SCIENZA E RICERCA
Editing genetico del microbioma intestinale: nuove frontiere della ricerca
Ecosistema di batteri intestinali coltivato su una superficie colorata. Immagine di Nicola Fawcett
Il microbiota umano è l’insieme di microrganismi (soprattutto batteri e virus) che vivono in maniera fisiologica – e a volte patologica – nel corpo umano. Esso ha un ruolo fondamentale nel mantenimento del nostro stato di salute: influenza le nostre difese immunitarie, il nostro metabolismo e ha un ruolo primario anche nel contenimento dei patogeni. Grazie all’avanzamento degli studi genetici sul microbioma (termine che designa il patrimonio genetico del microbiota), si sta chiarendo la funzione centrale di questo amplissimo genoma come supporto per il genoma umano.
In un recente articolo pubblicato dalla rivista PNAS si traccia una panoramica di questi anni di studi approfonditi sul microbioma, e, soprattutto, si mostra la fecondità di questo ambito di ricerca: oggi, infatti, le conoscenze acquisite possono essere utilizzate per l’implementazione di innovative tecnologie per la cura delle molteplici condizioni patologiche che, come è stato dimostrato, sono legate al benessere del microbiota intestinale.
Iniziative di manipolazione del microbiota, come la tecnica del trapianto di microbiota attraverso le feci (FMT: Fecal Microbiota Transplant), implementata negli ultimi anni, hanno certamente un grande potenziale – ad esempio nella cura di infezioni intestinali croniche – ma nascondono anche alcune insidie: l’esito di queste operazioni, infatti, non è mai del tutto prevedibile, soprattutto nel lungo termine. Diverse controindicazioni sorgono anche nel caso dell’utilizzo di antibiotici per il trattamento di infezioni intestinali: questi, infatti, inibiscono non solo i patogeni, ma anche i batteri “buoni” che dunque non riescono più a svolgere le loro normali funzioni protettive.
La tecnica FMT spiegata in un video della John Hopkins Medicine
Per questo ci si è rivolti a nuove modalità di intervento: ad esempio, una tecnica di editing genetico (CRISPR-Cas3) che permette di attaccare selettivamente solo i batteri patogeni; oppure, la creazione di un ambiente sfavorevole ai patogeni attraverso la somministrazione di sostanze simil-antibiotiche che inibiscono solo alcuni microrganismi, permettendo così agli altri di moltiplicarsi e di occupare le nicchie biologiche dei batteri potenzialmente dannosi.
È chiaro che non si può sperare di sequenziare il genoma di ogni singola specie componente il microbiota; è necessario, piuttosto, puntare a conquistare una visione d’insieme il più possibile completa, in modo da poter intervenire rispettando gli equilibri interni di questa vasta e complessa popolazione. Per comprendere meglio le potenzialità e i rischi di queste nuove frontiere della ricerca medica ci siamo rivolti al professor Edoardo Savarino, docente di Gastroenterologia all’università di Padova.
Iniziamo da una domanda introduttiva: anni di ricerche hanno dimostrato la profondità del legame simbiotico che sussiste tra noi e la miriade di “microrganismi commensali” che popola il nostro intestino. Perché il microbiota intestinale è così importante per la salute umana?
“Il microbiota intestinale è costituito da 39 trilioni di cellule microbiche, contro i 30 trilioni di cellule che compongono l'intero corpo umano; dal punto di vista genico, inoltre, il microbiota conta da 2 a 12 milioni di geni, contro i soli 20.000 geni umani. Questi numeri, da soli, bastano a renderci consapevoli dell'importanza del microbiota intestinale e dell'effetto che può avere sulla salute umana.
Un altro dato essenziale, poi, consiste nel fatto che i geni delle nostre cellule contribuiscono solo per l'1% all'informazione genica presente e attiva nel nostro corpo: possiamo quindi asserire che le nostre funzioni vitali sono regolate soprattutto dalla genetica del microbiota intestinale e dal metabolismo degli organismi che lo compongono. Considerando questi numeri, è facile capire per quale motivo un microbiota sano sia essenziale per mantenere il nostro organismo in buona salute".
Alcuni studiosi sostengono che un intervento invasivo sul microbiota intestinale – come è, in parte, il FMT – comporti un alto fattore di rischio. Quali sono le principali differenze tra questo tipo di operazioni e le nuove tecniche di editing genetico del microbioma?
“L’editing genetico dà la possibilità di intervenire in modo mirato su una sequenza genica, e permette di inserire una nuova sequenza di “lettere” scambiandole con quelle originali. In questo modo è possibile, in un certo senso, riscrivere il DNA. Oggi, con l’introduzione di un metodo particolarmente efficiente, come CRISPR-Cas3, potrebbe essere addirittura possibile eliminare alcuni patogeni specifici o “riprogrammare” geneticamente alcune specie batteriche così da modificare o aggiungere una funzione metabolica potenzialmente utile all’organismo umano.
Con l’FMT, invece di intervenire sul gene specifico (e quindi noto) si interviene sulla totalità della popolazione microbica, per la maggior parte non conosciuta, in quanto costituita da batteri, virus, funghi, lieviti e altri microrganismi. Attraverso il trapianto di microbiota intestinale, l’intero patrimonio microbico di un donatore sano viene messo a disposizione di un paziente malato, in modo che i trilioni di cellule ed i milioni di geni “buoni” possano prendere il sopravvento e collaborare a ristabilire l’eubiosi nel paziente malato. Di fatto, l’FMT è una metodica che prevede la collaborazione delle parti (i microbi e le cellule dell’ospite) per il benessere collettivo; i suoi vantaggi sono, essenzialmente, il basso impatto economico e la sua totale naturalità. Bisogna tuttavia ammettere che in rari casi – come recentemente evidenziato dall’FDA – potrebbero essere trasferiti, da un soggetto apparentemente sano, dei patogeni responsabili a loro volta di un peggioramento del quadro clinico. Per questo motivo, la selezione del donatore deve essere particolarmente attenta, e allo stesso modo deve essere valutata attentamente la condizione di colui/colei che riceverà il materiale fecale”.
È veramente realistico sperare di curare infezioni croniche e altre patologie dell’apparato gastroenterico sfruttando, attraverso adeguati interventi di manipolazione genetica, il potenziale protettivo dei microrganismi “nativi” del nostro microbiota? Pensa che le ricerche future andranno principalmente in questa direzione?
“Quella dell’editing genetico è una tecnica meravigliosa: basti pensare che il DNA contenuto in ciascuna delle nostre cellule è costituito da circa 6 miliardi di “lettere”, che altro non sono che le basi che compongono i geni (A, C, G, T), e che con il prime editing è già possibile correggere le mutazioni che causano alcune malattie genetiche – è il caso, ad esempio, dell’anemia falciforme o della malattia di Tay Sachs. Tuttavia, per correggere un’alterazione genica o per eliminare un’intera sequenza è necessario conoscere esattamente il “nome” della sequenza da eliminare.
Nel caso dei microorganismi intestinali, le nostre attuali conoscenze sono ben lungi dall’avere chiare tutte le caratteristiche dei singoli microorganismi, e – ad essere sinceri – molti microorganismi sono ancora totalmente ignoti. Ritengo quindi che sia alquanto difficile combattere con l’editing genico un nemico invisibile, se prima non conosciamo approfonditamente l’avversario.
È però verosimile che questa tecnica sia in grado, in futuro, di rispondere a problematiche specifiche, e di essere eventualmente associata anche al FMT come trattamento mirato”.