SCIENZA E RICERCA

Elezioni europee, il futuro della ricerca secondo i candidati. Paola Ghidoni

In vista delle prossime elezioni europee, che si terranno il 26 maggio 2019, la redazione de Il Bo Live ha deciso di porre alcune domande sui temi della ricerca e dello sviluppo tecnologico ad alcuni candidati delle principali liste elettorali. Qui vi proponiamo le risposte di Paola Ghidoni, candidata per la Lega nella circoscrizione Nord Est.

Secondo lei, la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico rappresentano un elemento di assoluta priorità oggi per l’Europa o ci sono altri problemi più urgenti da affrontare?

Ricerca scientifica e sviluppo tecnologico rappresentano priorità assolute in quanto elementi sostanziali della moderna società occidentale basata sul principio del miglioramento continuo delle condizioni dell’uomo. Sono il punto di partenza per garantire una crescita intelligente e sostenibile, per promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse e più competitiva. Soprattutto per consentire alle persone e ai territori di esprimere le proprie particolari attitudini, senza subire le pressioni di lobby e multinazionali. La competitività dell’Europa dovrà basarsi ancora di più su conoscenza e competenze, su ricerca scientifica e sviluppo tecnologico e non su salari bassi, su prodotti standardizzati e su un’offerta priva di qualità.

Nel 2000 a Lisbona i membri del Consiglio Europeo si prefissarono l'obiettivo di fare dell'Unione Europea “la più dinamica e competitiva economia della conoscenza entro il 2010”. Due anni dopo il medesimo Consiglio Europeo riunitosi a Barcellona fissava al 3% del Pil l'investimento finanziario in ricerca e sviluppo necessario per raggiungere l’obiettivo di Lisbona. Quell'obiettivo non è stato raggiunto nel 2010 ed è stato spostato al 2020. Ma il 2020 è già domani e l’obiettivo è sempre lontano. Pensate che debba essere riproposto?E se sì, con quali modalità e tempi?

L’obiettivo degli investimenti in ricerca e sviluppo del 3% del Pil rappresentano al momento attuale delle mete irraggiungibili, con questa Europa e con questa congiuntura economica. Quello che è imprescindibile è tracciare un programma che preveda un trend di crescita che si possa realizzare anche in molti anni ma che sia certo. Deve essere accompagnato da condizioni per cui la ricerca possegga quelle caratteristiche di trasparenza e virtuosità necessarie. I due canali devono correre insieme.

Antonio Ruberti, che nel 1992 fu Commissario europeo per la scienza, nel1998 parlò in un suo libro di “uno spazio europeo della scienza”. Oggi la gran parte della spesa in ricerca proviene dai singoli Stati membri: i governi nazionali contribuiscono con il 95% agli investimenti in ricerca e sviluppo in Europa, mentre l'Unione Europa contribuisce con il 5%. Paesi come la Cina, la Russia e gli Stati Uniti godono di un finanziamento alla ricerca molto più centralizzato. Secondo voi le competenze in materia di ricerca e sviluppo in Europa dovrebbero essere più centralizzate?

L’UE ha una competenza concorrente con gli Stati membri. Ciò significa che, rispetto agli stati, può soltanto promuovere la cooperazione nel settore della ricerca mediante il finanziamento della stessa, ma non gode della competenza a stabilire la liceità o meno di determinati tipi di indagine scientifica. La centralizzazione può portare a uno squilibrio tecnocratico con uno sbilanciamento a favore dei gruppi di potere delle istituzioni europee. La periferizzazione negli Stati membri può consentire una miglior efficienza ed efficacia. Di certo le Università degli stati membri dovrebbero impegnarsi in un percorso di miglioramento dei processi e delle condizioni di gestione dei finanziamenti, senza perdersi in rivoli inutili come talora accade.

Horizon 2020 è stato finanziato con circa 70 miliardi di euro, la maggior parte dei quali è stata allocata alla ricerca applicata e allo sviluppo tecnologico. I prossimi programmi di finanziamento dovranno dedicare maggiore attenzione alla ricerca di base o curiosity driven o bisogna insistere sullo sviluppo tecnologico?

Credo che il finanziamento di 70,2 miliardi sia l’atto finale di faticosi e lunghi negoziati tra Stati membri e Parlamento Europeo. Tuttavia la ricerca deve puntare agli aspetti traslazionali e operativi, e grande attenzione deve sempre essere rivolta alla ricerca di base (senza la quale continueremmo a rimanere con la Balilla a manovella).

Sia nella ricerca applicata sia in ricerca di base, quali sono i settori strategici su cui puntare?

Scienze della vita, nanotecnologia, intelligenza artificiale e la riflessione filosofica e teologica sulle sue applicazioni.

Nel finanziamento ERC i ricercatori italiani che risultano vincitori sono secondi, in termini assoluti, solo ai ricercatori tedeschi (che sono molti di più di quelli italiani), ma primi in termini relativi, ovvero in percentuale al numero totale di ricercatori del Paese. Eppure il 60% dei ricercatori italiani vincitori del finanziamento ERC scelgono di andare a spenderlo all'estero. Cosa pensate del finanziamento ERC e di come è strutturato?

Il punto centrale è che l’università dovrebbe essere in grado di creare le condizioni per trattenere i ricercatori. Condizioni strutturali (banalmente laboratori, ecc...) e condizioni di efficienza ed efficacia di gestione dei fondi. Queste condizioni in buona parte sono collegate ad un aumento dei finanziamenti. Ma non solo.

A vostro avviso le politiche europee di prevenzione e di adattamento ai cambiamenti del clima sono adeguate? E se no, in cosa dovrebbero cambiare?

L’ultimo ventennio è stato il più caldo registrato in Europa e diversi modelli di proiezione evidenziano che la temperatura in Europa potrebbe alzarsi di 2,5-4 gradi C verso la fine del XXI secolo. Le ondate di caldo sono aumentate in termini di frequenza e lunghezza mentre le precipitazioni stanno diminuendo nelle regioni meridionali ma sono in aumento nell’Europa settentrionale. Dal 1993 il grande dibattito a livello internazionale sui cambiamenti climatici e sul riscaldamento globale ha ispirato un gran numero di azioni a livello europeo e internazionale dando l’avvio a riforme in materia di emissioni, uso di combustibili fossili, forestazione, allevamento e agricoltura. Penso che sia impossibile imporre una politica comune e armonizzata in questo settore, perché ogni stato membro deve agire secondo le specificità del proprio territorio favorendo la crescita dell’attività umana nelle aree a rischio che si è rivelata un fattore decisivo. Le politiche europee sul clima dovrebbero seguire un maggior rigore scientifico, quindi basarsi su competenze universitarie (ed espellere posizioni del tipo “Greta”) miranti a stabilire gli effettivi collegamenti con la salute della popolazione.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012