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Più di 70 milioni di anni fa, almeno sette specie di dinosauri nidificavano in Alaska. Proprio come fanno oggi centinaia di specie di uccelli, migratori e non. Scavando nel fiume Colville, nella Prince Creek Formation, un team di paleontologi dell’università dell’Alaska Fairbanks e dell’università della Florida ha portato alla luce centinaia di minuscoli reperti, appartenenti a piccoli dinosauri appena nati o ancora nell’uovo. Una scoperta, questa, che fornisce una “prova regina” a favore dell’ipotesi secondo cui i dinosauri sarebbero stati animali a sangue caldo, come si legge su Current Biology.
La Prince Creek Formation, nel nord dell’Alaska settentrionale, è una formazione geologica che sin dalla metà degli anni Quaranta ha dimostrato di essere un crogiuolo di meraviglie. Qui sono stati ritrovati i resti di ben 13 specie di dinosauri, come il Nanuqsaurus hoglundi, cugino del più famoso Tyrannosaurus rex; i Troodongiganti, anche loro predatori; o gli erbivori Pachyrhinosaurus perotorum e Alaskacephale gangloffi. Ed è dunque da diversi decenni che sappiamo che i dinosauri vivevano anche a latitudini elevate, almeno in estate. Ma fino ad ora nessuno aveva trovato prove di una nidificazione.
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Il team di paleontologi guidati da Patrick Druckenmiller lavora da trent’anni sulla Prince Creek Formation. Ma solo nell’ultimo decennio ha cominciato a setacciare palmo a palmo il letto e i pendii incisi nella roccia dal fiume Colville, che nasce sui monti Brooks e dopo 563 chilometri si getta nel mare di Beaufort. Il Colville è ghiacciato per la maggior parte dell’anno, a queste latitudini ci sono diversi mesi di buio e le scogliere sono soggette a crolli: non è facile insomma condurre campagne di scavo qui. Ma gli sforzi e la pazienza sono stati ripagati.
Meticolosi come cercatori d’oro, gli scienziati hanno passato letteralmente al setaccio ogni campione roccioso, portando alla luce così centinaia di microfossili: vertebre, altre ossa e denti minuscoli, tutti poco più grandi di una testa di spillo. Resti perinatali – cioè appartenenti a individui appena nati o addirittura ancora nell’uovo – di almeno sette specie di dinosauri. In questa “culla” preistorica c’erano resti di piccoli di adrosauridi (i dinosauri a becco d’anatra) come Ugrunaaluk kuukpikensis e Edmontosaurus regalis, che sarebbero diventati giganteschi erbivori; di leptoceratopsidi e del ceratopside Pachyrhinosaurus perotorum; e poi cuccioli di specie carnivore come dromeosauridi, troodontidi, e tirannosauri come il Nanuqsaurus.
Insomma, nell’Alaska di oggi, 70 milioni di anni fa, nascevano i dinosauri di almeno sette specie. Una volta accertata la cosa, però, i paleontologi si sono resi conto che in realtà, nonostante il freddo e lungo inverno artico, questi animali avrebbero trascorso tutta la loro vita in Alaska. E per un motivo molto semplice: non avrebbero avuto tempo a sufficienza per crescere la prole e intraprendere una migrazione autunnale verso climi più miti. E qui dobbiamo fare un passo indietro.
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All’epoca, nel Mesozoico, non c’erano calotte polari come oggi, ma gli inverni artici comprendevano comunque quattro mesi di totale oscurità, temperature gelide, neve e poca vegetazione fresca. In Alaska, 70 milioni di anni fa, la temperatura media annuale si aggirava intorno ai 6°C e nei quattro mesi invernali si poteva arrivare a condizioni di congelamento. E proprio per il clima invernale così rigido, si è sempre pensato che la permanenza così a nord dei dinosauri – da sempre considerati a sangue freddo – fosse limitata solo ad alcuni periodi dell’anno: all’estate, quando i dinosauri avrebbero goduto di luce 24 ore su 24, di un clima mite e di vegetazione abbondante per crescere la prole. Poi, al sopraggiungere dell’inverno, i dinosauri si sarebbero spostati verso sud intraprendendo viaggi anche di 3.200 km, per trascorrere l’inverno a 30° di latitudine in meno. Mentre in primavera sarebbero poi tornati in Artico per riprodursi: viaggi che ricordano da vicino le attuali migrazioni degli uccelli.
Tuttavia in una precedente ricerca, Gregory Erickson, paleontologo dell’università della Florida e coautore dello studio, ha calcolato che il periodo di incubazione per queste specie di dinosauri varia dai tre ai sei mesi. E poiché le estati artiche sono brevi, anche se i dinosauri avessero deposto le uova in primavera, la loro prole sarebbe stata troppo giovane e debole per affrontare una migrazione.
Così, secondo gli autori, il ritrovamento di centinaia di resti perinatali e i calcoli sul periodo necessario ai nuovi nati per crescere, mettono definitivamente in crisi l’ipotesi migratoria. «I piccoli sarebbero nati troppo a ridosso dell’inverno artico e non sarebbero certo stati in grado di affrontare una lunga migrazione» spiega Patrick Druckenmiller, primo autore dello studio. E dunque, dinosauri sarebbero rimasti sempre in Alaska, anche durante il rigido inverno. «Forse i più piccoli andavano in letargo per superare l’inverno, mentre altri vivevano di foraggio di scarsa qualità, proprio come fanno le alci oggi» ipotizza Druckenmiller, dando credito a una seconda teoria già nota alla comunità internazionale di paleontologi.
Il nocciolo della questione però resta un altro: come riuscivano a sopravvivere all’inverno i dinosauri se erano animali a sangue freddo? Nella Prince Creek Formation sono stati trovati fossili di animali a sangue caldo, ma nessun serpente, rane o tartarughe: animali a sangue freddo, comuni a latitudini più basse. Questo studio va quindi dritto al cuore di una delle domande più spinose per i paleontologi: i dinosauri erano animali a sangue caldo o a sangue freddo? Druckemiller e i suoi collaboratori non hanno dubbi: «L’endotermia – cioè la capacità di produrre calore ndr. – è stata la chiave della sopravvivenza dei dinosauri in climi così rigidi». Avvalorano così l’idea secondo cui i dinosauri sarebbero stati animali a sangue caldo, proprio come i loro attuali discendenti: gli uccelli.
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