SOCIETÀ

La debolezza nascosta dietro le frasi sprezzanti sulla razza di Viktor Orbàn

Non c’è pace per Viktor Orbàn: il premier ungherese, appena rieletto, irrinunciabile punto di riferimento tra i sovranisti d’Europa e “roccaforte” del Cremlino in terra europea, continua a far discutere fuori e dentro i confini nazionali, ad accendere polemiche per le sue posizioni nazionaliste e di estrema destra, con il suo emanare leggi liberticide, a sventolare con sempre maggior vigore la bandiera dell’omofobia, dell’islamofobia, a emarginare le minoranze, pronto a innalzare muri anti immigrati, sempre più corpo estraneo in un’Unione Europea che del rispetto dei diritti umani e delle minoranze ha fatto uno dei suoi pilastri. L’ultima diatriba è scoppiata pochi giorni fa durante un discorso dai toni apertamente razzisti che ha pronunciato alla Bálványos Summer University, a Baile Tusnad, in Romania, in una regione dove vive una numerosa comunità ungherese. «Noi ungheresi non siamo una razza mista, e non vogliamo diventare una razza mista», ha scandito Orbàn. «La migrazione ha diviso in due l’Europa, o potrei dire che ha diviso in due l’Occidente. Una metà è un mondo in cui convivono popoli europei e non europei. Questi paesi non sono più nazioni: non sono altro che un agglomerato di popoli. Potrei anche dire che non è più il mondo occidentale, ma il mondo post-occidentale». Frasi sprezzanti che hanno scatenato non soltanto un putiferio tra i parlamentari più sensibili dell’Unione Europea, ma che per una volta hanno anche avuto un riflesso interno, nella cerchia dei suoi più stretti collaboratori. Con la sociologa Zsuzsa Hegedüs, per oltre dieci anni consigliera del primo ministro (dal 2010 è consulente per l’inclusione sociale), che si è dimessa martedì scorso dopo aver consegnato allo stesso Orbàn (e alla stampa) un’aspra lettera di accuse, senza scuse, senza appello, arrivando a definire quel discorso «un testo in puro stile nazista, degno di Goebbels».

È la prima volta, nei quattro anni consecutivi di mandato come capo del governo, che emerge pubblicamente un simile dissenso nella più stretta cerchia dei collaboratori del premier. All’interno di Fidesz, l’Alleanza dei Giovani Democratici (Fiatal Demokraták Szövetsége, da cui l’acronimo), partito fondato nel 1988 dallo stesso Orbàn, il dissenso non è la norma, anzi. Ed è perciò che le dimissioni della consigliera fanno rumore. «Sono sinceramente dispiaciuta di dover interrompere la nostra collaborazione a causa di una tua posizione così vergognosa», ha scritto Zsuzsa Hegedüs, figlia di ebrei ungheresi sopravvissuti all’Olocausto (più di mezzo milione furono sterminati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale). «Dopo un simile discorso, che contraddice tutti i miei valori fondamentali, non mi è rimasta altra scelta». La risposta di Orbàn è arrivata a stretto giro: «Ci conosciamo da mille anni, e tu sai meglio di chiunque altro che in Ungheria il mio governo segue una politica di tolleranza zero nei confronti dell’antisemitismo e del razzismo». Anche il portavoce del governo, Zoltan Kovacs, ha tentato di minimizzare, sostenendo che le dichiarazioni del primo ministro sono state «male interpretate, e con un eccessivo risalto, da coloro che non capiscono la differenza tra la mescolanza di diversi gruppi etnici che hanno tutti origine nella sfera culturale giudeo-cristiana, e la mescolanza di popoli provenienti da civiltà diverse». Ma, nella sostanza, nessuna smentita sulle frasi pronunciate da Orbàn. Il che ha scatenato una tempesta di reazioni. «Orbán ha commesso una violazione della civiltà identificandosi con l’ideologia dei suprematisti bianchi», ha dichiarato Jean Asselborn, ministro degli Esteri lussemburghese. «Possiamo solo condannare con la massima fermezza l’uso dell'incitamento all’odio che ci ricorda le ore più buie del ventesimo secolo, nel continente europeo». Bogdan Aurescu, ministro degli Esteri della Romania, ha definito quelle parole “inaccettabili”. Christoph Heubner, vicepresidente del Comitato Internazionale di Auschwitz, ha definito il discorso “stupido e pericoloso”: «L’Unione Europea – ha aggiunto – deve continuare a prendere le distanze da queste posizioni razziste. Il mondo deve sapere che per il signor Orban non c’è futuro in Europa». Il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, si è limitato a twittare: «Facciamo tutti parte della stessa razza, la razza umana. Il razzismo è un’invenzione politica velenosa. Non dovrebbe esserci posto per questo in Europa».

Ma le reazioni sono state vigorose anche in Ungheria. Il rabbino capo Róbert Frölich ha risposto così: «Molte specie diverse popolano il nostro pianeta. Su due gambe, lavorando, parlando e talvolta pensando. Però su questa terra vive una sola specie: l’Homo Sapiens Sapiens. Questa razza è una e indivisibile». Particolarmente dure le parole di Ferenc Gyurcsány, leader della Coalizione Democratica, che ha scritto sulla sua pagina Facebook: «Orbán è la tragedia dell'Ungheria. Quel testo nazista ci esclude dal mondo dei popoli onesti. Il mio sangue non è migliore di quello di un altro uomo. Colui che vuole essere padrone e non servo del suo popolo non è il nostro capo ma il nostro nemico». Ákos Hadházy, ex parlamentare di Fidesz, ora indipendente, sostiene che «parlare di teoria razziale nel 2022 è disgustoso e inaccettabile». Mentre Katalin Cseh, vicepresidente di Momentum, un partito liberale, l’ha definito «uno sfogo razzista senza senso».

Forse l’aria sta cominciando a cambiare in Ungheria, a pochi mesi dalle elezioni dello scorso aprile, che hanno visto l’ennesima conferma di Fidesz (55% dei voti, mentre l’opposizione tutta insieme ha conquistato il 32%), che ha portato il primo ministro al quarto mandato consecutivo. Viktor Orbàn è così: un provocatore che ama dividere almeno quanto imperare, senza freni, senza scrupoli. Ma assai amato, almeno finora, dall’elettorato ungherese. Non che il governo traballi, anzi. Ma questo “incidente”, chiamiamolo così, fa il paio con le manifestazioni che da settimane stanno mettendo in imbarazzo l’esecutivo, con migliaia di persone scese in piazza a Budapest, giorno e notte, bloccando ponti e incroci stradali in segno di protesta contro il governo colpevole di aver varato in Parlamento (dove Fidesz ha la maggioranza assoluta), una modifica alla legge fiscale che andrà a penalizzare soprattutto i lavoratori autonomi freelance e piccole e medie imprese, che pagavano un’unica aliquota fissa e assai bassa (il regime fiscale, noto con l’acronimo di Kata, è utilizzato da circa 450mila lavoratori. La misura entrerà in vigore dall’1 settembre. Il che si tradurrà, per quei lavoratori, in un aumento delle tasse.

In realtà Viktor Orbàn sta, banalmente, cercando di far cassa: di aumentare le entrate per dare ossigeno a un’economia sempre più boccheggiante. L’aumento delle tasse arriva in un momento particolarmente difficile per gli ungheresi, con l’aumento generalizzato dei prezzi dell’energia e con l’inflazione al massimo da due decenni (il tasso attuale è all’11,7%) mentre la valuta locale è ai minimi storici (per 1 euro ormai non bastano 400 fiorini ungheresi). Il governo ha anche tentato, in puro stile “orbaniano”, di introdurre un tetto per i prezzi della benzina ma soltanto per le auto con targa ungherese, scatenando la reazione della Commissione Europea, che accusa Budapest di violazione delle regole del mercato unico.

Sono innumerevoli i punti di dissidio tra Orbàn e Bruxelles, che peraltro stanno bloccando l’erogazione dei fondi del Pnrr a Budapest). La Commissione europea ha annunciato pochi giorni fa di aver citato in giudizio l’Ungheria alla Corte di Giustizia europea per la controversa legge anti-LGBT, che tra l’altro vieta la “rappresentazione dell’omosessualità” nel materiale educativo scolastico e nei programmi televisivi rivolti a chi ha meno di 18 anni, approvata lo scorso anno dal Parlamento ungherese. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, l’aveva definita «una vergogna che discrimina le persone sulla base del loro orientamento sessuale e va contro tutti i valori fondamentali dell'Unione Europea». Péter Szijjártó, ministro degli Affari esteri ungherese, aveva respinto le accuse sostenendo che la legge «non va contro alcuna comunità in Ungheria: è soltanto contro i pedofili». Secondo Lydia Gall, ricercatrice senior di Human Rights Watch, «associare la pedofilia con le persone LGBT, vietare l’educazione sessuale completa nelle scuole e soffocare la libertà di parola è spregevole e indegno di uno Stato membro dell’UE». Un altro terreno di scontro è nel tentativo del governo di silenziare le voci di dissenso (ultimo il caso dell’emittente Klubradio, che non ha ottenuto il rinnovo della licenza), con l’Ungheria che è scivolata rapidamente dal 23° all’85° posto su 180 paesi nell’indice sulla libertà di stampa stilato da Reporter Sans Frontiere, con la seguente motivazione: «Il primo ministro Viktor Orbán, che RSF considera un predatore della libertà di stampa, ha costruito un impero dei media i cui organi di informazione seguono gli ordini del suo partito. I media indipendenti mantengono posizioni importanti nel mercato, ma sono soggetti a pressioni politiche, economiche e normative». E ancora: le leggi contro le Ong, contro i migranti, contro i bambini rom, contro i clochard, una riforma del lavoro ribattezzata “legge schiavitù” (che consente ai datori di lavoro di chiedere ai dipendenti fino a 400 ore di straordinario l’anno, senza l’intermediazione dei sindacati, con pagamento differito a 3 anni), un controllo sempre più pressante dei tribunali. Fino alla strenua resistenza imposta da Orbàn contro qualsiasi iniziativa europea nei confronti della Russia (l’Ungheria è l’unico paese dei 27 a non aver esplicitamente condannato l’invasione russa in Ucraina). Contrario all’imposizione di qualsiasi sanzione nei confronti del Cremlino: «Non aiutano l’Ucraina, non porteranno alla fine della guerra e uccideranno l’economia – ha commentato il primo ministro ungherese -. L’Unione Europea si è sparata nei polmoni». Il governo ungherese è riuscito anche a porre il veto al tentativo dell'UE di imporre sanzioni al patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa, che aveva glorificato i crimini di guerra.

Ma agli ungheresi, almeno finora, questa impronta politica piace. E non soltanto a loro. I seguaci di Orbàn abbondano in Europa e anche negli Stati Uniti, dove il prossimo mese il leader di Fidesz si recherà per tenere un discorso, a Dallas, alla Conservative Political Action Conference: e Donald Trump sarà in prima fila.

 

 

 

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