SOCIETÀ

Le disuguaglianze di salute nell'intreccio tra biografia e biologia

Dopo la tempesta dovuta all’impatto della pandemia, l’aspettativa di vita a livello globale è tornata lentamente a salire proseguendo su quel cammino che in due secoli ha portato gli abitanti di tutte le regioni del mondo a vedere raddoppiata la propria speranza di vita alla nascita. Un bambino nato nel 1800 in qualsiasi parte del globo era fortunato se superava i 40 anni. Oggi i dati dell’Oms ci dicono che l'aspettativa di vita alla nascita della popolazione mondiale è arrivata a superare i 72 anni e, sebbene continuino ad esserci disparità tra paesi ricchi e poveri, a partire dal 1950 questo divario ha cominciato a ridursi.

La longevità e la possibilità di poter godere di buona salute anche in età avanzata non sono però uguali per tutti. Ad influenzarle, oltre ad aspetti legati al patrimonio genetico e ai comportamenti che fanno parte di quello che chiamiamo “stile di vita”, sono infatti anche cause sociali che agiscono attraverso processi molto più complessi di quanto non si tenda a pensare. Spesso poniamo infatti l’accento sugli specifici fattori di rischio che predispongono all’insorgenza di una patologia, il classico esempio è quello del fumo e del cancro al polmone, ma così facendo rischiamo di inquadrare solo il peso dei comportamenti individuali, senza riuscire quindi a cogliere l’impatto dei fattori riconducibili più al contesto sociale che alle scelte o alle azioni del singolo.

Ad indagare in modo dettagliato come la mortalità e il peso di disabilità e malattie siano strettamente legate ai nostri percorsi biografici, in termini di condizioni economiche, sociali e culturali, è il libro “Il capitale biologico. Le conseguenze sulla salute delle diseguaglianze sociali”, scritto da Paolo Vineis, epidemiologo ambientale all'Imperial College di Londra, insieme al giornalista scientifico Luca Carra e pubblicato di recente per Codice edizioni.

Mosso dall’intento di stimolare una più ampia collaborazione tra le scienze naturali e le scienze sociali, il libro adotta un approccio misto e mette efficacemente in evidenza i meccanismi molecolari attraverso i quali le disuguaglianze nelle condizioni di vita si traducono in svantaggi in termini di salute. Gli autori utilizzano i concetti, introdotti dal sociologo Pierre Bordieu, di capitale sociale, economico e culturale, e la sua idea di habitus per spiegare come il reddito, l’istruzione, le reti di relazioni e le componenti informali che differenziano le classi sociali siano tra loro interconnessi e come i rischi individuali tendano ad essere potenziati dal contesto, come trovarsi a vivere in quartieri marginalizzati o essere sottoposti a forti stress in ambito lavorativo.

Sotto questo profilo Vineis e Carra citano il lavoro condotto da Michel Marmot, epidemiologo britannico che con gli studi longitudinali di Whitehall è stato tra i primi a mostrare l’esistenza di una forte correlazione tra la posizione gerarchica a livello occupazionale e i tassi di mortalità per varie malattie. Il risultato sorprendente di questi studi fu da un lato che, per dirla con le parole degli autori, “cadeva il mito secondo cui solo la povertà uccide anzitempo” e dall’altro che “contrariamente a quanto si pensava, risultò che non morivano prima i manager, per eccesso di stress”. A minacciare la salute non è quindi solo la povertà assoluta, ma anche una condizione di stress pisico-sociale più relativo al contesto in cui si vive, con annesse frustrazioni, senso di precarietà e insoddisfazione rispetto al mancato raggiungimento di traguardi che l’elevata competizione delle società occidentali pone sempre più in alto.

Gli studi guidati da Marmot (che sono tuttora in corso) si concentrano sul personale della pubblica amministrazione londinese ma hanno portato a riflessioni che risultano certamente valide anche per altri Paesi e per altri ambiti professionali. Secondo l’epidemiologo, nominato Sir dalla Regina nel 2000 per le sue ricerche, la chiave più importante delle disuguaglianza di salute è la sensazione di controllo sulla propria vita e il proprio lavoro. “Chi riveste incarichi inferiori nella gerarchia lavorativa deve svolgere certi compiti senza poter pienamente capire a cosa servono e senza poterli controllare in autonomia. Al contrario chi sta al vertice della gerarchia è sottoposto a una domande altrettanto (se non più) alta, ma può esercitare un maggiore controllo sul proprio lavoro”, spiega Marmot. Il risultato, osserva lo stesso epidemiologo, è che ogni due fermate di metropolitana, spostandosi dal centro alle aree suburbane, la speranza di vita della popolazione locale diminuisce di un anno.

Particolarmente significativi, da questo punto di vista, sono anche gli studi condotti dai ricercatori del progetto europeo Lifepath e guidati dallo stesso Paolo Vineis, che hanno dimostrato come la posizione socioeconomica determini lo stato di salute in modo diretto, proprio come il fumo o l’alta pressione del sangue.

Il saggio di Vineis e Carra, pur partendo da definizioni che in alcuni casi possono sembrare datate, si dimostra particolarmente capace di cogliere le specificità della società attuale nelle sezioni in cui indaga le trasformazioni che hanno investito l’organizzazione del lavoro, gli impatti della crisi economica del 2008 e l’effetto della globalizzazione che da un lato ha ridotto la forbice tra i Paesi, ma dall’altro ha accentuato le disuguaglianze all’interno delle singole società, soprattutto dove, come negli Stati Uniti, non sono tradizionalmente presenti forme di welfare capaci di attenuare le difficoltà delle fasce più deboli della popolazione.

Ma attraverso quali meccanismi le disuguaglianze agiscono a livello biologico, peggiorando lo stato di salute e facilitando la comparsa di malattie? Un concetto chiave, osservano gli autori, è quello di sovraccarico allostatico, termine che fa riferimento a una misura delle reazioni del corpo a stress multipli a cui sono sottoposte le persone (soprattutto quelle più svantaggiate). E’, in sintesi, una risposta adattativa che oltre certi limiti rappresenta però un prezzo pagato dal corpo in termini di salute. Gli indicatori con cui viene misurato sono diversi e includono specifici marcatori biochimici di infiammazione, tenendo sempre in considerazione anche il peso delle esperienze vissute durante l’infanzia e addirittura nella vita intrauterina.

Meccanismi simili accadono con l'analisi degli gli orologi biologici che consentono di comprendere, grazie allo studio delle modificazioni nel funzionamento del DNA, se esiste uno scostamento tra età anagrafica ed età biologica. In altre parole è possibile capire se una l'organismo di una persona sta andando incontro a processi di logoramento in linea con l'avanzare degli anni oppure ad accelerazioni che possono predisporre allo sviluppo di patologie. E anche in questo caso si è visto che le persone appartenenti a una classe socioeconomica più bassa tendono ad andare incontro a processi di invecchiamento biologico più veloci.

“La lotteria dei geni influisce relativamente poco sui destini sociali delle persone, mentre ben più rilevanti sembrano essere i meccanismi epigenetici, ossia i meccanismi in virtù dei quali le circostanze ambientali e sociali sono in grado di modificare - tramite la metilazione e altri processi molecolari - il nostro stesso assetto genico”, scrivono Carra e Vineis, ricordando come “tutti gli studi condotti su gemelli identici e su popolazioni di immigrati costretti a cambiare stili di vita, alimentazione e organizzazione sociale (come i giapponesi immigrati negli Stati Uniti) mostrano come sia la dimensione sociale a modificare il corso della salute.

L'ultima parte del libro si focalizza su alcune delle misure che potrebbero essere attuate per ridurre queste disuguaglianze. Tra le principali indicazioni suggerite dagli autori c'è il fatto che molte differenze cominciano già dalla primissima infanzia e nella vita intrauterina. Il messaggio è quindi che la prima infanzia deve essere il più sana possibile e non esposta a traumi ed è dunque fondamentale garantire sostegno alle famiglie, soprattutto durante i periodi di recessione. Ogni fase della vita, sottolineano Carra e Vineis, richiede interventi diversi che tengano conto del contesto, dei tempi, dei legami intergenerazionali e delle opportunità di intervento. Quello che non va mai dimenticato è che "ormai si è capito che non è solo la povertà assoluta a rappresentare un rischio per la salute, ma è l'ampiezza stessa del gradiente sociale a modulare il benessere individuale e collettivo". 

Insomma gli stili di vita da soli (e la genetica) da soli non bastano a spiegare le disuguaglianze di salute. E le disparità hanno un peso rilevante anche quando appaiono più sfumate e non si traducono in condizioni di vita altamente precarie. Più sottili ma non per questo meno impattanti. E dunque da colmare per preservare quel capitale biologico (e umano) che va ad aggiungersi agli altri capitali definiti da Bordieu.

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