SOCIETÀ

Verso una sanità verde: meno impatto delle cure su persone e ambiente

Il settore sanitario pesa sulla crisi climatica. Lo fa con emissioni sostanziali, analoghe a quelle dei settori industriali, che sono da tempo oggetto di attento scrutinio. Questo è quanto dicono sia il rapporto “Decarbonising Health Systems Across OECD Countries”, pubblicato nel 2024, che recenti rassegne sistematiche, aggiungendo conoscenze importanti e offrendo una base solida per considerazioni e proposte.

Il sistema sanitario, oltre che fronteggiare le difficoltà correnti, è chiamato anche ad affrontare il paradosso scomodo di proteggere la salute e contribuire al contempo al cambiamento climatico, che è proprio una delle principali minacce alla salute globale. Secondo l’OCSE, il settore sanitario è responsabile in media del 4,4% delle emissioni totali di gas serra, una quota superiore a quella del pure non trascurabile contributo del trasporto aereo nei Paesi industrializzati. 

La comunità scientifica produce con crescente impegno dati che raccontano la contraddizione di un sistema che salva vite ma, nel farlo, produce gas serra (in particolare CO₂ e metano) e altri inquinanti, rifiuti, calore, che aggravano la crisi climatica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e numerose riviste scientifiche sottolineano come ospedali, presidi sanitari e catene di fornitura rappresentino un tassello spesso trascurato o sottostimato della transizione ecologica. 

Come hanno bene evidenziato Jeffrey Braithwaite, della Macquaire University, Australia, e altri autori, in una review sistematica pubblicata lo scorso anno sul British Medical Journal, BMJ, i sistemi sanitari, contemporaneamente vittime e contributori della crisi climatica, si trovano però anche nella posizione di contribuire significativamente al miglioramento.

Quali sono le fonti di inquinamento sanitarie

L’attenzione massima è data agli ospedali, in quanto strutture ad alto consumo energeticointensità tecnologica. Riscaldamento, illuminazione, apparecchiature, sterilizzazione e gestione dei rifiuti generano un’impronta di carbonio significativa. Una revisione sistematica pubblicata nel 2023 sul Bollettino dell’OMS ha quantificato le fonti principali di impatto degli ospedali, legate alla produzione di energia, rifiuti, gas anestetici, riscaldamento e raffreddamento, logistica. Gli autori dello studio sottolineano che si tratta di settori dove esistono soluzioni tecniche già disponibili ma scarsamente adottate.

Oltre agli ospedali, una parte rilevante delle emissioni del sistema sanitario deriva però anche dai prodotti farmaceutici, dai dispositivi medici e dai servizi logistici che sostengono la catena sanitaria complessiva. I dati del report Ocse stimano infatti che oltre il 75% di tutte le emissioni del sistema sanitario sarebbe dovuto alle catene di approvvigionamento (supply chain) che si estendono ben oltre i confini nazionali: “metà delle emissioni legate ai sistemi sanitari dei paesi OCSE avviene all’esterno degli stessi Paesi”. Dunque, le catene di fornitura e la logistica internazionale rappresentano il tallone d’Achille dell’impatto ambientale dei sistemi sanitari.

In Italia c’è un crescente interesse pubblico e privato alla costruzione di nuovi ospedali verdi. Le iniziative sono rivolte soprattutto alla riduzione delle emissioni dirette da strutture e veicoli sanitari e indirette sull’energia acquistata (elettricità, vapore, raffreddamento), e delle emissioni indirette da produzione di beni e servizi e di smaltimento dei rifiuti. Minore è l’attenzione nei confronti  delle emissioni indirette da catene di fornitura e trasporti. 

Un punto dolente riguarda i lunghi tempi di approvazione e realizzazione di progetti di nuovi ospedali definiti verdi, e la loro effettiva rispondenza a parametri di sostenibilità inclusivi di valutazioni di impatto. Non sono rari iter decennali o ventennali dal progetto al cantiere che rendono improbabile se non inverosimile l’aderenza a standard di effettiva sostenibilità (bassi impatti). 

Misurare gli impatti ambientali dell'intera catena sanitaria

L’attenzione concentrata sulle strutture è positiva, ma comporta una sottovalutazione della misurazione dell’impatto. E questo è in contrasto con l’importanza di definire le azioni prioritarie basandosi sulle valutazioni degli effetti ambientali e sanitari dei vari inquinamenti prodotti. 

I due approcci principali utilizzati, uno basato sull’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment) di prodotti e servizi, l’altro su modelli economici input-output, hanno pregi e difetti. Il primo assicura una discreta precisione ma è costoso, soprattutto perché richiede dati dettagliati. Il secondo offre una visione sistemica ma meno dettagliata. Le combinazioni dei due metodi migliorano le stime in affidabilità, ma la carenza di standard condivisi limita la comparabilità dei dati, con la conseguenza che le stime di emissioni, secondo quanto scritto da Jeffrey Braithwaite sul BMJ, possono variare del 50–100% a seconda del modello utilizzato. 

Nonostante le difficoltà e i limiti di misurazione e valutazione, le azioni per ridurre l’impatto ambientale del sistema sanitario sono sempre più documentate e c’è accordo sulla necessità di integrare le strategie di sistema e le tattiche operative.

Un ruolo chiave in questa integrazione spetta alla governance, che coinvolge diversi attori, dal ministero, agli enti regolatori, alle regioni, ai dirigenti, fino al personale sanitario.

Un’altra recente revisione sistematica di letteratura, pubblicata da Vera van Schie su Health Policy, suggerisce i quattro fattori di governance che influenzano l’implementazione della sostenibilità in ospedale: la conoscenza, il coinvolgimento del management, l’impegno del personale e l’uso delle tecnologie. van Schie osserva che questi fattori agiscono spesso come ostacoli più che come facilitatori rafforza la necessità di leadership preparata e consapevole e di una formazione dedicata.

La buona notizia è che ci sono indicazioni piuttosto precise e consolidate su azioni efficaci da mettere in pratica nell’attività quotidiana, come l‘uso di gas anestetici a basso impatto (riduzione o sostituzione del desflurano e del protossido d’azoto), la sostituzione degli inalatori spray a base di HFC con dispositivi meno inquinanti a polvere secca, la riduzione delle prestazioni inappropriate, la riorganizzazione dell’assistenza dal ricovero ospedaliero alla medicina territoriale, l’utilizzo della Telemedicina e dei servizi digitali per ridurre viaggi e spostamenti. Si tratta di azioni e misure con impatto rilevante: il rapporto OCSE stima che politiche di appropriatezza e prevenzione potrebbero ridurre le emissioni ospedaliere fino al 25%, con i relativi co-benefici economici e sanitari.

Inoltre, tra le azioni urgenti da realizzare, l’OCSE propone di sviluppare le politiche di “green procurement”, cioè di acquisto pubblico sostenibile introducendo criteri ambientali e sociali nei bandi di gara, e ampliare le Health Technology Assessment (HTA), includendo dunque la valutazione dell’impatto ambientale dei prodotti medici e delle tecnologie sanitarie non solo per efficacia e costo, ma anche per l’impronta ecologica.

Nonostante le evidenze scientifiche disponibili, non c’è ancora sufficiente consapevolezza sui co-benefici per la salute delle azioni di decarbonizzazione già attuabili.

Una delle motivazioni sta nel disallineamento tra i costi di realizzazione e i tempi per vederne i risultati positivi, frequentemente brevi i primi e lunghi i secondi. Si tratta di un disallineamento risolvibile solo con una programmazione su scala pluriennale, poco praticata in Italia. A fronte delle difficoltà, infatti, c’è un lunghissimo elenco di benefici per l’ambiente e la salute ottenibili con politiche basate su evidenze.

Il cammino ancora frammentario dell’Italia

Nel nostro paese, negli ultimi anni, sono stati avviati progetti di nuovi ospedali sostenibili, di efficientamento energetico e di riqualificazione edilizia, soprattutto con fondi europei, inclusi i PNRR, ma non esiste ancora un piano nazionale “Net Zero Sanità”. Per emissioni sanitarie, l’Italia si colloca in posizione intermedia nella graduatoria OCSE, vicino a Francia o Regno Unito.

La dipendenza dalle importazioni di farmaci e dispositivi biomedicali comporta conseguenze rilevanti in termini di emissioni climalteranti e di vulnerabilità della filiera sanitaria. Secondo Farmindustria, oltre il 74% dei principi attivi farmaceutici utilizzati in Italia provengono dalla Cina e dall'India.

Secondo Healthcare Without Harm, questa struttura sposta le emissioni verso l’estero ma le mantiene “incorporate” nei prodotti acquistati e contribuisce alle emissioni indirette del SSN che rappresentano una quota crescente dell’impronta climatica complessiva del settore. L’importazione di medicinali e dispositivi implica trasporti intercontinentali, per via aerea e marittima, molto impattanti. Le stime del NHS Supply Chain, il sistema britannico che organizza e gestisce l’intera filiera di supply chain sanitaria, adattate al contesto italiano, indicano che i flussi logistici legati alle forniture sanitarie nazionali generano circa 0,6–0,8 MtCO₂e/anno, pari all’1–2% delle emissioni totali del SSN.

C’è inoltre da considerare che la lunghezza delle catene di fornitura aumenta il rischio di sprechi per scadenza e duplicazioni di magazzino: il Rapporto ambiente Snpa-2023 stima che l’8–10% dei farmaci acquistati dal SSN non venga utilizzato, con uno spreco emissivo di circa 0,3 MtCO₂e/anno. Nel loro complesso, da quanto indicato dal Lancet Countdown Indicators for Italy, 2024, le emissioni associate alla dipendenza estera di farmaci e dispositivi possono raggiungere 1–1,5 MtCO₂e/anno, equivalenti al 6–8% dell’impronta complessiva del SSN.

Gas serra e smog: due facce della stessa medaglia

Oltre alla CO2, i sistemi sanitari sono emettitori di molti altri inquinanti anch’essi in grado di influenzare il clima globale, sebbene in modi diversi. È utile ricordare che le combustioni di risorse fossili (carbone, petrolio, gas naturale, biomasse) emettono sia gas serra (in particolare CO2 e metano) sia materiale particolato (PM), ma mentre i gas serra riscaldano il pianeta, il PM ha effetti sia di riscaldamento (es. il black carbon) sia di raffreddamento (es. solfati), creando un quadro complesso che richiede politiche coordinate per ridurre entrambi. 

Alterazioni della temperatura e inquinamento dell’aria danneggiano la salute in modo diverso, ma sono facce della stessa medaglia e il loro contrasto porta dunque benefici comuni.

Anche per la costruzione di un sistema sanitario meno impattante occorre considerare che gli effetti di temperatura e smog non sono equamente distribuiti sul territorio, ma dipendono dalle caratteristiche di vulnerabilità idrogeologica e demografica, come la concentrazione di popolazione fragile (bambini, anziani, malati) in aree urbane. 

Il rapporto di Lancet countdown su salute e cambiamento climatico, pubblicato a fine ottobre, descrive la grave situazione a livello mondiale con un focus anche per l’Italia, e sottolinea i benefici per la salute ottenibili con azioni più decise per l’aria più pulita, diete più sane e sistemi sanitari resilienti

Per dare conto della gravità, tra il 2013 e il 2022, la media dei decessi legati al caldo è stata stimata in 30 per 100.000 abitanti, oltre il doppio rispetto al decennio precedente, con oltre 10,000 morti l’anno legati al caldo estivo.

E poi, oltre ai dati generali, sono da considerare quelli delle fasce più vulnerabili che sono anche le più bisognose di prestazioni sanitarie: per gli ultrasessantacinquenni e per i bambini con meno di un anno, l'esposizione annuale ai giorni di ondata di calore nel periodo 2014-2023, è aumentata rispettivamente di 3,3 volte e 2,4 volte rispetto al periodo 1986-2005. Progettare un sistema sanitario sostenibile per un futuro in progressivo riscaldamento non può prescindere da dati di impatto sull’ambiente e sulla salute.

Decarbonizzare la sanità non è dunque un lusso tecnologico né una moda ambientale, ma piuttosto una missione etica per la medicina del XXI secolo. Un sistema sanitario “green” o “carbon-smart” non solo cura bene i pazienti ma promuove ambienti e comportamenti che prevengono malattie, migliorano la qualità della vita e proteggono il pianeta.

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