SCIENZA E RICERCA
Deforestazione: l'impatto sulla biodiversità del suolo a livello globale
La deforestazione rappresenta una minaccia globale per la biodiversità del suolo e la sua capacità di fornire servizi ecosistemici. Tuttavia gli impatti associati sono ancora poco conosciuti. “Le foreste naturali sono come biciclette: gli ecosistemi trasformati in ambienti antropizzati sono pezzi separati e per questo non funzionano bene. Se i pezzi non sono collegati non sono funzionali”. Partendo da queste parole, con Augusto Zanella, docente di Botanica forestale al dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali - Tesaf dell'università di Padova, attualmente a Parigi dove insegna Ecologia del suolo, abbiamo approfondito un tema ancora poco esplorato ma ora al centro di una interessante sintesi globale pubblicata su Pnas, dal titolo Deforestation impacts soil biodiversity and ecosystem services worldwide. I ricercatori hanno generato un set di dati globali: 696 osservazioni in siti appaiati per studiare come la conversione delle foreste native in altri usi del suolo influisca sulle proprietà del suolo stesso, sulla biodiversità e sulle funzioni associate alla fornitura di molteplici servizi ecosistemici.
“Questo lavoro si concentra sulla biodiversità del suolo che, nel corso degli anni, è stata indagata meno rispetto ad altri tipi di biodiversità - spiega Zanella -. Si sono studiate prevalentemente le specie animali e vegetali che vivono in superficie, mentre il suolo è stato messo un po’ da parte. Ultimamente le cose stanno cambiando: grazie all'utilizzo di tecniche nuove e indagini sul DNA, la biodiversità del suolo è diventata una materia più accessibile, per la quale si è iniziato a definire un quadro generale. Prima di tutto è fondamentale capire che il suolo è all'origine della biodiversità nel suo insieme. Chiediamoci: dove e come è nato il primo ecosistema naturale? È nato da qualcosa che assomiglia al suolo, una brodaglia minerale arricchita di sostanza organica che ha generato le prime cellule e poi tutto ciò che conosciamo, dopo un lungo percorso evolutivo. Il suolo corrisponde a un punto di origine del mondo vivente”.
La conversione in piantagioni, pascoli e terreni coltivati ha portato a una maggiore diversità batterica e a comunità fungine più omogenee, dominate da patogeni e con una minore abbondanza di simbionti. Tali conversioni hanno comportato riduzioni significative dell'immagazzinamento del carbonio, del ciclo dei nutrienti e dei tassi funzionali del suolo legati alla decomposizione della materia organica, si legge nella ricerca. Le risposte della comunità microbica alla deforestazione, compresa la diversità batterica e fungina e i gruppi fungini, sono state regolate prevalentemente dalle variazioni del pH del suolo e del fosforo totale. Gli impatti sono maggiori nelle foreste tropicali: le foreste native più calde e umide sono particolarmente vulnerabili alla deforestazione. “Va innanzitutto sottolineato un aspetto importante che potrebbe sorprendere. Quando viene trasformato, o potremmo dire sconvolto, un ecosistema, l'effetto sulla biodiversità può anche essere positivo: aprendo una foresta, per esempio, lì arriveranno molte specie amanti della luce. Ma il numero di specie non è sempre un vantaggio, quello che conta è che la biodiversità si mantenga da sola nel tempo, altrimenti quella condizione positiva avrà i giorni contati. Il concetto di biodiversità è legato al concetto di funzionamento di un ecosistema: se viene rotto questo meccanismo, aumenta una biodiversità su cui poi dovrò lavorare molto affinché possa essere mantenuta. E questo comporta dei costi. Un ambiente più povero in termini di biodiversità non è sempre uno svantaggio: avrà più possibilità di mantenersi da solo, se funzionale. Certamente, però, più la biodiversità è elevata e funzionale, meglio è per l'ecosistema che, avendo a disposizione tante specie, riesce a fare fronte a più difficoltà di un ecosistema povero di specie”.
Nello studio si parla di biodiversità del suolo e servizi ecosistemici: quale la loro relazione? “Per servizio ecosistemico si intende ciò che l’essere umano percepisce come un beneficio. Un esempio: quando l'acqua finisce in un suolo sano, subisce un processo di trasformazione che la rende più idonea al consumo, essa viene filtrata, le particelle organiche vengono fissate sulle particelle minerali e attaccate dai microrganismi che le degradano. Alcune molecole, potenzialmente pericolose per la salute, vengono bloccate o biodegradate. I meccanismi sono complessi, ma nell'insieme il suolo fornisce un servizio, ripulendo l'acqua. Inoltre, se in equilibrio, il suolo offre un servizio relativo alla stabilità dei versanti, oltre a garantire la vita alle piante che sostiene. Questi sono due servizi che presuppongono un suolo in salute, funzionale e biodiverso. Se l'azione degli umani sul suolo diminuisce la sua biodiversità, per ricaduta, si riducono anche i servizi ecosistemici che il suolo produce. Per filtrare l'acqua, per esempio, il suolo deve avere dei pori che sono prodotti dagli animali e dai microrganismi che lo abitano. Se uccidiamo i lombrichi con gli erbicidi, questi non fabbricheranno più le gallerie in cui va a circolare l'acqua. Nell'ambito della deforestazione globale il fenomeno della diminuzione della biodiversità avviene su ampia scala”.
In questo lavoro ci si concentra anche sullo stoccaggio del carbonio. “Un argomento di attualità perché è collegato al cambiamento climatico. L'energia del sole viene trasformata dalle piante in sostanza organica che, a sua volta, finisce nel suolo e serve da alimento per tutti gli animali: questo è un servizio ecosistemico, perché gli animali e i batteri del suolo miscelano la sostanza organica con quella minerale e ne fanno degli aggregati che vanno dai decimi di millimetro a qualche centimetro. Sono grumi funzionali fatti di sostanza organica e minerale tenuta insieme da ponti di acqua e cationi che nutrono il resto dell'ecosistema attraverso scambi a livello di rizosfera (la parte di suolo che sta intorno alle radici). Questo riguarda l'alimentazione dei viventi, ma non è tutto. Questi aggregati sono per composizione impermeabili: se si versa acqua su un suolo, questa passa nei pori che ci sono tra i grumi, non rompe l'aggregato e il suolo rimane inalterato”.
Se invece si elimina la sostanza organica, cosa accade? “Gli animali del suolo che mangiano la sostanza organica diventano meno numerosi. I grumi che essi costruiscono sono meno ricchi di sostanza organica e meno amalgamati rispetto a quando il suolo era più vivo e, così, con la pioggia, si disaggregano: l'acqua riesce allora a prendere questo suolo liberato -non più in grumi impermeabili- e a portarlo via in un processo chiamato erosione. In un suolo sano e biodiverso, quando piove non cambia niente, anzi: più sono i grumi, più sono i pori e più il suolo mantiene l'acqua al suo interno, come in una spugna viva. Se si distrugge la struttura in grumi, il suolo disaggregato se ne va e ci si ritrova con la roccia nuda”. E Zanella continua: “C'è un'altra cosa da dire: con la deforestazione la sostanza organica del suolo si ossida, tirando via la vegetazione scopriamo il suolo, il quale perde la protezione contro gli agenti atmosferici diretti: l'ossigeno dell'aria entra nei pori del suolo e reagisce con carbonio che costituisce il 50% della sostanza organica. Quest'ultima viene bruciata, si ossida e, finisce nell'aria come CO2, provocando l'effetto serra. È quello che è successo con l'agricoltura. Quando abbiamo eliminato le foreste, per convertirle in campi coltivati, abbiamo utilizzato l'aratro, attrezzo che apre il suolo e lo scompone in blocchi, aumentando così la superficie di suolo in contatto con l'aria. È questo un modo per estrarre gli alimenti, che la sostanza organica contiene, e nutrire le piante coltivate. Funziona, ma c'è un rovescio della medaglia: la sostanza organica viene ossigenata e il suo carbonio finisce nell'aria. Gli esseri umani hanno visto crescere meglio le colture e hanno potuto nutrire una popolazione in crescita esponenziale. Non ci siamo però accorti che, portando via le piante coltivate e perdendo il carbonio del suolo, causavamo un impoverimento generalizzato dei suoli agricoli. Inoltre, per aumentare la produzione, abbiamo utilizzato insetticidi ed erbicidi, eliminando così la fauna del suolo che invece tratteneva il carbonio formando gli aggregati del suolo. Diminuendo drasticamente il numero di lombrichi, il suolo coltivato è passato dal 5-7% di sostanza organica a un 1-2% in pochi decenni, con conseguenze disastrose sui servizi ecosistemici e sulla fertilità del suolo. Per questo motivo oggi si fa più attenzione, si utilizzano meno pesticidi, che una volta venivano chiamati fitofarmaci, e si cerca di ripristinare la fauna e la sostanza organica del suolo con tecniche di compostaggio e di rotazione delle colture”.
Il picco di deforestazione quando è stato raggiunto? “Oggi, nel mondo, contiamo una superficie forestale quasi dimezzata rispetto all'originale superficie. Siamo passati da 6 a 3-4 miliardi di ettari di foresta. L'incertezza del dato dipende dalla definizione di foresta. Per gli esperti FAO, una foresta è una superficie di oltre 0,5 ettari, con alberi più alti di cinque metri e una copertura superiore al 10%, o alberi in grado di raggiungere queste soglie in situ. Non comprende terreni prevalentemente agricoli o uso del territorio urbano. Con questa definizione il nostro pianeta conserverebbe due terzi delle foreste originali. La metà delle foreste che ci rimangono è ancora relativamente naturale e poco intaccata dall'uomo, un terzo delle foreste originali. Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale la deforestazione non era considerata in generale un atto con gravi conseguenze. Cercando un picco nella deforestazione, andrei agli anni Settanta. A partire dagli anni Ottanta, la consapevolezza del valore delle foreste per l'equilibrio del pianeta e per l'umanità si è fatta sentire a livello di scelte politiche”.
Quali sono le tappe di avvicinamento a una coscienza forestale? “La pubblicazione di Silent Spring di Rachel Carson nel 1962, che vinse un processo storico abolendo l'uso del DDT, la prima Giornata della Terra del 22 aprile 1970, il Rapporto Brundtland, ufficialmente intitolato Il nostro futuro comune, pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo presieduta da Gro Harlem Brundtland, ex primo ministro norvegese. Tale commissione è stata istituita dalle Nazioni Unite nel 1983 per affrontare le urgenti sfide ambientali e di sviluppo che il mondo si trova ad affrontare. E ancora, il Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992, che ha portato all'adozione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e della Convenzione sulla diversità biologica, entrambe su tema della deforestazione. Greenpeace, il WWF e il Rainforest Action Network hanno acquisito importanza negli anni Novanta e Duemila, le Nazioni Unite hanno adottato gli Obiettivi di sviluppo sostenibile nel 2015, che includono l'Obiettivo 15, intitolato La vita sulla terra, che mira a proteggere, ripristinare e promuovere la sostenibilità e l'utilizzo degli ecosistemi terrestri, comprese le foreste. Ciò ha fornito un rinnovato impegno globale nella lotta alla deforestazione”.
Qual è oggi la sensibilità collettiva? Quali le azioni richieste per arrivare a pratiche più consapevoli? “In questi ultimi dieci anni le aziende hanno dovuto far fronte alla pressione di consumatori, investitori e ONG per l'adozione di pratiche sostenibili tra cui l'eliminazione della deforestazione dalle loro catene di approvvigionamento. Ciò ha portato a impegni come quelli a deforestazione zero e allo sviluppo di schemi di certificazione come la Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile e il Forest Stewardship Council (FSC), organizzazione internazionale senza scopo di lucro fondata nel 1993 per promuovere la gestione responsabile delle foreste mondiali. Essa gestisce un sistema di certificazione che verifica le foreste e i prodotti forestali sulla base di rigorosi criteri ambientali, sociali ed economici. Il sistema di certificazione garantisce ai consumatori che il legno e i prodotti a base di legno provengono da foreste gestite in modo responsabile che soddisfano rigorosi standard di sostenibilità e pratiche etiche: è volontaria e può applicarsi a vari tipi di operazioni di gestione forestale, comprese foreste naturali, piantagioni e sistemi agroforestali. I prodotti derivati da foreste certificate, come legname, carta, mobili e materiali da imballaggio, possono recare l'etichetta FSC, indicando ai consumatori che provengono da fonti ambientalmente e socialmente responsabili”.
“Anche il governo brasiliano sta iniziando a considerare seriamente la foresta tropicale come una risorsa di biodiversità, con ricadute economiche superiori nel lungo periodo rispetto all'agricoltura o all'allevamento intensivi. Alcuni stati africani preferiscono ormai puntare sul turismo e sulla gestione di riserve biologiche per sostenere lo sviluppo economico dei Paesi, perché hanno capito che si tratta di un vantaggio economico più duraturo, più razionale e più sano rispetto alle precedenti forme di sfruttamento a discapito della foresta. Tutto questo lascia sperare in un futuro migliore per le foreste. Peccato che proprio in questi giorni si assista all'esplosione di guerre che pensavamo ormai relegate al passato dell'umanità civilizzata, e che hanno riacceso l'industria degli armamenti. Cifre da capogiro che vengono utilizzate per costruire strumenti di distruzione, invece di incentivare lo sviluppo socio-economico dei Paesi più poveri, aiutare le persone in difficoltà che sono tante anche nei Paesi ricchi, e contrastare il pericolo comune del riscaldamento climatico”.