SCIENZA E RICERCA

Demolizione del ponte Morandi: una “decisione dettata dall’emotività”

Il crollo del ponte Morandi è uno di quegli avvenimenti che rimarrà impresso nella memoria collettiva. Anche quando del ponte non sarà rimasta più alcuna traccia. Sono le 11.36 del 14 agosto 2018, quando un boato squarcia la città di Genova. Cede la porzione del ponte che sovrasta la zona fluviale e industriale di Sampierdarena e trascina con sé il pilone occidentale di sostegno. Le vittime sono 43. Da allora sono trascorsi sette mesi e in questo momento è in corso la demolizione integrale dell’infrastruttura, che peraltro ha subito rallentamenti a causa di una supposta presenza di amianto. Una decisione univoca e ponderata quella di ricostruire il ponte ex novo? Univoca non proprio, se si considera che in molti, tra ingegneri, architetti e tecnici, nei mesi scorsi hanno firmato una petizione per chiedere di valutare soluzioni alternative alla demolizione e ricostruzione del ponte.

Riprese e montaggio di Elisa Speronello

“La demolizione del ponte sul Polcevera, il cosiddetto ponte Morandi – osserva Carlo Pellegrino, direttore del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova – è stata una decisione dettata probabilmente dall’emotività del momento che non ha preso in considerazione l’opportunità di svolgere un’indagine strutturale sugli elementi che costituiscono la parte del ponte rimasta in piedi. Dobbiamo tener presente infatti che è crollata una porzione di circa 200 metri, mentre è rimasto in piedi circa un chilometro della struttura, se si fa riferimento alla lunghezza dell’intero attraversamento. Un’indagine strutturale avrebbe potuto fornire degli elementi per valutare lo stato di condizione della struttura, l’avanzamento del degrado e l’adeguatezza del ponte anche rispetto alle normative attuali”. E continua: “Sulla base dei risultati dell’indagine si poteva stabilire, a quel punto con degli elementi tecnici, se effettivamente era necessario demolire il manufatto oppure se si poteva procedere con degli interventi strutturali di ripristino o di rinforzo o di adeguamento che avrebbero avuto tutta una serie di vantaggi”.

Un’indagine strutturale avrebbe potuto fornire degli elementi per valutare lo stato di condizione della struttura, l’avanzamento del degrado e l’adeguatezza del ponte anche rispetto alle normative attuali Carlo Pellegrino

Questa seconda ipotesi, secondo il docente, avrebbe innanzitutto ridotto i tempi di ripristino del traffico, aspetto da non sottovalutare per una città come Genova. Il ponte infatti è il principale asse stradale tra il centro-levante della città, il porto container di Voltri-Prà, l’aeroporto Cristoforo Colombo e le aree industriali della zona genovese. Oltre a essere un’infrastruttura strategica per il collegamento viabilistico tra il nord Italia e il sud della Francia. In secondo luogo pensare al ripristino e al rinforzo, anziché alla ricostruzione ex novo, avrebbe permesso di conservare un’opera che ha segnato la storia dell’ingegneria italiana, all’avanguardia per l’ingegneria strutturale nel periodo in cui è stata costruita. Lungo 1.182 metri, il ponte sul torrente Polcevera viene costruito tra gli anni 1963 e 1967 su progetto di Riccardo Morandi, ingegnere italiano di fama internazionale che dagli anni Cinquanta in poi realizza tutta una serie di ponti ad arco e a travata in Italia e all’estero, tra cui il ponte della Vella a Sulmona, il viadotto della Fiumarella a Catanzaro o il ponte sul fiume Storms a port Elisabeth in Sud Africa, la prima opera costruita oltreconfine. Poi si arriva ai ponti strallati omogeneizzati in cemento armato come il ponte di Maracaibo in Venezuela e, appunto, il ponte Morandi.

Intervenire sull’esistente, anziché optare per la ricostruzione completa del ponte, avrebbe permesso dunque di conservare memoria storica di questo periodo. Non da ultimo, avrebbe anche potuto evitare lo smaltimento di tonnellate di calcestruzzo che ha un costo ambientale molto elevato.  “La rimozione e lo smaltimento delle macerie è un problema molto serio, tanto più che pare stia emergendo la presenza di materiali pericolosi nel calcestruzzo che complicano ulteriormente le operazioni di smaltimento e aumentano il costo ambientale”.  

Sulla base di quanto è successo è necessario che gli enti gestori – e molti si stanno già muovendo in questo senso – programmino una campagna di indagine che preveda la catalogazione e la valutazione dello stato di condizione di tutti i manufatti che hanno in gestione. Non ha senso estendere le considerazioni valide per il ponte Morandi ad altre infrastrutture, perché il Morandi ha caratteristiche proprie. “Una volta condotta la campagna di indagine, si potrà procedere con la programmazione di una campagna di intervento che consenta di mettere in sicurezza tutti i manufatti che ogni ente gestore ha in carico stabilendo un certo ordine di priorità”.

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