SCIENZA E RICERCA

European Chips Act: la corsa europea ai microchip

“Dobbiamo essere coraggiosi, come quando abbiamo lanciato il progetto Galileo. Stavolta, con i semiconduttori”. Non è esattamente evocativa e poetica la chiamata della presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, pronunciata durante il suo discorso “State of the Union 2021” a settembre scorso. A ben guardarci, è più una chiamata operativa, a tirarsi su le maniche per riuscire a vincere una sfida che è tutt’altro che semplice ed è, al contempo, assai necessaria. E passando piuttosto rapidamente dalle parole ai fatti, la Commissione ha approvato l’8 febbraio, un paio di giorni fa, lo European Chips Act, una legge europea sui semiconduttori.

“Permettetemi di concentrarmi sui microchip”, aveva detto la presidente. Per ribadire che sono quei piccoli chips che fanno funzionare la grandissima parte degli oggetti e dei sistemi di comunicazione alla base dell’economia odierna e della nostra vita quotidiana: gli smartphone, le telecomunicazioni, le macchine e le moto che ormai ospitano sofisticati sistemi di controllo elettronico, i nostri elettrodomestici, interi sistemi di gestione aziendale, i data center, e via dicendo. Solo nel 2020, più di 1000 miliardi di microchip sono stati fabbricati globalmente, circa 130 per ogni abitante della terra. Ma sono stati comunque insufficienti al fabbisogno, tanto che combinando le difficoltà di reperimento delle materie prime con i ritardi e gli scompensi dei traffici di merci dovuti anche alla pandemia, ci si è trovati a dover ridurre la produzione di una serie di prodotti di uso molto comune.

Qualcuno potrà senz’altro arguire che forse anche questo è uno spunto per rivedere i nostri consumi, e la nostra propensione a sfruttare in modo lineare le risorse senza davvero fermarci mai a ragionare sul crescente impatto ambientale. Vero. Ma non c’è dubbio che perfino la transizione ecologica tanto ambita dipenda da una migliore capacità di organizzazione e di integrazione dell’economia che, alla fin fine, richiede comunque una tecnologia digitale capace per monitorare i flussi, ottimizzare l’uso delle risorse, fare innovazione in modo sostenibile e via dicendo. E per avere un'economia integrata digitale servono loro, i microchip.

Dipendiamo in tutto e per tutto dai microchip, che ce ne rendiamo conto o meno, per la gran parte delle mansioni produttive, gestionali e perfino di relazione ormai. Ma al contempo, in Europa, siamo di fronte a un corto circuito tra la nostra grande capacità tecnologica e di ricerca e la nostra limitata, per una serie di ragioni, capacità produttiva e dunque di gestione dell’intera filiera. Quello che la presidente annunciava e auspicava, nel suo discorso, erano una serie di azioni per rendere l’Europa indipendente e autonoma dal punto di vista delle sue infrastrutture tecnologiche.

There is no digital without chips. Non c’è digitale senza i chips.

Ottenere il 20% del mercato

Oggi l’Europa è totalmente dipendente dalle forniture che arrivano, soprattutto, dal sudest asiatico. È forte nel settore della ricerca, del design di alcune componenti e delle tecnologie di miniaturizzazione. Ma è molto meno strutturata in termini di produzione, di assemblaggio, di packaging. Le riserve di microchip nel nostro continente sono ridotte, e dunque in periodi di scarsi trasporti e consegne, come quello che abbiamo vissuto nei mesi scorsi, ci sono intere filiere, come quelle della produzione di auto, che hanno dovuto rallentare molto i propri ritmi, in qualche caso fino al 30%. Ha perso tempo, l’Europa, e capacità. Tempo prezioso che ora deve cercare di recuperare. 

Questo è il senso dello European Chips Act, un pacchetto di misure specifiche che hanno come obiettivo quanto dichiarato dalla presidente qualche mese fa, portare l’Europa in una condizione di sovranità tecnologica. Del pacchetto fanno parte:

  • una comunicazione che spiega la strategia europea
  • una proposta di regolamentazione
  • una raccomandazione a tutti gli stati membri

L’obiettivo quantitativo è quello di portare l’Europa in questa che è la sua digital decade a raddoppiare entro il 2030  il proprio peso sul mercato dei semiconduttori, passando dall’attuale quota del 10% al 20%.

Per arrivarci, l’Act identifica cinque obiettivi strategici, dal rafforzamento della leadership nell’ambito della ricerca sui chip più piccoli e veloci al potenziamento delle capacità di innovazione nella progettazione, fabbricazione e imballaggio di chip avanzati; dal risolvere la carenza di competenze, dove è limitante, attraendo anche competenze dall’esterno e sostenendo percorsi formativi fino a rendere le filiere di approvvigionamento dei semiconduttori un tema compreso, discusso, condiviso anche nel contesto pubblico e non un argomento di nicchia per pochi professionisti ultra specializzati. 

43 miliardi di euro in investimenti

Ovviamente, l’Act si traduce, prima di tutto, in investimenti. Ci sono così 15 miliardi di euro stanziati nei programmi già esistenti, come Horizon Europe e il citato programma per la Digital Europe, che saranno specificamente dedicati a progetti in questo settore. C’è poi un sostegno annunciato anche dagli stati membri. In totale, comunica la Commissione sul suo sito, saranno 43 i miliardi di euro investiti da qui al 2030 nella filiera totale, dalla ricerca alla produzione, dei microchip. La legge include una serie di misure anche sulla condivisione e sull’accesso agli strumenti di progettazione e prototipazione, test e sperimentazione; sulle misure di certificazione di chip efficienti sotto il profilo energetico, all’interno del quadro più ampio della transizione energetica; sostegno a start-up e aziende nel settore della microelettronica e alla creazione di impianti di produzione europei. Infine, una serie di misure focalizzate sulle competenze e dunque anche sulla formazione e innovazione, così come sugli accordi di partenariato anche con paesi terzi. 

Una nuova serie per Il Bo Live

Di microchip parleremo prossimamente, qui su Il Bo Live. Andremo a fondo, in una miniserie dedicata che lanceremo a marzo, sulle questioni scientifico-tecnologiche ma ci occuperemo anche del contesto più ampio. Perché seguire la storia e l’attuale filiera di ricerca, design, produzione e distribuzione dei chips richiede di conoscere un quadro geopolitico in piena evoluzione, con confronti tra paesi a tradizione molto diversa, sia sotto il profilo della ricerca che delle strategie industriali. Un percorso che ci porterà anche a comprendere perché la questione dei microchip è anche una storia centrale nel ragionamento sull’uso di materie prime che non sono necessariamente rare ma sono concentrate in luoghi della terra ben precisi. Luoghi che anche per questo diventano frequentemente teatri di conflitto, talvolta mascherato da interessi commerciali, talaltra esplicito e consumato sui territori con enormi impatti sociali e ambientali.

Ci faremo guidare, in questo percorso, da Alessandro Paccagnella, del Dipartimento di ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova, e da David Burigana del Dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionali, co-fondatori anche del primo corso interdipartimentale congiunto di Microelectronics and globalization, sempre all’Università di Padova. 

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