SOCIETÀ

La decrescita è vintage, ma di moda

Storia di come un termine possa ispirare l’azione di molte persone, poi trasformarsi, e continuare a suscitare sentimenti e stimolare il cambiamento: la decrescita.

Preso come definizione secca è un concetto che può non suscitare immediata simpatia: se ci si ferma ad un’analisi lessicale indica qualcosa che sembra farci tornare indietro, piuttosto che guardare al futuro. Se invece prestiamo maggiore attenzione, non è proprio così. La definizione più famosa di questo concetto è quella data da Maurizio Pallantela decrescita felice – in cui si spiega come il “rallentare” le nostre abitudini non sia necessariamente una cosa negativa, e come il PIL non sia l’unico fattore da tenere in considerazione, quando si misura il benessere di una società. Un altro contributo è quello di Serge Latouche, in parziale disaccordo con Pallante, che preferisce parlare di “declino sereno” o “abbondanza frugale”.

Il tema della decrescita è vintage, ma di moda. Vintage perché la riflessione parte diverso tempo fa – tra i primi in Italia a intuirne una sfumatura ci fu Enrico Berlinguer nel 1977, di moda perché molti dei movimenti più recenti, come ad esempio gli scioperi per il clima Global Strike for Future, ne recuperano alcuni aspetti.

“Bisogna fare una differenza tra le cose che devono crescere e quelle che devono decrescere – racconta Valerio Calzolaio, giornalista, scrittore ed ex dirigente del PCI – le disuguaglianze devono diminuire, i nostri consumi vanno calibrati: il termine decrescita non va bene in senso assoluto, ma va contestualizzato”.

Tornando a Berlinguer: è sbagliato dire che parlasse di decrescita, il termine più corretto “austerità”. Nel gennaio del 1977, il segretario del PCI tenne un discorso al Convegno degli intellettuali di Roma, nel quale colpiva nel segno stimolando un cambiamento che lottasse contro gli sprechi, le ingiustizie, la corruzione e che portasse a una redistribuzione della ricchezza. Non è la definizione ufficiale di decrescita, ma poco ci manca.

“Nel 1977 Berlinguer parlava di austerità e sottolineava la necessità di sviluppare una maggiore consapevolezza rispetto ai nostri consumi e a quello che produciamo – aggiunge Valerio Calzolaio. Nel 1979 il suo ragionamento fa un ulteriore passo in avanti, sviluppando anche un discorso sull’ambiente, pur non essendo un ecologista”.

Sul sol dell’avvenire oggi discutono più gli scienziati che i comunisti: infatti uno degli orizzonti più ricchi che si può aprire per l’uomo nasce proprio dalle possibilità di una piena utilizzazione dell’energia solare Enrico Berlinguer, 1983

Il punto d’incontro tra chi protesta per il clima e chi vuole “decrescere” è quello di una maggiore attenzione verso i nostri comportamenti e di un maggior rispetto per il Pianeta che ci ospita. E forse impegnarsi per cause così alte e importanti per la nostra società può essere una risposta a quella corsa verso l’iper di cui ognuno di noi, almeno qualche volta, ha fatto esperienza.

“Avere un’identità politica è qualcosa che riguarda una parte della comunità – conclude Calzolaio – mentre quella di sviluppare un approccio ambientalista è un dovere di tutti , tutti dobbiamo essere sensibili all’impatto che abbiamo nel contesto in cui viviamo”.

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