CULTURA

Dante700. L'uomo e il suo tempo, secondo Alessandro Barbero

Come si chiamava, dove e quando è nato, in quali città ha vissuto? Domande tutt’altro che banali se riferite a un uomo morto 700 anni fa. Anche se si tratta di un personaggio che ci è familiare sin dai primi ricordi di scuola: Durante di Alighiero degli Alighieri, più comunemente noto come Dante, il padre della lingua italiana. “Su di lui sappiamo e non sappiamo molto allo stesso tempo – spiega a Il Bo Live lo storico Alessandro Barbero –. Da secoli gli eruditi setacciano gli archivi alla ricerca di qualunque cosa che riguardi lui o la sua famiglia, inoltre abbiamo le sue testimonianze, anche se vanno interpretate con cautela. Abbiamo però anche lacune enormi: ad esempio non capiamo niente del suo matrimonio, l’unico documento che vi accenna riporta una data impossibile, quando Dante era ancora bambino. Quando poi va in esilio, negli ultimi 20 anni della sua vita, molto spesso brancoliamo nel buio: il Dante esule tra le corti d’Italia, e forse non solo d’Italia, lascia molte meno tracce documentarie e per anni e anni non sappiamo nemmeno dove sia”.

All’autore della Commedia Barbero, docente di storia medievale presso l’università del Piemonte Orientale, sede di Vercelli, ha dedicato il suo ultimo libro (Dante, Laterza 2020), in cui mette da parte la letteratura per analizzare una per una le informazioni certe che abbiamo sulla sua vita. “Il mio non è un saggio critico e nella misura del possibile prescinde dal fatto che stiamo parlando di un genio, anche se è proprio grazie a questo che sappiamo molte più cose su di lui – continua lo studioso torinese, amatissimo dal grande pubblico per la sua attività di scrittore e divulgatore –. Per il resto si tratta della biografia un uomo del medioevo con la sua famiglia, antenati e figli, una posizione sociale, un’idea di se stesso e una carriera politica. Per questo, anche se può sembrare assurdo, un libro del genere finora non esisteva: le sue biografie erano state infatti scritte soprattutto da dantisti, interessanti a illustrare la grandezza della sua opera, mentre io da storico mi sono concentrato sul ricostruire e dare un senso agli avvenimenti della sua vita nel contesto della sua epoca”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio di Elisa Speronello

Il ritratto che emerge è quello di un artista e intellettuale potente e raffinato, che però nella prima parte della sua esistenza si dedica soprattutto all’impegno nella vita pubblica e nel governo della sua città. Nato da una famiglia benestante ancorché non particolarmente illustre, dedita agli affari e all’usura (e forse non è un caso che non parli volentieri del padre e del nonno), il rampollo degli Alighieri viene istruito dai migliori maestri e istitutori, tra cui Brunetto Latini, e frequenta e scambia lettere e poesie con la crema della gioventù fiorentina. L’11 giugno 1289, a 24 anni, Dante partecipa in prima linea alla battaglia di Campaldino contro i ghibellini di Arezzo, in seguito compie il cursus honorum che lo porterà ad ascendere alle massime cariche comunali, fino a ricoprire il priorato nell’estate nel 1300. È proprio in quest’ultimo periodo, segnato da lacerazioni profonde nella vita cittadina, che in seguito Dante collocherà l’ingresso nella selva oscura che rischiava di perderlo nello spirito e nel corpo.

Il poeta in quel momento è l’uomo forte, ancorché su posizioni abbastanza moderate, della fazione che rappresenta gli interessi dei ceti produttivi e imprenditoriali cittadini contro le rivendicazioni delle grandi famiglie magnatizie: proprio ‘dalli infausti comizi del mio priorato’ però, scriverà più tardi, deriveranno ‘tutti li mali e gli inconvenienti miei’. La storia è nota: a causa delle trame di papa Bonifacio VIII e dell’intervento di Carlo di Valois, fratello del re di Francia, i guelfi bianchi vengono cacciati da Firenze e in seguito Dante viene addirittura processato in contumacia e condannato per ‘baratteria’, che oggi chiameremmo corruzione e concussione. Una svolta drammatica nella vita di un uomo che cambia anche la storia della letteratura: secondo Barbero “con l’esilio il leader abituato a muoversi nel contesto avvelenato dei gruppi di potere fiorentini diventa un intellettuale che fa politica in altro modo, scrivendo al servizio di un ideale come l’impero. E allo stesso tempo inizia a riempire di senso la sua vita con la Commedia, esplicitando anche in questo il ruolo profetico che probabilmente si è convinto di avere. Quella che per lui è una tragedia che avvelena e amareggia l’ultima parte della sua vita, è anche la ragione per cui abbiamo la sua opera maggiore”.

Quella che per Dante è la tragedia della sua vita, l'esilio, è anche la ragione per cui abbiamo la Commedia Alessandro Barbero

L’altro elemento determinante per la nascita della Commedia è l’amore, allo stesso tempo appassionato e idealizzato, per una donna: Beatrice Portinari, conosciuta quando entrambi erano poco più che bambini. “Di lei non sappiamo praticamente niente, al di là dello sviluppo che Dante ha voluto dare nella sua poetica al suo personaggio e al rapporto con lei – continua lo studioso –. Anche solo il fatto che sia figlia di Folco Portinari a dircelo è Boccaccio, il primo grande biografo di Dante, non l’autore della Vita Nuova. Del resto all’epoca le donne avevano sì un impatto simile quello degli uomini nella vita collettiva e soprattutto privata, ma lasciavano molte meno tracce in una documentazione che registrava soprattutto l’attività pubblica, quindi la politica e gli affari. In ogni caso è sicuro che abbiano scambiato pochissime parole e che lei sia morta ben prima che Dante iniziasse anche solo a pensare alla Commedia: la figura di Beatrice appartiene soprattutto all’interiorità di Dante, di conseguenza lo storico può dire ben poco”.

Scritta e pubblicata nel periodo di maggiore fragilità, da subito la Commedia si rivela un successo travolgente: nel corso del secondo decennio del Trecento desta uno scalpore crescente la pubblicazione dell’Inferno e via via a seguire del Purgatorio e della prima parte del Paradiso, grazie anche ai tanti riferimenti a situazioni e personaggi contemporanei. L’attenzione è tale, non solo tra i letterati, che quando Dante muore nel 1321 c’è una certa costernazione generale perché il Paradiso non è ancora finito, mancano 13 canti che in seguito verranno ritrovati e pubblicati dai figli: “Quando Dante muore insomma ci sono già le premesse per l’industria dantesca, che da allora non si è mai interrotta”, conclude Barbero. Che tiene a chiarire: “L’importanza di Dante sta proprio nell’aver scritto la Commedia e non, come un po’ voleva il nostro Risorgimento, nell’essere un esempio a cui ispirarsi, un’autorità un po’ corrucciata che ci guarda dall’alto e ci dice cosa fare… Credo che dovremmo liberarci dell’‘uomo di marmo’: Dante è stato un personaggio del suo tempo con le sue contraddizioni, i suoi errori e le sue disonestà; al tempo stesso però ha scritto un’opera straordinaria, ed è questo in fondo quello che conta”.

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