SOCIETÀ

Francesco Costa ci racconta la crisi ambientale in California

Nell'immaginario comune la California è un bel posto: spiagge sconfinate, la Sierra Nevada per chi preferisce la montagna, le aziende tecnologiche più grandi ed efficienti del mondo, nessuno spazio per leader politici della destra radicale più becera, sogni grandiosi che possono avverarsi. E il clima, naturalmente, con una primavera perenne e quella luce tutta particolare che ha reso Hollywood quello che è.
In effetti un tempo la California corrispondeva davvero al nostro immaginario. Peccato che negli anni le cose siano cambiate, ed è di questo cambiamento che parla il nuovo libro di Francesco Costa, che si intitola proprio California (Mondadori Strade Blu 2022). E perché dovrebbe interessarci conoscere quello che capita a chilometri e chilometri di distanza? Un po' perché è sempre interessante conoscere mondi distanti dal nostro, ma un po' anche perché, come suggerisce l'autore, vari fenomeni californiani potrebbero prendere piede anche altrove, perfino dalle nostre parti.

Certo, questo stato americano ha le sue peculiarità, una delle quali quella di aver scelto di costruire in orizzontale. In effetti l'architettura californiana non ha nulla a che vedere con quella di grandi metropoli come New York, che ha invece puntato su grattacieli che riescono a ospitare migliaia di persone, anche se questo approccio causa problemi di sovrappopolamento, a partire dalle strade. Non che in California manchino problemi di questo tipo, beninteso, perché costruire in orizzontale significa spesso spostare la città un po' più in là, in una corsa al metro cubo che sta arrivando alle estreme conseguenze: trovare un tetto costa sempre di più, gli affitti possono addirittura raddoppiare da un anno all'altro e così le persone del ceto medio si trasferiscono in periferia, quando non finiscono per strada, soffocate da un sistema che favorisce i proprietari e non tutela gli affittuari : non è una rarità, infatti, che chi perde la casa in California scelga spesso di vivere in auto o per strada, pur avendo un lavoro full time.

In questa situazione, la classe media finisce per lasciare le case ai ceti più abbienti: è la cosiddetta gentrificazione, di cui parlava Telmo Pievani in un recente editoriale. Certo, in California ne vediamo le conseguenze più estreme, ma non è un fenomeno estraneo ad altre città. Pievani la definiva "ecologia per ricchi", e in effetti è proprio quella la molla che ha fatto scattare la crisi degli alloggi in California: le intenzioni erano buone, del resto vuoi mettere le case con giardino rispetto ai grattacieli? I californiani erano ambientalisti, quindi volevano vivere nella natura, pazienza se questo voleva dire costruire un po' più in là, magari distruggendo le foreste, e se per andare al lavoro devi sciropparti più di tre ore di macchina tra andata e ritorno. Questa corsa al metro cubo, tra l'altro, non può durare per sempre, si è anzi vicini alla saturazione abitativa, al punto che le case quasi completamente bruciate ricevono offerte per un milione di dollari (il libro comincia proprio con questa storia). Come se non bastasse, a livello burocratico costruire in questo stato è diventata un'impresa titanica,perché ancora ai tempi del governatore Reagan sono state firmate leggi di stampo ambientalista che fungevano da deterrenti per la costruzione di nuovi edifici, e si è scelto nel tempo di proseguire su questa strada. Il colmo è che, paradossalmente, queste leggi ora bloccano anche i progetti che potrebbero tenere sotto controllo il cambiamento climatico.

Molti non ci stanno, e scelgono di trasferirsi, anche perché non sempre vale la pena guadagnare cifre a sei zeri se si passa la vita a lavorare e poi bloccati nel traffico fino a tarda sera (New York non ha l'esclusiva per le strade congestionate). Ed ecco l'incredibile: il vicino Texax sta "rubando" abitanti alla California. È in atto, in effetti, un esodo che pochi immaginavano quando nel 2015 Rick Perry, governatore repubblicano del Texax, comprò degli spazi pubblicitari per convincere i piccoli imprenditori californiani a trasferire le loro aziende dalle sue parti. Ovviamente tutti gli risero in faccia, perché le attrattive fiscali del loro stato non avevano nulla da invidiare a quelle di Perry, e comunque il clima era migliore: nella California del sud si viaggia tra i 10 e i 30 gradi, l'ideale per chi vuole vivere in un'eterna primavera.

Ma il clima è davvero cosi meraviglioso? Se ci limitiamo alle temperature lorde, per così dire, forse sì. Peccato che ogni anno gli incendi distruggano tra l'1 e il 2% di tutta la California, soprattutto a causa della siccità e del cambiamento climatico, tanto che la società elettrica interrompe la fornitura, di continuo, per evitare che il vento estivo distrugga i tralicci provocando scintille e quindi incendi nelle foreste, che poi si diffondono nelle città (il cielo arancione di San Francisco che ha furoreggiato sui social ce lo ricordiamo tutti). Incendi come quelli californiani arrivano a modificare, anche solo provvisoriamente ma è già abbastanza, il clima del luogo: se pensiamo a un focolare, sappiamo quanto possa scaldare. Cosa succede se il focolare è grande come tutto il comune di Roma? Diventa un tornado di fuoco, con le fiamme che salgono per chilometri. Era il 2020, e gli abitanti della California non sapevano se fosse meglio aprire le finestre e rischiare di rimanere intossicati o se rischiare di prendersi il Covid che imperava nei luoghi chiusi. Non solo: le fiamme del nostro camino a volte alzano i fogli di carta che abbiamo usato per accenderlo, o addirittura qualche pezzo di legno. Se però si incendiano 4000 chilometri quadrati, i fogli di carta diventano tralicci, auto, pali della luce e simili, che poi ricadono sulla terra con tutta la loro forza. E poi il fumo genera nubi, che però, forse per un malinteso senso di solidarietà con le fiamme, non creano abbastanza pioggia per spegnere il fuoco. Ma per generare fulmini sì, ed ecco che si creano altri incendi, che non si possono spegnere, in nessun modo. Meglio distruggere le foreste tutto attorno, per evitare che si propaghino. Non parliamo di fatti isolati: Costa ne riferisce tra i 7.000 e i 10.000 all'anno, con territori che arrivano a bruciare da luglio a ottobre (è successo per esempio con il Dixie Fire del 2021). La causa di questi incendi così numerosi? L'emergenza climatica, con l'innalzamento delle temperature, i forti venti oceanici e la siccità.

La novità è l'aver realizzato che tutti i bacini idrici non conterranno mai abbastanza acqua, e che tutti i pompieri non potranno mai spegnere un tornado di fuoco Francesco Costa

Perché con l'acqua, tra l'altro, le cose non vanno meglio. E non, come si potrebbe pensare, perché viene usata per spegnere gli incendi, troppo alti per i Canadair e troppo estesi per i camion, ma perché uno dei settori fiorenti in California è quello agricolo. Proprio da questo stato, infatti, arriva il 60% delle mandorle di tutto il mondo (coltivare una mandorla richiede quattro litri d'acqua), nonché molte verdure come per esempio cavolfiori e carciofi e poi ci sono le famose arance californiane. Per un po' è andato tutto bene: in Sierra Nevada nevicava spesso, e grazie a dighe e bacini idrici l'acqua poteva essere trasportata sul territorio. Con il cambiamento climatico non è stato più così, e anche il settore della pesca non se la cava meglio: molti fiumi si sono prosciugati, al punto che i salmoni sono stati trasportati via terra per salvargli la vita e permettere la loro migrazione e quindi la riproduzione. Dove l'acqua c'è ancora, è diventata troppo calda e favorisce lo sviluppo della cozza quagga che infesta le dighe indispensabili per mantenere un'agricoltura fiorente, ma anche per garantire l'acqua potabile.

La cosa più preoccupante, ma non esclusivamente californiana, è la paralisi di fronte a questi problemi. Certo, la California da sola non può far fronte al climate change, ma anche sul fronte acqua rimane sospesa tra le richieste degli agricoltori, che vorrebbero costruire più dighe, e quelle degli ambientalisti, che cercano invece di preservare il Delta del Sacramento per evitare la perdita di biodiversità causata, tra le altre cose, proprio dalle dighe e dalla conseguente modifica dell'ecosistema.
Se tutto questo non bastasse a farsi venire il pensiero di trasferirsi, c'è l'evergreen, cioè il big one, il terremoto che, unito al conseguente tsunami, prima o poi raderà al suolo quasi tutta la California. Eppure i residenti non lo citano mai come ragione per andarsene: ormai si sono abituati all'idea, e rimane da sperare che non succede la stessa cosa per tutti gli altri eventi di cui ha parlato Francesco Costa: gli scienziati sono abbastanza concordi sul fatto che l'unico modo per salvarsi dal big one sia essere da un'altra parte, ma con tutto il resto si potrebbero fare dei tentativi.

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