuovi impianti rinnovabili, con le aggiunte annuali di solare ed eolico che ogni anno superano il record fissato da quello precedente. Per quanto riguarda il riscaldamento degli edifici, le pompe di calore elettriche sostituiranno gradualmente le caldaie a gas (alcuni governi sono più avanti, altri più indietro) e l’idrogeno verde, prodotto da fonti rinnovabili con elettrolizzatori, potrebbe contribuire ad abbassare le emissioni dei trasporti pesanti e dell’industria.

L’elettrificazione di tutti questi settori farà diminuire la domanda di combustibili fossili e crescere quella di energia elettrica pulita. Per tenere il passo di un’aumentata produzione energetica rinnovabile è indispensabile investire al contempo sulla rete che deve accogliere quell’energia. Secondo la IEA, per rispettare gli obiettivi della transizione energetica entro il 2040 occorrerà aver ammodernato o aggiunto 80 milioni di km di rete elettrica nel mondo, una quantità pari alla lunghezza della rete attualmente esistente.

La rete non dovrà solo ampliarsi, ma anche cambiare la sua fisionomia. “La rete non è più un albero rovesciato che dal grande produttore distribuisce energia al consumatore. La produzione di energia è, e sarà sempre di più, diffusa e condivisasi legge sul sito del Centro studi di economia e tecnica dell’energia Giorgio Levi Cases, dell’università di Padova.

“Grazie alla diffusione della produzione da fonti rinnovabili e alla digitalizzazione del controllo, la rete elettrica sta passando da una struttura rigidamente centralizzata a un sistema integrato, in cui ogni operatore assume ruoli diversi: di produzione, di consumo, di accumulo, di scambio”.

Le grandi centrali elettriche (e soprattutto termoelettriche a gas o a carbone) verranno sostituite da una produzione rinnovabile più distribuita, da centrali più piccole e più efficienti, dall’autoproduzione e dall’autoconsumo (si parla infatti di utenti prosumers), e dalle comunità energetiche.

Di conseguenza andrà digitalizzata e potenziata la rete di distribuzione, ossia le vene e i capillari che trasportano l’energia a media e bassa tensione, dal fornitore al consumatore. Allo stesso tempo andranno ampliati alcuni corridoi della rete di trasmissione, cioè le arterie lungo cui corre l’energia elettrica ad alta tensione e che connettono i siti produttivi, come grandi parchi solari o eolici, alle stazioni elettriche di città e aree industriali.

La rete elettrica dovrà di conseguenza essere in grado di gestire l’intermittenza e la diversa erogazione che derivano da una maggiore produzione da fonti rinnovabili. Per sfruttare i benefici di risorse distribuite la rete dovrà raddoppiare la propria flessibilità entro il 2030, riporta la IEA, sfruttando non solo soluzioni di accumulo energetico (dalle batterie, al pompaggio) ma anche quelle del cosiddetto demand response.

Se prima erano le grandi centrali elettriche a sopperire alla necessità di flessibilità del sistema elettrico, oggi lo stesso compito deve sempre più venir gestito da una rete intelligente che modula la domanda tramite meccanismi di mercato e di remunerazione. In altre parole, un sistema in cui il consumatore (domestico o industriale) sia disposto a ridurre o aumentare i propri consumi energetici (e venir remunerato di conseguenza) a seconda dei picchi di domanda o di offerta del mercato elettrico, è un sistema più flessibile.

La digitalizzazione della rete per la gestione di questi meccanismi diventa quindi centrale, ma se l’investimento in generazione elettrica da fonti rinnovabili è raddoppiato dal 2010 a oggi, non altrettanto sta facendo a livello globale quello nell’infrastruttura di rete, che è rimasto statico intorno ai 300 miliardi di dollari annui. Nelle economie emergenti, a eccezione della Cina, è addirittura calato. Entro il 2030 invece tale investimento dovrebbe moltiplicarsi per due, raggiungendo i 600 miliardi di dollari.

I ritardi negli investimenti infrastrutturali secondo la IEA si stanno già dimostrando un collo di bottiglia per la transizione energetica. “Almeno 3.000 GW di progetti di elettricità rinnovabile, di cui 1.500 in stadio avanzato, hanno già fatto richiesta di connessione alla rete – un valore 5 volte più grande della capacità fotovoltaica ed eolica aggiunta nel 2022”.

In Italia la questione è nota da tempo: secondo il gestore della rete di trasmissione italiana Terna, a gennaio 2023 “le richieste di connessione alla rete di alta tensione di nuovi impianti di generazione da fonte rinnovabile hanno raggiunto i 340 GW di potenza cumulata, di cui il 37% da fonte solare e il 54% da fonte eolica, un valore pari a circa 5 volte gli obiettivi che l’Italia si è data al 2030”.

Un’altra barriera alla crescita dell’energia elettrica pulita è di natura amministrativa, sottolinea la IEA. Le nuove infrastrutture di rete spesso richiedono dai 5 ai 15 anni per essere pianificate, ottenere i permessi e venir completate. I progetti rinnovabili richiedono da 1 a 5 anni, mentre l’installazione di nuove colonnine di ricarica per veicoli elettrici meno di 2 anni (con differenze da Paese a Paese).

Un altro ostacolo è rappresentato dall’accesso alle risorse finanziarie in Paesi come quelli dell’Africa Sub-Sahariana, così come preoccupa lo stato di salute finanziaria di alcune compagnie di Paesi come Indonesia, Corea e India. In Paesi quali gli Stati Uniti, il Giappone, il Cile e l’Europa è invece l’accettabilità sociale di nuovi progetti infrastrutturali spesso a rallentare lo sviluppo. Un ruolo importante ce l’hanno anche i decisori politici: le istituzioni europee ade esmpio stanno discutendo di come rendere i prezzi dell’energia elettrica meno dipendenti da quelli volatili dei combustibili fossili, mettendo a punto una riforma del mercato elettrico.

Senza una piena consapevolezza e un’azione decisa, il rischio è quello di accumulare ritardi sulla tabella di marcia della transizione energetica, che si tradurrebbero in una maggiore dipendenza da gas e quindi in un numero maggiore di emissioni rilasciate in atmosfera e una spesa energetica più alta.

La IEA ha considerato uno scenario in cui questi ritardi mettono a rischio l’obiettivo del contenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C: da qui al 2050 il settore elettrico produrrebbe quasi 60 miliardi di tonnellate di CO2 in più (rispetto allo scenario Net Zero), ovvero quanto l’intero settore ha emesso negli ultimi 4 anni.

Le importazioni globali di carbone sarebbero maggiori di 50 milioni di tonnellate annue, mentre quelle di gas dal 2030 sarebbero più alte di 80 miliardi di metri cubi annui (più del consumo annuo dell’Italia). È chiaro che in un contesto geopolitico sempre più teso in cui molti Paesi esportatori di gas, tra Nord Africa e Medio Oriente, sono sull’orlo di uno scontro epocale con l’Occidente, l’investimento nell’ammodernamento delle infrastrutture della rete elettrica è anche una questione di sicurezza energetica.

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