SOCIETÀ

La febbre da souvenir e i furti di sabbia

L'estate volge al termine e così le vacanze. I turisti si preparano a tornare alla realtà quotidiana, rassegnati a dimenticare le spiagge da sogno... oppure no? Tutti noi siamo stati turisti almeno una volta e abbiamo provato la “febbre da souvenir” che sembra attanagliare i vacanzieri prossimi al rientro a casa. Lo testimoniano i numerosi negozietti straripanti di oggetti vagamente kitsch, presenti in ogni meta turistica che si rispetti, che ci vengono in soccorso quando desideriamo condividere con famigliari e amici il ricordo del nostro viaggio. Non meno importanti, però, sono i souvenir che scegliamo per noi stessi, che dovrebbero farci sentire le atmosfere del viaggio negli anni a venire, ma che spesso e volentieri finiscono su qualche mensola a prendere polvere.

Alcuni viaggiatori si fanno prendere un po' troppo la mano e, non accontentandosi dei classici portachiavi e calamite da frigo, ricercano un legame fin troppo intimo col posto visitato. Basti pensare alle recenti notizie riportate dalla cronaca riguardanti i turisti fermati in diverse località della Sardegna perché decisi a portare via barattoli di sabbia, conchiglie e ciottoli. Questo problema si pone ogni estate da anni, nonostante i cartelli di divieto e le multe previste dalla Regione dai 500 ai 3mila euro, tanto che il comandante del Corpo Forestale della Sardegna, Antonio Casula, ha proposto di attivare le “ganasce fiscali”.

Ovviamente quando sentiamo parlare di persone fermate con diversi kg di sabbia e affini, si parla di affaristi che rubano un bene pubblico per rivenderlo in bancarelle lontane, dando l'illusione agli acquirenti di poter possedere una parte di mete esotiche mai viste solo perché decorano la casa con conchiglie enormi, dipinte e ricoperte da brillantini, strappate a chissà quale mare. È un atteggiamento che non risparmia il patrimonio artistico: ricordiamo il ragazzo che l'anno scorso aveva staccato un frammento laterizio di epoca romana dal colonnato esterno del Colosseo o la turista che incideva il proprio nome su una colonna. Vicende non così singolari: gli estremisti arrivano a cercare di portar via stalattiti di un milione di anni, così come successo lo scorso maggio nella grotta di Yishui, nella provincia di Shandon in Cina.

Cosa c'è dietro alla “febbre da souvenir”? Innanzitutto la voglia di dimostrare agli altri dove si è stati, probabilmente col sottile desiderio di scatenare l'invidia dei conoscenti. Poi la scarsa sensibilità verso il patrimonio artistico, culturale e ambientale dei luoghi che abbiamo la fortuna di visitare: dopotutto siamo in vacanza, abbiamo pagato e possiamo permetterci qualche bravata. La spiaggia è così ricca di sabbia che non soffrirà certo per un barattolino di granelli in meno e, in ogni caso, non è casa nostra, ma una semplice meta turistica al nostro servizio per il breve periodo di soggiorno. Forse è quello che pensavano i frequentatori della famosa spiaggia rosa di Budelli, che negli anni ha visto il proprio colore impallidire.

Un fattore non da poco è la voglia di protagonismo dell'uomo: dobbiamo lasciare una traccia evidente del nostro passaggio e dobbiamo possedere tutto, per sempre. È irrilevante che i ciottoli e le conchiglie sembrino gioielli solo se lasciati sulla battigia, dove possono risplendere grazie all'acqua di mare o che fuori dal loro contesto naturale, smorti e opachi, non abbiano senso e sembrino più un reliquiario che ricorda lontanamente la reale bellezza e vitalità del posto. Questa nostra tendenza è stata esasperata dalla diffusione degli smartphone: la possibilità di scattare foto in modo illimitato ci costringe a immortalare tutto. Quando è stata l'ultima volta che vi siete goduti una mostra, un concerto o un belvedere senza provare l'ansia di dover condividere le meraviglie davanti ai vostri occhi? In fondo la bellezza è anche fugacità.

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