Il giorno dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, il prezzo del caffè negli Stati Uniti ha raggiunto il suo record negli ultimi anni, superando i 3 dollari e mezzo alla libbra (circa 450 grammi), con un aumento dell’1,7% tra venerdì e il lunedì successivo. Lo ha raccontato la CNN, spiegando che a determinare questo balzo è stata la minaccia di applicare ai prodotti provenienti dalla Colombia dazi del 25%. Il paese sudamericano è, infatti, il terzo maggior produttore al mondo e la principale fonte di caffè per il mercato statunitense. Alla fine la misura non è entrata in vigore e si potrebbe tentare di derubricare l’episodio alle conseguenze dell’imprevedibilità del nuovo presidente americano. Ma in realtà, in un mercato così nervoso come quello del caffè mondiale, lo possiamo leggere come una spia di una situazione pronta a esplodere.
Già alla fine dello scorso anno, il prezzo all’ingrosso del caffè varietà Arabica aveva toccato prezzi altissimi, come non si vedevano da mezzo secolo. Una tonnellata veniva scambiata intorno ai 5.500 dollari. Ma le notizie che arrivano oggi da alcuni altri paesi grandi produttori fanno pensare che il prezzo del caffè sia destinato a crescere nel 2025, superando il valore simbolico dei 6 mila dollari la tonnellata e segnando un nuovo record. Secondo le analisi degli esperti, come per esempio quelle riportate in Italia dal quotidiano Avvenire, l’aumento del prezzo globale dovrebbe cominciare verso marzo, quando la stagione di raccolta nell’emisfero australe è definitivamente conclusa. Con la conseguenza che a stretto giro anche il prezzo al consumo potrebbe salire, con l’espresso al bar che potrebbe arrivare in Italia costare 2 euro.
Le cause
Una è facile da individuare ed è il cambiamento climatico. Il caffè è una pianta che viene coltivata solamente nella fascia intertropicale. Come si legge sul sito della National Oceanographic and Atmospheric Administration (NOAA) americana: “le condizioni ottimali per la coltivazione del caffè includono climi tropicali da freschi a caldi, terreni ricchi e pochi parassiti o malattie”. Ne risulta che tutti i principali produttori di caffè si trovano esattamente nella fascia in cui le conseguenze dell’innalzamento delle temperature medie si stanno facendo sentire con forza.
I primi 25 produttori di caffè al mondo (Fonte: NOAA)
Secondo un recente studio, del quale abbiamo scritto anche qui sul Bo Live, entro la fine del secolo il Brasile, cioè il maggiore produttore al mondo, potrebbe registrare una diminuzione tra il 35 e il 75% dei terreni adatti alla coltivazione, con conseguente impatto sulla capacità produttiva generale. A questa situazione problematica sul medio-lungo termine, si aggiunge anche la variabilità delle condizioni meteorologiche che mettono a repentaglio i raccolti a causa di siccità estreme o, al contrario, piogge eccessive. Quest’anno hanno annunciato raccolti sotto le aspettative sia il Brasile, sia il Vietnam. Il primo come abbiamo detto è il maggiore produttore al mondo di Arabica, la specie che copre la maggior parte del mercato, mentre il Vietnam è uno dei principali produttori di Robusta.
Proprio la crisi brasiliana, che si riverbera su tutto il mercato mondiale, ha innescato negli ultimi anni una tendenza nuova. Fino a poco tempo fa, infatti, Coffea arabica rappresentava i due terzi della produzione mondiale, ma negli ultimi anni è molto cresciuta la domanda anche di Coffea robusta, tradizionalmente più economica. Il risultato è che già lo scorso anno il prezzo delle due specie si è avvicinato tantissimo, con Robusta scambiata a 5.100 dollari la tonnellata: solo 400 dollari meno di Arabica. Si tratta di una tendenza che, dovesse confermarsi, porterebbe a una profonda trasformazione del mercato.
Il ruolo dell’Asia
Un ruolo sempre più importante lo giocano i paesi asiatici. In prima battuta perché al momento il Vietnam ha un ruolo strategico come produttore. Ma anche perché, nonostante i prezzi siano comunque in aumento da alcuni anni, la domanda globale è sempre stata in crescita. In particolare grazie all’aumento del consumo di caffè in Cina e Giappone.
“ In Cina il consumo di caffè è cresciuto del 150% negli ultimi 10 anni
Secondo un recente rapporto della Food and Drug Administration (FDA) americana, il consumo della Cina è cresciuto di quasi il 150% negli ultimi 10 anni, passando da poco più di 2 milioni di sacchi all’inizio degli anni 2010 a oltre 6 milioni di sacchi oggi (un sacco è una misura standard per il caffé e corrisponde a 60 chilogrammi). Lo stesso documento ricorda che comunque la Cina era nel 2023/24 il tredicesimo produttore mondiale e per tanto importa solamente 400 mila sacchi di caffè. Ma se il trend di consumo cinese continuerà a crescere, questo valore potrebbe aumentare, movimentando l’assetto di import-export a livello mondiale.
La finanza
Le trasformazioni del mercato degli ultimi anni hanno cambiato anche il modo in cui il caffè viene comprato e venduto. I produttori, specialmente quelli che producono chicchi di maggiore qualità, sono tentati di aspettare di vendere fino a quando il prezzo, per la scarsità del prodotto in circolazione o per l’aumento della domanda, si alza. Alcuni operatori scommettono sul prossimo raccolto, acquistando in anticipo e sperando in margini maggiori a valle dell’operazione. In pratica, come è già successo per esempio all’olio d’oliva il mercato del caffè si è, almeno in parte, finanziarizzato. Lo sottolinea in un’intervista a Rimini Today anche Mario Pascucci, amministratore delegato di una storica torrefazione romagnola aperta nel 1883: “Quando si prospetta una riduzione di materia prima, grandi banche d’affari o privati che fanno trading entrano nel mercato consapevoli che tali materie prime, tra cui il caffè, verranno assorbite nonostante i rincari”. L’ingresso degli operatori finanziari nel mercato porta con sé, quindi, un aspetto speculativo che ha degli effetti sul prezzo all’ingrosso e, a cascata, su quello al dettaglio.
Negli ultimi anni la situazione si è ulteriormente complicata anche per l’instabilità geopolitica di alcune aree del mondo cruciali per la logistica del caffè. Nella stessa intervista, Pascucci ne fa un esempio riferendosi alle difficoltà di passare nel Mar Rosso e per il Canale di Suez. Quel tratto di mare è un corridoio fondamentale, per esempio, per le esportazioni dell’agroalimentare italiano verso l’Asia, come ha raccontato lo scorso anno un rapporto dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) ripreso dal Sole24Ore. Ma è anche uno dei passaggi fondamentali per il caffè che arriva dall’Africa orientale e dall’Asia. Non poter passare di lì significa allungare il viaggio circumnavigando l’Africa, con conseguenze dirette sul costo del trasporto e, quindi, sul prezzo del caffè.