SOCIETÀ

Il difficile anniversario della Pacem in Terris

La scelta definitiva per la pace contro ogni dottrina della “guerra giusta”, ma anche a favore dei diritti e della democrazia, superando definitivamente il Sillabo di Pio IX. L’importanza della Pacem in terris, l’ultima enciclica Giovanni XXIII e tra i documenti più importanti del suo pontificato, non è limitata alla Chiesa Cattolica: parla ancora al mondo di oggi, funestato dalla guerra e in cui le democrazie appaiono sempre più affaticate rispetto a dittature e nazionalismi. Per questo qualche mese fa Mario Bertolissi, professore emerito di diritto costituzionale presso l’Università di Padova, ha avuto l’idea di tornare a riflettere su di esso chiamando a raccolta un gruppo di colleghi.

Il risultato è il volume da poco pubblicato da Jovene Lettera enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris. Costituzioni e Carte dei diritti (Napoli 2023), che raccoglie 37 interventi di studiosi che vanno dal diritto alla sociologia, passando per l’analisi storica: una riflessione a più voci ma sorprendentemente coerente, profonda e quanto mai opportuna, messa insieme in pochi mesi come se si avvertisse l’esigenza dover colmare un vuoto. L’anniversario dell’enciclica infatti è passato abbastanza sotto traccia, senza che forse si percepisse adeguatamente l’importanza di quello che Giorgio la Pira definì il “manifesto del nuovo mondo”. In essa non ci si limita infatti ad auspicare la pace ma viene delineato, per usare le parole di Bertolissi, “un compendio di diritto che indica le regole di una convivenza ispirata al bene comune, dove ogni persona va rispettata nella sua dignità”.

Nella Pacem in Terris, pubblicata sei mesi dopo la crisi dei missili di Cuba, per la prima volta il papa oltre che ai credenti si rivolge a “tutti gli uomini di buona volontà”, con un linguaggio contemporaneo capace di fare breccia anche nei leader delle due superpotenze, Kennedy e Kruscev, arrivati a un passo dalla guerra nucleare. Un testo che ancora oggi, a 60 anni dalla sua pubblicazione, mantiene tutta la sua tragica attualità, in un mondo che con i conflitti in Ucraina e in Terra Santa si trova di nuovo sospeso sull’incubo atomico.

Pur trattandosi apparentemente di un messaggio rivolto alle nazioni e ai loro governanti, l’enciclica inizia con l’elenco dettagliato dei diritti e di doveri in capo a ogni essere umano, sulla base del principio che non può esserci pace vera senza giustizia ed equità. Recita ad esempio il punto 6 che “ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario, l’abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari; ed ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”. Spiega il punto 10 come vada “inoltre e in modo speciale messo in rilievo il diritto a una retribuzione del lavoro determinata secondo i criteri di giustizia, e quindi sufficiente, nelle proporzioni rispondenti alla ricchezza disponibile, a permettere al lavoratore e alla sua famiglia, un tenore di vita conforme alla dignità umana”. Si ricorda poi, forse sull’esempio della Costituzione della Repubblica Italiana (in particolare all’art. 42), “che al diritto di proprietà privata è intrinsecamente inerente una funzione sociale”.

I punti 21-25 sono dedicati ai famosi Segni dei tempi, ovvero fenomeni che secondo papa Roncalli caratterizzerebbero l’epoca moderna: “l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici”, “l’ingresso della donna nella vita pubblica” e “la profonda trasformazione indotta dai processi di emancipazione dei popoli in precedenza sottoposti al dominio coloniale”, ai quali si aggiunge al punto 75 l’Organizzazione della Nazioni Unite, nata nel 1945 con “il fine essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme cooperazione in tutti i settori della convivenza”. La Chiesa cattolica, nelle parole del romano pontefice, smette dunque un atteggiamento di condanna e si pone in ascolto della modernità, come se questa potesse dal suo punto di vista contenere frammenti inconsapevoli di un Vangelo ancora da riconoscere e sviluppare: approccio che oggi trova un autorevolissimo seguito nel magistero di papa Francesco, ad esempio con la scelta radicale per i poveri e per la salvaguardia dell’ambiente.


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Un testo dalla forte carica profetica, anche se concepito – sottolinea Alberto Melloni, storico del cristianesimo e autore della prefazione del volume – da uno dei maggiori diplomatici del Novecento, che sotto un’apparenza bonaria sapeva districarsi egregiamente in contesti tanto diversi come l’Impero Ottomano e la Francia della quarta repubblica. «La pace è essenzialmente un filo sottile per ricucire le ferite del mondo, trovando di volta in volta una capacità di iniziativa che Francesco ha dimostrato ‘inventando’ la missione per la pace del cardinale Matteo Zuppi in Ucraina in Russia, Stati Uniti e Cina”, spiega Melloni a Il Bo Live.

“Ognuno di noi può farsi un’idea di cosa resti dei timori e delle speranze che nutrivano i pensieri e le azioni di uomini e donne ‘di buona volontà’ sei decenni or sono – conclude nel suo saggio Marco Almagisti, politologo e docente di scienza politica all’università di Padova –. Il Novecento è alle nostre spalle e il nuovo secolo non pare meno assetato di sangue del precedente o un minor generatore di inquietudine riguardo al futuro. Sembrano mancare, alle volte, parole in grado di suscitare ragionevole speranza. Proprio per questo l’Enciclica Pacem in terris è così preziosa. Per la nettezza con cui ribadisce i valori sui quali abbiamo riedificato la nostra civiltà dopo la notte della sua ultima implosione. Come un testo classico, non è stata scritta per noi oggi, ma oggi a noi parla ancora. Molto forte e chiaro”.

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