L'esempio più calzante è la paura dell'aereo: nel 2019 sono morte in volo 240 persone, di cui 157 in un solo incidente, quello del 737 Max in Etiopia. In pratica una persona potrebbe prendere l'aereo tutti i giorni per 5000 anni senza morire, mentre secondo l'Istat nello stesso anno, solo in Italia, morivano 3.173 persone in incidenti stradali. Eppure sei passeggeri su dieci hanno paura di prendere l'aereo, mentre salgono in tutta tranquillità sulla loro auto. Il problema è che, quando parliamo di paure e fobie, la statistica non basta a tranquillizzarci, come è successo con l'allarme dovuto ai rari eventi avversi collegati al vaccino Astrazeneca, che hanno scoraggiato, almeno in prima battuta, un buon numero di italiani che hanno scelto di non vaccinarsi pur avendone l'occasione.
Anche per l'osservatore più superficiale appare evidente che abbiamo un problema con la statistica: mentre la cognizione numerica è parzialmente innata, l'analisi, l'interpretazione, ma soprattutto l'interiorizzazione dei dati statistici ci riesce meno bene. Eppure esistono anche persone perfettamente in grado di prendere decisioni razionali basate sui dati: a cosa è dovuta questa differenza, e quali conseguenze può avere sulla vita delle persone? Per cercare di capirlo abbiamo intervistato Paolo Legrenzi, professore emerito di scienze cognitive all'università Ca' Foscari.
Servizio di Anna Cortelazzo e montaggio di Barbara Paknazar
Detto in poche parole, il problema della statistica è che, per la maggior parte, è una scienza contro intuitiva. Ma cosa significa? "Molte delle leggi della statistica - spiega Legrenzi - vanno contro quello che ci viene spontaneo pensare, perché per decine di migliaia di anni gli eventi oggettivamente pericolosi per noi sono stati quelli inaspettati, imprevedibili e incerti, che invece adesso sono molto meno temibili. Da un punto di vista dell'adattamento del cervello, però, è passato pochissimo tempo, quindi ci viene naturale averne paura." Siamo abituati ad andare in macchina, lo facciamo molto spesso e quindi il nostro cervello non lo percepisce come qualcosa di pericoloso, anche se i dati oggettivi dicono il contrario. Prendere l'aereo, invece, è un evento più raro che ci mette in allarme. Ma non basta: "Un fattore molto importante per spiegare questa scissione divaricazione tra ciò che oggettivamente pericoloso e ciò che ci fa più paura - aggiunge Legrenzi - sono i media. Mai l'umanità è stata soggetta come oggi alle informazioni che giungono attraverso i media, e ciò che fa notizia è, di nuovo, ciò che è inaspettato, imprevedibile e incerto: viene dato molto più spazio a un disastro aereo che a un incidente stradale perché il primo, in genere, è più catastrofico e fa più notizia".
Ma è così potente la percezione? Non potremmo semplicemente metterci seduti alla scrivania, raccogliere un po' di informazioni e prendere decisioni più razionali? Se da una parte siamo bombardati da notizie drammatiche, è anche vero che potremmo facilmente cambiare pagina web per scoprire quanto spesso si verificano determinati fenomeni: i dati sono alla nostra portata, la ricerca potrebbe durare pochi minuti, mentre nell'era pre internet questo lavoro di consultazione sarebbe stato più lungo, e i dati che avremmo potuto raccogliere molto probabilmente sarebbero stati anche meno aggiornati. L'informazione c'è, ma noi non la sappiamo usare: siamo proprio irrecuperabili? A quanto pare no: "È vero - spiega Legrenzi - che nel cervello ci sono alcune forme di eredità di un passato molto lontano che sono in realtà inconsce e quindi insuperabili, per esempio in campo visivo: per secoli la luce è sempre caduta dall'alto, o dal sole o dalla luna e mai da altre direzioni, quindi noi interpretiamo le ombre come se la luce cadesse sempre dall'alto. Questi tipi di meccanismi, usati per esempio nelle illusioni ottiche, sono inconsapevoli e non si possono sradicare, ma nel campo del ragionamento, del pensiero e della decisione noi possiamo sempre migliorare. Il problema è che dobbiamo prima disimparare ciò che è intuitivo e ciò che ci viene spontaneo. Una volta capita la natura dell'errore, possiamo cominciare a ragionare bene."
Ma a quali problemi andiamo incontro se non intraprendiamo questo percorso? "La maggior parte delle conseguenze - spiega Legrenzi - non sono particolarmente dannose, per esempio possono esserci errori nei calcoli quando si gioca a dadi o a carte. Oggi le due aree in cui questi errori di ragionamento comportano danni più gravi sono la medicina e la finanza". Per quanto riguarda la medicina, il caso di Astrazeneca e dei vaccini in generale è abbastanza emblematico. "Questo però - continua Legrenzi - avviene saltuariamente, in condizioni eccezionali come la pandemia. L'unico settore dove invece sbagliamo sempre sistematicamente è il settore degli investimenti: su questo ho scritto sei libri divulgativi perché l'errore comporta molti danni. In estrema sintesi, se i risparmiatori avessero fatto i giusti investimenti in Italia non avremmo 9500 miliardi di risparmi, ma ne avremmo più del doppio".
Cosa si intende per investimenti giusti? E soprattutto, qual è l'errore di ragionamento che ci impedisce di farli? È, di nuovo, un problema di percezione: "Le azioni - spiega Legrenzi - oscillano giorno dopo giorno, e quindi sono considerate paurose e incerte, mentre gli immobili sono appunto immobili e sono considerati un investimento non rischioso. Dall'inizio del secolo a oggi, invece, gli immobili non sono cresciuti di valore e anzi in Italia il loro valore è sceso. Nonostante questo investire sugli immobili è considerato sicuro, mentre i mercati azionari hanno quadruplicato il loro valore ma continuano a essere percepiti come pericolosi." Sulla carta sarebbe un problema facilmente risolvibile, ma manca la consapevolezza: in altre parole, si è sempre fatto così e si continua su questa linea, anche perché, come spiega Legrenzi, c'è anche un aspetto emotivo che ci blocca: quando perdiamo qualcosa, sia in termini economici che affettivi, proviamo un dolore molto più forte rispetto al piacere che proveremmo se invece lo guadagnassimo. "Questa asimmetria - continua Legrenzi - un tempo era molto adattiva, perché ci proteggeva dai rischi quando questi erano mortali e l'ambiente era ostile. Essere prudenti ed evitare i rischi era vantaggioso, mentre oggi le decisioni importanti della vita agiscono su tempi lunghi, pensiamo allo studiare, a farsi una famiglia, a investire i soldi. Noi però non riusciamo a vedere le tendenze sui tempi lunghi se siamo spaventati da pericoli nei tempi brevi e la paura delle perdite su tempi cortissimi ci impedisce di avere un guadagno a lungo termine. È una legge fortissima, e anche chi la conosce può ugualmente esserne vittima".
Molte cose, insomma, ci remano contro. E tutto questo non basta: se parliamo di investimenti, l'ignoranza fa comodo a chi invece ha compreso determinate dinamiche e non ha nessun interesse a spiegarle ad altri, e così molto spesso l'investitore è inconsapevole, mentre a volte manca l'umiltà di mettere in discussione tutto ciò che si è sempre dato per scontato (per chi volesse farlo, Legrenzi ha scritto, con Leopoldo Gasbarro, il recentissimo Ricchi per la vita. Investimenti vincenti nell'era dell'incertezza, edito da Sperling e Kupfer).
Per far fronte a questi errori di ragionamento dobbiamo studiare, e prepararci ad andare contro tutto ciò che abbiamo sempre dato per scontato, senza ascoltare quella voce atavica che ci dice che tutto ciò che si muove in modo imprevedibile potrebbe essere un pericolo per la nostra stessa sopravvivenza. Funziona quando vivi a tu per tu con le fiere, e se senti un cespuglio muoversi nel dubbio scappi. Un po' meno se bazzichi Wall Street (i ghepardi liberi a New York si trovano solo nel film di Hawks Bringing up Baby).