È ormai dal referendum sulla Brexit del giugno del 2016 che ogni appuntamento elettorale europeo viene misurato sulla competizione tra populisti e non populisti, in un derby permanente che dovrebbe produrre previsioni sempre più accurate sul voto europeo del 26 maggio prossimo.
Le elezioni politiche finlandesi di domenica scorsa non hanno fatto eccezione. I media internazionali hanno quasi unanimemente titolato sul 17,5% ottenuto dai populisti di Finns Party (39 seggi), superato soltanto dal 17,7% dagli europeisti di centrosinistra del SDP (40 seggi), tornati primo partito finlandese dopo esattamente 20 anni. Il margine è minimo ed è previsto un riconteggio delle schede. È possibile che “balli” un seggio, simbolicamente decisivo per decretare il partito più votato, ma al fine poco influente sul quadro generale. Entrambe le forze politiche cantano quindi vittoria: Finns Party ha un seggio in più rispetto al risultato del voto del 2015 e ha superato brillantemente una scissione interna che nel 2017 aveva messo in crisi il movimento e portato alla fuoriuscita di ben 20 parlamentari. Questi, riunitisi sotto le neonate insegne di SIN, hanno ottenuto appena l’1% dei consensi e sono rimasti fuori dal Parlamento. Ancora una volta stare all’opposizione paga: il Finns era parte della coalizione di centro-destra che, dopo oltre due mesi di difficili negoziati seguiti alle elezioni del 2015, aveva portato alla formazione del governo Sipilä. Appena due anni dopo, però, proprio sulla continuazione dell’appoggio al governo si era verificata la dolorosa frattura interna: i 20 di SIN(tra cui il fondatore di Finns, il carismatico Timo Soini) hanno continuato ad appoggiare il governo di coalizione, mentre il nuovo leader Halla-aho è strategicamente andato all’opposizione, di fatto recuperando tutti i consensi temporaneamente perduti e mostrando la straordinaria stabilità della propria base elettorale (il Finns Party ha avuto 39 seggi nel 2011 e 38 nel 2015).
Chi ha invece perso quasi 8 punti percentuali e ben 18 seggi è il partito centrista (Suomen Kekusta) del premier uscente Sipilä, ora fermatosi al 13,8% (31 seggi). È andata meglio agli altri moderati di governo della National Coalition (KOK) di Petteri Orpo, in leggera crescita a 38 seggi e ai due partiti di sinistra che, dopo anni di insoddisfazioni elettorali, vedono i loro consensi incrementati. I Verdi hanno totalizzato l’11,5% (20 seggi), mentre la sinistra unita di vasemmistolitto(vas.)ha ottenuto l’8,2% (+1,1 rispetto al 2015) e 12 seggi in Parlamento. A chiudere il conto dei partiti rappresentati in Parlamento vi sono il partito della minoranza svedese (10 seggi), i Cristiano-Democratici (5 seggi) e il Liike Nyt di Harry Harkimo (1 seggio).
Un Parlamento quindi estremamente frammentato, dove per la prima volta negli ultimi cento anni non c’è stato un partito che abbia superato la soglia del 20% dei voti. In leggera crescita la partecipazione: 72% (fu il 70,4% quattro anni fa). È probabile a questo punto che serviranno molte settimane di negoziati per mettere a punto una coalizione che abbia i numeri per essere maggioranza di governo. È evidente che la prima mossa toccherà al leader della SDP, Antti Rinne, da considerarsi quindi primo ministro in pectore, che, tuttavia, dovrà tenere in considerazione i numerosi veti incrociati presenti. Prima del voto infatti, tutti i partiti, eccetto KOK, hanno escluso una coalizione con il Finns Party, giudicato troppo estremista, troppo populista. I Verdi e i dirigenti di vas.sono poi stati tra i maggiori critici del governo Sipilä e della sua maggioranza di governo, per cui sarà molto difficile riallacciare rapporti sereni tra questi partiti di sinistra e le due forze di centrodestra del governo uscente, Suomen Kekustae KOK.
Il governo Sipilä era infatti caduto su una proposta di riforma del generoso sistema di welfare pubblico. Preoccupato per i costi dello stato sociale, dell’ammontare del debito pubblico e per l’invecchiamento della popolazione, il premier uscente aveva proposto un piano di austerità che avrebbe fatto risparmiare 3 miliardi in 10 anni ma che avrebbe tagliato svariati servizi assistenziali e portato al blocco dell’indicizzazione periodica delle pensioni. La SDP ha organizzato scioperi e proteste e ha attivamente coinvolto le organizzazioni sindacali e le altre sigle della sinistra parlamentare. Con una mossa rischiosa, Rinne ha perfino proposto un incremento delle imposte (in un Paese con la tassazione tra le più alte d’Europa) per mantenere e aumentare gli standard di welfare attuali. Con una quota di ultrasessantacinquenni ormai pari al 21,4% dell’intera popolazione (rapporto che pone la Finlandia al quarto posto in Europa per popolazione più anziana, dietro soltanto a Portogallo, Grecia e Italia), il tema della riforma del welfare è da anni sul tavolo della politica, ma nessuna modifica sostanziale è mai riuscita a passare in virtù dei veti politici e sociali incrociati.
In campagna elettorale, il Finns Party ha parlato molto di immigrazione, enfatizzando casi di cronaca nera che hanno visto stranieri protagonisti in negativo e promettendo restrizioni sul diritto d’asilo e sui permessi di soggiorno. Tuttavia, nessun altro partito ha cavalcato il tema, nemmeno i moderati di centrodestra. Interessante poi notare come tutti i partiti abbiano firmato un documento che li impegna a battersi per contenere l’incremento medio della temperatura globale sotto al grado e mezzo in 50 anni. Gli unici a sottrarsi sono stati, ovviamente, i dirigenti del Finns Party, il cui leader Halla-aho ha dichiarato che “non è certo la Finlandia che può salvare il mondo”. Lo stesso leader populista ha annunciato nelle scorse settimane un’alleanza transnazionale in vista delle Europee di giugno che includerà l’estrema destra dell’AfD tedesca, il Folkeparti danese e la Lega Nord.
A luglio, al governo finlandese toccherà la presidenza dell’Unione Europea. Obiettivo del Paese è di arrivarci con un nuovo premier nel pieno dei suoi poteri. Non sarà semplicissimo. Data per scontata l’esclusione del Finns Party, ogni possible coalizione dovrà includere o i centristi del premier uscente Sipilä o il centro-destra di KOK. Due componenti quindi della maggioranza uscente, le cui proposte e decisioni hanno contribuito a radicalizzare la campagna elettorale appena conclusa.