CULTURA

'La donna' e la lotta ai pregiudizi di fine ‘800

‘Parleremo dei doveri e dei diritti; la donna buona, saggia, onesta cittadina, laboriosa è lo impulso alla civilizzazione di un popolo: ambiziosa, vana, civetta, concorre a formare viziata la società’. Compiono 150 anni queste parole che, a firma della giovanissima Gualberta Alaide Beccari, aprivano il Programma del primo numero de la rivista La donna, il primo periodico redatto da sole donne fondato nel 1868 a Padova sotto la direzione dell’allora ventiseienne Beccari.

La padovana Gualberta Beccari nasce nel 1842 in una famiglia di patrioti. Il padre Girolamo Giacinto oltre che autore e traduttore, era anche direttore della Compagnia teatrale patavina dei Solerti dove recitava anche la madre Antonietta Gloria.

Quella di Gualberta è stata una vita molto tormentata.

Oltre a soffrire di problemi di salute, una malattia probabilmente di origine nervosa la costringeva a letto per mesi, ebbe anche grosse difficoltà economiche. La sua non era una famiglia agiata, ma la situazione peggiorò quando nel 1859, con lo scoppiare della seconda guerra d’indipendenza e il trasferimento in Emilia Romagna (territorio insorto), furono loro sequestrati tutti i beni dal governo austriaco. A Modena la giovane Gualberta cominciò a svolgere l’attività di segretaria per il padre, al servizio dell’esercito piemontese, ricoprendo con successo un ruolo pubblico non ‘consueto’, all'epoca, a una donna.

L’affinità agli ideali politici mazziniani assieme a un buon livello di cultura, risultato di una ricca formazione personale letteraria a cui l’aveva introdotta soprattutto il padre, contribuiscono a rendere questa giovane donna protagonista indiscussa della nascita del movimento d’emancipazione italiano.  “Le emancipazioniste sono come i garibaldini durante la terza guerra d’indipendenza” diceva Gualberta. Come questi non smettevano di combattere per l’Unità d’Italia senza arrendersi agli insuccessi, così loro combattevano per la libertà delle donne. Si avvia proprio in questi anni infatti, in Italia e all’estero, il movimento emancipazionista femminile (o primo femminismo) che si batte per la libertà e la piena cittadinanza delle donne.

Guarberta Alaide Beccari era il simbolo di quanto una donna possa essere uguale all’uomo in quello che fa, pensa e dice quando dotata di forza di volontà e soprattutto di una buona preparazione culturale.

Fin da piccola Gualberta sognava di diventare una giornalista per battersi in favore dei diritti delle donne (tra cui il diritto di voto e a essere votate) e per migliorarne la situazione sociale. Da qui la nascita de La donna, fondato con l’obiettivo concreto di educare e informare le donne, affrontando temi e problematiche diverse trattate non solo nella teoria ma anche nella pratica. Nelle pagine de La donna si parlava di arte e politica, divorzio e prostituzione, scienze e letteratura e per farlo veniva scelto di frequente lo scambio epistolare, strumento principe della comunicazione interpersonale dell’epoca. “Le formule epistolari utilizzate all’interno del giornale erano diverse, spiega Liviana Gazzetta docente e studiosa. Molte delle lettere che la Beccari, o le sue collaboratrici, amavano indirizzare a personalità diverse anche di grande rilievo politico e culturale o che sapevano essere rappresentanti di una determinata posizione, oggi possono essere considerati veri e propri interventi su temi anche molto complessi. Vi erano poi le lettere ‘più intime’ scambiate tra le socie, le sostenitrici, le amiche, le abbonate e la stessa direttrice in cui venivano forniti suggerimenti e consigli come la scuola migliore da frequentare o come reagire alle difficoltà anche lavorative. Il giornale raccoglieva infine anche quelle inviate dalle collaboratrici alla stessa Beccari, ma venivano pubblicati anche racconti, poesie, resoconti di interventi parlamentari, memorie di personalità defunte, petizioni, notizie di iniziative”.  

Il giornale, sostenuto attivamente anche economicamente dagli ambienti prima mazziniani e poi repubblicani dell’area emiliana, si rivolgeva a un pubblico mediamente colto anche straniero. In anni in cui in Italia il livello di analfabetismo era altissimo, La donna veniva letto anche all’estero, dalle donne che iniziavano in quegli anni a diventare insegnanti, educatrici, ispettrici scolastiche.

Fortemente convinta che il ruolo della donna dovesse essere centrale nella vita sociale di un paese per la formazione e l’educazione dei cittadini stessi, nelle pagine de La donna non mancavano gli annunci dei premi assegnati, dei concorsi vinti, dei diplomi e delle lauree conseguite a dimostrazione che le donne potevano considerarsi allo stesso livello degli uomini e che il loro rinnovamento morale  era necessario. Convinzioni che lei stessa rappresentava in prima persona occupandosi di temi, al tempo, prettamente maschili quali, ad esempio, la politica nazionale che raccontava e commentava nelle pagine del suo giornale non senza suscitare critiche e malumori da parte delle classe politica, degli ambienti religiosi e anche della stampa.

La donna è stato il principale organo del movimento femminista in Italia e all’estero; tra le sue collaboratrici richiamò figure come Rosa Piazza, Elena Ballio, Erminia Fuà Fusinato, oltre che le alcune libere pensatrici (intellettuali che esprimevano posizioni considerate all’epoca poco femminili) come Luisa Tosco, ma anche Giorgina Saffi, Anna Maria Mozzoni, Felicita Pozzoli, Irma Scodnik e altre ancora. 

Il giornale smette di uscire nel 1891 (nel frattempo la pubblicazione si era spostata, insieme alla stessa Beccari, prima a Venezia e poi a Bologna) a causa delle avverse condizioni economiche e di salute in cui si trovava Gualberta, ma anche e soprattutto perché lo stesso movimento delle donne in Italia e all’estero stava cambiando e lei faticava a riconoscersi in questa ‘nuova fase’. “Mentre agli inizi, e per lungo tempo, La donna era considerato il giornale femminista più importante, nonostante le sue posizioni radicali, – racconta Gazzetta - negli anni erano cresciute le realtà più moderate, era cresciuta la società italiana e le donne che si erano emancipate, pur non essendo emancipazioniste; e contemporaneamente era anche cresciuta una realtà inedita come il socialismo".

Gualberta Alaide Beccari muore povera e malata nel 1906 a Bologna.

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