CULTURA

Edith Bruck, la scrittrice scampata all'orrore della Shoah

Scrittrice, regista e sceneggiatrice, ma anche - e soprattutto - una sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti durante la II guerra mondiale: la storia e la figura di Edith Bruck, nata nel 1932 in Ungheria e deportata nel 1944 ad Auschwitz. Bruck sarà ospite a Padova l'11 e il 12 marzo in una due giorni di incontri.

Infanzia, deportazione e prigionia

Edith Steinschreiber Bruck è nata il 3 maggio 1932 a Tiszabercel, un piccolo villaggio contadino ungherese, in una numerosa famiglia ebrea. Nel marzo del 1944 Edith, con gran parte della sua famiglia, è prelevata dai gendarmi del Regno d’Ungheria, alleato della Germania nazista e dell’Italia fascista, e condotta prima nel ghetto ebraico del capoluogo e poi di lì, a maggio, deportata dai tedeschi con un treno merci nel lager di Auschwitz, dove sua madre e un fratello vengono subito avviati alle camere a gas e uccisi. Dopo alcune settimane, Edith e la sorella Adele vengono trasferite nei lager di Dachau (in Baviera), per poi tornare verso Nord, prima a Bergen-Belsen (in Bassa-Sassonia, a sud di Amburgo), poi a Christianstadt (nell’attuale Polonia) e infine, con una marcia a piedi durata cinque settimane, di nuovo a Bergen-Belsen, dove vengono liberate dalle truppe alleate anglo-canadesi il 15 aprile 1945.

Liberazione e peregrinazioni tra Europa e Israele

Ricoverate in ospedale e trasferite dopo un paio di mesi in un campo di transito nei dintorni, Edith e la sorella decidono di affrettare il ritorno in Ungheria, e

con mezzi di fortuna nel dicembre del’45 arrivano a Budapest, occupata dai sovietici, dove trovano la sorella Margo con cui raggiungono a Debrecen gli altri fratelli Lilie Ödön, apprendendo da quest’ultimo della morte del padre. Edith si trasferisce quindi in Cecoslovacchia, dove sposa un giovane ungherese, e poi con lui prima in Germania, e quindi (imbarcandosi a Marsiglia) in Israele, dove giunge nel settembre1948. Qui divorzia, si sposa una seconda volta e poi, per «pura forma», una terza e ultima, prima di abbandonare Israele nel 1952 per tornare in Europa dove, arrivata con l’intenzione di raggiungere una sorella trasferitasi in Argentina, vive per due anni facendo i mestieri più vari, dalla ballerina alla sarta, dalla modella alla cuoca, fino a giungere nel 1954 a Roma, dove lavora in un salone di bellezza.

L’ambiente culturale romano e la scelta di scrivere

Entrata in contatto con il vivace ambiente culturale romano, Edith Bruck conosce il poeta e regista milanese Nelo Risi, animato da un grande impegno letterario e civile, al quale si lega in un lungo sodalizio destinato a durare quasi sessant’anni: insieme i due frequentano scrittori, fra i quali Vittorini, Sereni, Montale, Morante, Moravia, Luzi, Ungaretti e Primo Levi, e registi quali Monicelli e Pontecorvo, per il quale Bruck fa da consulente sul set di Kapò (1960). Intanto Edith, che sull’esperienza nei lager aveva redatto anni prima alcuni appunti in ungherese poi perduti, ne riprende la narrazione scrivendo in italiano Chi ti ama così (1959), asciutta e potente relazione della sua vicenda fino alla partenza da Israele, seguita tre anni dopo dai racconti di Andremo in città, da cui si trarrà nel’66 l’omonimo film con Geraldine Chapline, Nino Castelnuovo, e con la sceneggiatura di Zavattini.

Edith Bruck scrittrice poliedrica

Negli anni successivi Bruck inizia la collaborazione con giornali quali il MessageroLa stampaIl Corriere della SeraNoi donne e Il Tempo, continuando insieme l’attività letteraria, con il romanzo Le sacre nozze (1969) e i racconti di Due stanze vuote (1974, con una presentazione di Primo Levi), in cui narra in terza persona e sotto mutate spoglie le emozioni di una visita compiuta nel suo villaggio natale. Alla scrittura narrativa affianca inoltre quella teatrale, con le pièces Sulla porta (1970), Mara,Maria,Marianna (1974, con Dacia Maraini e Maricla Boggio) e Per il tuo bene (1975), e di traduttrice da poeti ungheresi come Miklós Radnóti, Attila József e, a due mani con Risi, GyulaIllyés, fino all’esordio poetico con Il tatuaggio (1975, con presentazione di Giovanni Raboni), cui seguiranno In difesa del padre (1980) e più tardi Monologo(1990).

Edith Bruck sceneggiatrice e regista

Negli anni Settanta la Bruck inizia la sua trentennale collaborazione con la RAI ed esordisce anche alla regia cinematografica con Improvviso (1979), storia drammatica di un adolescente senza padre, di cui firma anche la sceneggiatura; l’esperimento prosegue con la direzione di Un altare per la madre (1986), film TV tratto dall’omonimo romanzo di Ferdinando Camon, di cui Bruck risentirà forse nella struggente Lettera alla madre (1988, Premio Rapallo Carige). Anche dal suo romanzo L’attrice (1995) Bruck avrebbe dovuto trarre un film, saltato a causa delle posizioni filopalestinesi della protagonista designata, Vanessa Redgrave, e del rifiuto della scrittrice di cambiare attrice.

Il dovere della testimonianza, il premio Viareggio e la morte di Nelo 

Negli anni successivi Bruck si dedica sempre di più alla testimonianza della sua esperienza concentrazionaria nelle scuole, attività dolorosa che è oggetto di riflessione in Signora Auschwitz. Il dono della parola(1999). Dieci anni dopo vince il premio Viareggio per il romanzo Quanta stella c’è nel cielo, trasfigurazione delle sue peripezie nei difficili anni postbellici in un’Europa ferita dalla guerra e ancora percorsa dall’antisemitismo, poi adattato da Faenza nel film Anita B. (2014).

Nel 2015 Nelo Risi, compagno di una vita, muore dopo una lunga e straziante malattia i cui dolorosi effetti Edith Bruck racconta nel dolce e delicato La rondine sul termosifone (2017), seguito da Versi vissuti. Poesie (1975-1990), in cui a cura di Michela Meschini, docente dell’università di Macerata, è raccolta tutta la sua opera poetica.

Nel 2018  riceve  la laurea  honoris causa  in Informazione,  Editoria e Giornalismo dall’Università di Roma Tre e nel 2019 partecipa alle celebrazioni del Quirinale per la Giornata della Memoria insieme al Presidente della Repubblica Sergio Matterella.

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