CULTURA

Da Donatello a Riccio, una mostra sulla scultura rinascimentale in terracotta

La Madonna scolpita dal Riccio è elegantissima, con la corona in testa sui capelli chiari, la veste rossa e un mantello azzurrissimo con borchie e fiori dorati. Il suo bambino Gesù non ne vuole proprio sapere di stare fermo sulle sue ginocchia, e fa una smorfia insofferente e capricciosa. La scultura del Riccio – soprannome dell’artista Andrea Briosco – è una delle molte opere della mostra “A nostra immagine. Sculture in terracotta del Rinascimento da Donatello a Riccio”, al Museo Diocesano di Padova, riaperto in questi giorni al pubblico dopo una settimana di chiusura dovuta all’emergenza sanitaria che ha colpito il Paese.

In mostra, ventuno sculture in terracotta raccontano un’epoca, fanno respirare il clima delle botteghe artistiche padovane tra fine Quattrocento e primo Cinquecento; disegnano il panorama di una devozione popolare diffusa che si soffermava a mani giunte di fronte a questi delicati e poetici manufatti, nelle chiese, sui capitelli, al chiuso di conventi, monasteri e luoghi privati.

Questa mostra è dunque l’omaggio a una materia povera e fragile, la terracotta, praticata e apprezzata nel mondo dell’arte antica, ma che durante il Medioevo aveva conosciuto un lungo periodo di oblio, relegata a semplice materiale da costruzione o per la produzione del vasellame. Fu soprattutto Donatello a decretarne una nuova diffusione nel corso del Quattrocento, non solo in Toscana ma anche nel territorio padovano. L’artista, infatti, nel 1443 aveva allestito una bottega proprio a Padova, all’ombra del cantiere della Basilica di Sant’Antonio; lì lavoravano suoi allievi giunti dalla Toscana, come Giovanni da Pisa e Francesco del Valente, e padovani, come Nicolò Pizolo e il giovanissimo Bartolomeo Bellano, vero continuatore del linguaggio donatelliano a Padova.

Il Riccio, dopo un apprendistato nella bottega orafa del padre, si era formato proprio nella bottega di Bartolomeo Bellano, e poi in quella di Giovanni de Fondulis, artista recentemente riconosciuto, grazie a una serie di attribuzioni, come uno dei protagonisti della scultura padovana della seconda metà del Quattrocento. Ed è su tre opere di de Fondulis -  e sul Compianto su Cristo morto realizzato nell’ambito di Bartolomeo Bellano - che la terza edizione del progetto della Diocesi di Padova Mi sta a cuore si è focalizzata, attraverso il recupero e il restauro di alcune testimonianze in terracotta, sculture delicatissime ma di grande pregio. La mostra è dunque la naturale conclusione del progetto realizzato in collaborazione con l’Università di Padova e la Soprintendenza di Archeologia, belle arti e paesaggio.

Rita Deiana, direttrice del Centro interdipartimentale di ricerca, studio e conservazione dei Beni archeologici, architettonici e storico-artistici (Ciba) dell’Università di Padova, ha descritto per noi il ruolo centrale dell’Università di Padova per quanto riguarda la diagnostica, il rilievo, e la fruizione di alcune opere in mostra: “L’Ateneo, attraverso il Ciba, ha svolto la parte di diagnostica pre-restauro che ha accompagnato i restauratori; successivamente, le opere restaurate sono state presentate in mostra attraverso un apparato multimediale che consente di esplorare le opere, seguire le fasi di restauro e conoscere le tecnologie che sono state adottate”.

“Si tratta di opere straordinarie, fragili e complesse, la cui policromia è frutto di diversi interventi – osserva Giovanna Valenzano, prorettrice al patrimonio artistico Unipd -. Mediante l’analisi sui microcampioni di strati di colore è stato possibile stabilire il numero di ridipinture, definire il periodo storico degli interventi, capire la tecnica adottata per la finitura, e stabilire i pigmenti e i leganti utilizzati. A fianco a queste analisi di laboratorio, altre tecnologie, come il rilievo scanner a luce strutturata, la Tac, l’imaging multispettrale, la datazione al radiocarbonio e tecnologie avanzate per la fruizione dei Beni culturali, hanno consentito di acquisire il più alto grado di informazione possibile sulle opere in esame”.

Il Ciba, inoltre, ha svolto un ruolo importante nel rilievo dei manufatti, in particolare sul Compianto della chiesa di San Pietro a Padova, del quale ha anche riprodotto una parte in gesso, ora in mostra: “Questo modello consente l’esperienza tattile a tutti, anche a un pubblico non vedente, e permette così di apprezzare, anche al tocco, l’opera riprodotta nel reale del dopo-restauro” commenta Deiana. “Possiamo dunque affermare che quello dato dall’Università di Padova è un contributo ad ampio spettro: ha messo infatti in campo tutte le competenze che sono all’interno del Centro, da quelle più spiccatamente umanistiche del Dipartimento dei beni culturali, a quelle scientifico-tecniche dei dipartimenti di Geoscienze, di Scienze chimiche, di Ingegneria dell’informazione, che in questo caso hanno lavorato davvero in sinergia con la supervisione della Soprintendenza e con la direzione della Diocesi per portare questi risultati in mostra, in una sezione dedicata”.

La città di Padova, con la sua università, rende quindi omaggio alla grande eredità scultorea di Donatello e ai nuovi slanci artistici che ha prodotto nel Rinascimento padovano. Scientificità della ricerca, tecniche avanzate, studi storici e una curatela attenta hanno dato esito così a una mostra che racconta un percorso poetico, che spazia dalla tenerezza materna nelle Madonne con Bambino al grido di dolore nei compianti sul Cristo morto, in un percorso che va dalla vita alla morte, dalla gioia al dolore, ma che racchiude il senso dell’umano e del divino che c’è nell’uomo, “A nostra immagine”.

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