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Gli effetti a lungo termine di Covid-19 sulla salute mentale

Gli ultimi due anni di pandemia hanno avuto un impatto decisamente negativo sulla salute mentale globale. Oltre alle ripercussioni a livello psicologico e cognitivo dovute alla preoccupazione per la propria salute e quella degli altri e al disagio causato da mesi di distanziamento sociale e crisi economica, alcuni studi dimostrano che il contagio dal virus Sars-Cov-2 aumenti il rischio di sviluppare problemi di salute mentale di vario tipo nel periodo che segue la fase acuta della malattia. Questa tesi è stata confermata anche da alcuni ricercatori del Centro di epidemiologia clinica dello U.S. Department of Veterans Affairs (VA) di Saint Louis, nel Missouri, guidati dal dottor Ziyad Al-Aly, i cui risultati suggeriscono che le persone sopravvissute a Covid corrono un rischio più alto di sviluppare problemi mentali di vario genere anche molto tempo dopo aver contratto la malattia.

Infatti, se alcuni studi precedenti avevano indagato gli effetti negativi del covid sulla salute mentale nella fase post-acuta dell’infezione fino ai sei mesi successivi al contagio, questo nuovo lavoro di ricerca dimostra che le persone che hanno contratto il covid e sono guarite hanno più probabilità di sviluppare problemi di salute mentale di vario genere rispetto a chi non ha avuto il covid anche un anno dopo il contagio.

Questi risultati sono frutto del vastissimo studio di coorte condotto da Al-Aly e coautori a partire dall’analisi delle cartelle cliniche di oltre 153.000 veterani dell’esercito americano. I dati in questione sono stati raccolti dal database del sistema sanitario statunitense del dipartimento per gli affari dei veterani (VA), che offre loro assistenza sanitaria completa: controlli ambulatoriali, prestazioni mediche-ospedaliere, prescrizione di farmaci e terapie, visite specialistiche di vario tipo e anche assistenza psicologica.

I dati utilizzati per lo studio riguardano in particolare 153.848 casi di veterani statunitensi che hanno contratto il covid nei primi dieci mesi e mezzo dall’inizio della pandemia negli Stati Uniti e sono sopravvissuti per oltre 30 giorni dal primo tampone positivo. Per capire se queste persone avessero sviluppato, in percentuale, più spesso disturbi mentali rispetto a chi non aveva mai preso il covid, gli autori hanno costruito due gruppi di controllo anch’essi composti da persone i cui dati erano presenti nel database del VA. Il primo di questi gruppi comprendeva le cartelle cliniche di circa 5,6 milioni di veterani che negli ultimi due anni di pandemia non sono stati contagiati dal covid. L’altro gruppo di controllo è stato formato raccogliendo i dati sanitari di 5,8 milioni di veterani per un arco di tempo di circa un anno tra il 2017 e il 2018, periodo in cui non era ancora scoppiata la pandemia. Più nel dettaglio, per ogni persona sono stati raccolti dati relativi a un periodo di circa 380 giorni.

Gli autori hanno inoltre suddiviso il gruppo dei veterani che hanno contratto il covid in due sottogruppi: il primo include i dati dei pazienti che durante la fase acuta dell’infezione sono stati ricoverati in ospedale (che comprende 20.996 persone) e il secondo raccoglie i casi per cui, invece, l’ospedalizzazione non è stata necessaria (formato dalle restanti 132.852 persone).

L’analisi di Al-Aly e coautori si è focalizzata su diversi tipi di problemi psicologici: disturbi di ansia di vario genere, disturbi depressivi (depressione maggiore o ricorrente), stress (compreso quello post-traumatico) dipendenza da oppioidi e da altre sostanze psicotrope (come droghe, alcolici e sedativi), disturbi del sonno e malattie connesse al declino neurocognitivo.

Confrontando la quantità di persone che per ogni gruppo hanno sviluppato problemi mentali nell’arco di tempo considerato, gli autori hanno confermato che per i veterani che erano guariti dal covid le probabilità di soffrire di disturbi mentali erano maggiori rispetto a quelli compresi nei due gruppi di controllo.

Infatti, per le persone che avevano preso e superato il covid, il rischio di sviluppare uno dei disturbi psichici considerati dagli autori o di ottenere prescrizioni di farmaci per la cura dei problemi mentali era più alto del 60% rispetto a chi non era mai stato contagiato. Questo aumento del rischio, rispetto a chi non aveva mai avuto il covid, era del 35% per i disturbi d’ansia, del 39% per quelli depressivi, del 41% per i disturbi del sonno, del 34% per la dipendenza da oppioidi e del 20% per la dipendenza da altre sostanze diverse dagli oppioidi.

Al-Aly e colleghi hanno anche osservato che le probabilità di ottenere una diagnosi per un disturbo mentale erano ancora più elevate per coloro che erano stati ricoverati in ospedale per il covid. Inoltre, gli autori hanno eseguito un confronto tra le cartelle cliniche dei pazienti che avevano contratto il covid e quelli che invece avevano avuto l’influenza stagionale. Anche in questo caso i risultati hanno dimostrato che le persone che erano state contagiate dal virus Sars-CoV-2 avevano maggiori possibilità di incappare in uno dei disturbi mentali considerati.

I risultati suggeriscono che le persone che sopravvivono alla fase acuta del covid-19 sono più esposte al rischio di sviluppare alcuni disturbi mentali. La lotta ai problemi di salute mentale tra i guariti dal covid-19 dovrebbe essere una priorità “Risks of mental health outcomes in people with covid-19: cohort study”, Yan Xie et al., The Bmj, 2022

Come viene specificato nello studio, non è ancora chiaro quali siano i meccanismi che spiegano il legame tra l’infezione da covid-19 e l’aumento della probabilità di soffrire di disturbi mentali. C’è anche da considerare che questa relazione potrebbe essere bidirezionale. Infatti, nel lavoro di Al-Aly e coautori vengono citati alcuni studi che suggeriscono che le persone con disturbi mentali preesistenti corrano un rischio maggiore di prendere il covid in forma grave.

È utile, infine, evidenziare anche il limite principale di questo lavoro di ricerca, che viene fatto presente dagli stessi autori. Trattandosi infatti di uno studio di coorte, che comprendeva, come abbiamo detto, solo veterani dell’esercito degli Stati Uniti, il campione di persone considerate non può essere considerato rappresentativo dell’intera società americana. Infatti, più del 70% degli individui inclusi nel totale dei tre gruppi erano bianchi, il 90% erano di sesso maschile e l’età media era di 63 anni.

Nonostante questo, gli autori difendono la validità del loro lavoro e sostengono che i loro risultati dovrebbero servire, piuttosto, a richiamare una maggiore attenzione da parte del servizio sanitario americano verso la difesa della salute mentale tra i guariti dal covid-19. Solo aumentando la nostra comprensione del legame tra covid e disturbi mentali è infatti possibile identificare gli interventi più efficaci per tutelare a lungo termine il benessere psicologico di tutte le persone che negli ultimi due anni sono state contagiate dal virus e di quelle che saranno contagiate in futuro.

“I nostri risultati dovrebbero essere utilizzati per promuovere la consapevolezza dell'aumento del rischio di disturbi della salute mentale tra i sopravvissuti alla fase acuta del covid-19 e richiedere l'integrazione dell'assistenza sanitaria mentale come componente fondamentale delle strategie di assistenza post-acuta. Gli organismi internazionali, i governi nazionali e i sistemi sanitari devono sviluppare e attuare strategie per l'identificazione e il trattamento precoce delle persone colpite”, sostengono gli autori.

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